Il Gip di Taranto, con la sentenza del 14 luglio 2015, ha
posto una questione di legittimità alla Corte Costituzionale sull'art. 3
del DL 4 luglio 2015, n° 92 su limiti e condizioni del sequestro in
un'impresa strategica
Il fatto
A seguito dell'infortunio mortale di un operaio dell'Ilva
erano stati indagati i dirigenti e i tecnici dello stabilimento sia per
omessa predisposizione di protezioni e dispositivi idonei a garantire
l'incolumità dei lavoratori, presso l'altoforno dell'Ilva, che per la
mancata predisposizione di strumentazioni per il prelievo della ghisa e
la misurazione della temperatura (artt 110 - 437, co. 1 e 2, c.p.); sono
stati anche accusati di aver violato la normativa antinfortunistica
(art. 71, D.L.vo n° 81/2008).
Per queste ragioni, il Pubblico Ministero aveva disposto il sequestro preventivo d'urgenza dell'altoforno, che era stato successivamente convalidato. Tuttavia a causa dell'introduzione dell'art. 3 del decreto legge 92/2015 ("Misure urgenti per l'esercizio dell'attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario"), i difensori dell'Ilva ritenevano che il Pm dovesse sospendere l'esecuzione del sequestro.
L'eccezione di illegittimità costituzionale del Pm
Il Pm, ha ritenuto opportuno declinare la sua competenza esprimendo parere contrario sull'istanza dei difensori dell'Ilva, rimettendo gli atti per la decisione al Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.).
Secondo
il Pm, il decreto in questione non è in grado di annullare il sequestro
in atto in quanto la competenza è riservata al Gip poiché era stato lui
stesso ad aver emesso il decreto.
Inoltre, per il caso di specie
non si può applicare la disciplina dell'art. 3 perché riguarda quelle
ipotesi in cui il sequestro preventivo impedisce l'esercizio dell'attività d'impresa eventualità che però non era stata motivata dai ricorrenti.
Per tali ragioni il Pubblico Ministero ha quindi proposto un'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legge 4 luglio 2015, n° 92, in base all'art. 41 della Cost., ne punto in cui dispone che "l'iniziativa economica non può svolgersi in modo da arrecare danno alla dignità umana",
e agli articoli della Costituzione riguardanti i diritti inviolabili
dell'uomo, quali la vita, la salute e il lavoro strettamente connesso
alla sicurezza.
Secondo il Pm, il decreto del 2015, riconoscendo all'impresa il compito di predisporre unilateralmente
un piano di misure aggiuntive senza sottoposizione ad alcun sindacato,
non realizzerebbe un bilanciamento tra il diritto alla salute e
all'ambiente salubre ed il diritto all'iniziativa economica.
Le considerazioni del giudice per le indagini preliminari
Il Gip ha quindi rilevato la questione della competenza sul sequestro preventivo,
affermando che per poter capire quale fosse l'organo competente, è
prima necessario collocare l'art. 3 del D.L. n° 92/2015 all'interno
dell'ordinamento.
I commi 2 e 3 dell'articolo in esame prevedono che
le imprese di interesse strategico nazionale sottoposte a sequestro,
devono predisporre un piano di intervento e sono sottoposte per
l'esercizio dell'attività d'impresa a un vincolo di durata massima pari a
un anno.
Quindi il provvedimento giudiziario ipotizzato nell'art. 3
riguardando un sequestro già in atto e la relativa esecuzione deve
essere adottato dal giudice che ha disposto il sequestro e non dal Pm,
il quale deve solo provvedere agli adempimenti esecutivi.
Alla luce
di queste considerazioni spetterebbe dunque al Gip, la decisione
sull'istanza avanzata dai difensori dell'Ilva, in quanto organo che ha
adottato il provvedimento di sequestro.
Tuttavia, secondo il Gip
alla controversia in esame non si dovrebbe applicare l'art. 3 poiché,
come già sottolineato in precedenza dal Pm, riguarda una tipologia di
sequestro atta ad impedire l'esercizio dell'attività d'impresa.
Il Gip ha anche precisato che il caso Ilva è contemplabile nelle disposizioni contenute all'art. 1, c. 4 del DL 3 dicembre 2012, n. 207
nel punto in cui prevede che il Ministero dell'Ambiente può
autorizzare, a date condizioni, la prosecuzione dell'attività produttiva
per un periodo di tempo determinato
Nonostante ciò, pare che il
legislatore abbia inteso applicare l'art. 3 al sequestro de quo,
pertanto, secondo il Gip risulta indispensabile verificarne comunque la
legittimità costituzionale.
Il giudice ha quindi evidenziato che
l'art. 3 era stato promulgato dal Governo per neutralizzare gli effetti
del sequestro disposto sull'Altoforno, e che il richiamo al DL 207/2012
nel decreto del 2015, sembrava finalizzato a estendere al nuovo articolo
la copertura di costituzionalità riconosciuta dalla sentenza n. 85/2013.
