«L'Ilva ora è sull'orlo del fallimento»
Dottor Antonio Gozzi, lei, presidente di Federacciai, ha espresso profondo cordoglio per la morte di Emilio Riva: ci saranno ripercussioni sulla siderurgia italiana?«E’ una stagione difficile per l’Europa e l’acciaio è l’indicatore del ciclo economico: quando la crescita è nulla l’acciaio soffre. La siderurgia italiana - seconda in Europa dopo quella tedesca - ha sviluppato processi molto innovativi, come dimostrano Dalmine, Arvedi, Ori Martin, Banzato, e chi lavora per l’export regge. In questo contesto la questione di Ilva si può risolvere uscendo da Taranto».
In che senso?
«Non si può andare avanti con i commissari, il capitalismo non funziona così e quindi ci vuole un imprenditore che ci metta la faccia, evitando che il patrimonio rappresentato da Ilva venga bruciato».
C’è questo rischio?
«L’Ilva, il più grande impianto a ciclo completo d’Europa, fondamentale per l’Italia, è sull’orlo del fallimento: dopo due anni di turbolenze il rischio è reale e chi lo nega non dice la verità. Il problema si può risolvere ponendo l’impianto nel contesto di riorganizzazione e razionalizzazione del comparto dei prodotti piani, riducendo l’eccesso di capacità produttiva di zincati, preverniciati».
E come si coniuga questa riorganizzazione con la questione ambientale?
«Continuo a pensare che a Taranto si sia usato un metro diverso da quello europeo. Nella Ue la siderurgia le fabbriche si aprono e si chiudono rispettando l’Aia, ma a Taranto, dove certamente la situazione è peggiore, non si riesce ad applicarla perché manca il miliardo e mezzo previsto per gli interventi di risanamento. A questo punto è indispensabile che qualcuno, un imprenditore, si assuma la responsabilità degli interventi».
C’è chi propone di vendere Ilva o di nazionalizzarla: lei cosa ne pensa?
«Maurizio Landini, il segretario Fiom, ha proposto la nazionalizzazione transitoria. Io credo, invece, si debba lavorare per ricostruire una compagine azionaria che comprenda anche i Riva, che restano proprietari, ma che vanno impegnati nel risanamento dell’impianto. Ma non basta, bisogna coinvolgere altri soggetti, anche grandi operatori stranieri».
I Riva, però, sono accusati di reati gravi.
«Parlano i bilanci: in 16 anni, da quando sono arrivati, hanno investito 4,5 miliardi di euro senza chiedere un centesimo allo Stato che nei 30 anni precedenti ha invece dilapidato l'equivalente di 12 miliardi di euro. La gip Patrizia Todisco, sulla base di una perizia di tre ragazzi, accusa Riva di aver sottratto 8 miliardi di profitti all’ambiente, giudizio però bocciato dalla Cassazione. Resta a carico di Riva l’accusa di disastro ambientale, ma fino a prova contraria, perché Lo Stato ha gestito l’impianto due volte di più di Riva». I dati sanitari denunciano una situazione di inquinamento grave e continuato, o no? «Non sono d'accordo: la metodologia delle perizie è sbagliata. Ne ho parlato anche con Corrado Clini, l’ex ministro dell’Ambiente. Riva, forse a causa di un collegio di difesa inadeguato, non ha presentato nell’incidente probatorio una controperizia, così il procuratore di Taranto Franco Sebastio ha acquisito come prova la perizia dei tecnici del gip. Così non si può andare avanti, per questo sto preparando una proposta perché si crei una procura nazionale ambientale che dia indicazioni di standard metodologici a tutte le procure».
E come replica a chi propone di chiudere l’Ilva?
«E’ quello che vuole qualcuno. Invece, rispettando le norme Ue, si può continuare a fare siderurgia a Taranto. Ho fatto esaminare 13 impianti sparsi per l’Europa, i cui parchi minerali, tutti scoperti, distano dall’abitato come quello di Taranto o sono anche più prossimi, e non ci sono problemi: non credo che cittadini di Belgio, Francia, Germania, Olanda, Spagna siano meno sensibili dei tarantini alle questioni ambientali e sanitarie. La questione dell’Ilva va affrontata senza invasione di campo da parte della magistratura, ma con le indicazioni della pubblica amministrazione». (CdM)
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