Sempre
a detta del Gip quel tipo di decisone era stata presa soltanto perché
l'impresa aveva rispettato un provvedimento amministrativo (AIA) con cui
si era impegnata ad adeguare gli impianti alle migliori tecniche
disponibili. Inoltre, il DL 207/2012, contiene un rinvio al Codice
ambiente con cui all'art. 29-decies erano stai predisposti una serie di
controlli e interventi da parte delle autorità competenti, che possono
sfociare anche in misure sanzionatorie in rapporto alla gravità delle
eventuali violazioni accertate.
La ratio del provvedimento è dunque quella di provvedere al risanamento degli impianti,
per ridurre le emissioni nocive alla salute e all'ambiente, senza dover
necessariamente chiudere lo stabilimento. Qualora l'impresa non osservi
le disposizioni, l'autorità sanzionerà le relative inadempienze.
È
però opportuno sottolineare che nel DL 92/2015 non c'è alcun riferimento
ad un provvedimento come quello AIA previsto nel DL 207/2012.
Difatti,
nell'art. 3, per i sequestri relativi ad impianti di interesse
strategico nazionale e per i reati inerenti alla sicurezza dei
lavoratori, il Governo ha posto soltanto due limiti: la durata della
sospensione non superiore a un anno e l'onere per l'impresa di
predisporre un piano anche provvisorio, per la tutela della sicurezza
sui luoghi di lavoro.
Non si fa riferimento al tipo di misure di
sicurezza da adottare, che dovrebbero invece garantire la sicurezza dei
lavoratori, come accade nel DL 207/2012, che prevede l'obbligo che le
misure debbano essere quelle conformi alle migliori tecnologie
disponibili.
Stando a quando disposto nell'art. 3 l'azienda ha quindi solo l'obbligo di comunicare la predisposizione del piano ad alcune autorità amministrative, e non all'autorità giudiziaria procedente.
L'attività di costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro è di competenza dei Vigili del fuoco, dell'ASL e dell'INAIL,
che hanno la facoltà di svolgere ispezioni dirette a verificare
l'attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano. Ciò
nonostante, non è previsto alcun apparato sanzionatorio in caso
di insufficienza o inadeguatezza degli interventi aziendali, o per la
mancata realizzazione di quanto indicato nel piano.
In questo modo l'art. 3 paralizza il provvedimento di sequestro
dell'autorità giudiziaria grazie all'attivazione da parte dell'impresa
del provvedimento, con il solo obbligo di comunicarlo solo ad alcuni
enti.
In questo modo l'ordinamento italiano consente che un'azienda, se d'interesse strategico nazionale, possa continuare a svolgere la propria attività anche quando il suo esercizio può aggravare le conseguenze di un reato, per la durata di un anno,
grazie alla predisposizione e comunicazione di un piano di interventi
ad alcuni enti pubblici, i quali non possono sindacarne contenuti ed
attuazione.
La questione di legittimità sollevata dal Gip
La questione di legittimità riguardava quindi non soltanto l'art. 2 della Costituzione (diritti inviolabili dell'uomo) ma l'art.3 della Costituzione (principio di uguaglianza).
Infatti, l'esposizione dei lavoratori delle imprese di interesse strategico a fattori di rischio più elevati, è una forma di diseguaglianza rispetto ai lavoratori che svolgono la loro attività in aziende che non sono di interesse strategico.
L'art. 4 della Cost,
invece, riconoscendo a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuovendo le condizioni che rendano effettivo questo diritto, sancisce
il diritto al lavoro di ogni singolo cittadino. Ciò perché il
lavoratore deve operare in condizioni di massima sicurezza. Non a caso l'art. 35 Cost.,
tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, affermando il
diritto ad un'esistenza libera e dignitosa come quello all'equa
retribuzione, alla formazione ed elevazione professionale, alla durata
massima della giornata lavorativa, al riposo settimanale, alle ferie
retribuite, all'assistenza previdenziale.
Pertanto, l'art. 3 risulta decisamente in contrasto con il dovere di tutela del lavoro. In relazione all'art. 32
della Cost., il Gip afferma che con l'articolo in esame non sarebbe
tutelato il diritto alla salute, in quanto non ha disposto un istituto o
una procedura come quella AIA prevista dal DL 207/2012.
L'art. 41
prevede che l'attività economica privata non possa svolgersi in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana,
ponendosi in netto contrasto con il fatto che l'altoforno, nei giorni
successivi all'incidente mortale aveva manifestato dispersioni
incandescenti e che quindi non è in grado di garantire la sicurezza dei
lavoratori.
Infine, l'art. 112 Cost,. afferma il principio
dell'obbligatorietà dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero,
il quale si occupa della repressione dei reati, e della loro
prevenzione. Ed invece, l'art. 3 permette il perpetuarsi di una
situazione penalmente rilevante, privando di efficacia i provvedimenti
preventivi doverosamente adottati a tal fine dalle competenti autorità
giudiziarie, incidendo sulla loro potestà costituzionale.
In
conclusione, secondo il Gip di Taranto, non è possibile definire la
questione posta dai difensori dell'Ilva con l'incidente di esecuzione,
senza prima verificare la legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legge 4 luglio 2015, n° 92.
Così facendo, il Gip ha posto la questione di legittimità sull'art. 3
del DL 92/2015 e conseguentemente ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. (Insic)
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