sabato 17 maggio 2014

Fanta-piano?

«Nel futuro del siderurgico nuovi clienti e mercati diversi»

Prima il risanamento e il rilancio, poi il rafforzamento. Nel piano industriale consegnato l’altra sera ai sindacati metalmeccanici a Roma, Enrico Bondi non parla per ora di esuberi e delinea una strategia in due tempi per togliere l’Ilva dalle secche in cui è finita.Il primo step è cominciato l’anno scorso, cioè quando i commissari si sono insediati e andrà avanti sino al 2016. Anno in cui, in base alla legge, il commissariamento terminerà e l’azienda tornerà sotto la gestione di chi, allora, sarà l’azionista. Perchè non è detto che la proprietà rimanga dei Riva.
Questa prima fase ha tre obiettivi di fondo si legge nel piano industriale: «Miglioramento di sostenibilità, qualità ambientale, aspetti legati alla salute e sicurezza associati al recupero di perfomance operativa e riposizionamento sul mercato». E ancora, rientrano nella prima fase la riorganizzazione e il «rafforzamento organizzativo» e la «sperimentazione di tecnologie innovative per la sostenibilità ambientale di lungo periodo». Quest’ultimo riferimento è all’uso del preridotto di ferro che, da alcuni mesi, l’Ilva sta acquistando all’estero (600mila tonnellate previste quest’anno) e utilizzando in altiforni e acciaierie con un doppio vantaggio: risparmi e meno emissioni inquinanti. Il preridotto, infatti, riduce l’apporto al ciclo produttivo di agglomerato e cokerie, due reparti ad alto impatto ambientale.
La seconda fase del piano industriale si apre invece nel 2017 e si chiude nel 2020. Ottenuto il riequilibrio finanziario dopo gli investimenti per l’Autorizzazione integrata ambientale (1,8 miliardi sino al 2016), l’Ilva si pone infatti queste priorità: «Sfruttare l’accresciuta competitività ambientale e operativa sul mercato, aggredire nuovi segmenti a maggior valore aggiunto-profittabilità (verticalizzazioni e settore auto), valutare l’adozione su larga scala delle tecnologie innovative sperimentate». In quest’ultimo caso ci si riferisce alla possibilità di produrre a Taranto, con un investimento ad hoc di 300 milioni, il preridotto acquistato all’estero fino al 2016.
Anche dal punto di vista commerciale, l’Ilva si prefigge un cambiamento. Tre i punti su cui il piano si sofferma: «Arricchimento del mix produttivo con maggiore incidenza delle verticalizzazioni» producendo in particolare «tubi per il segmento oil&gas e zincato per auto (tra cui gli alto-resistenziali); rilocalizzazione del portafoglio attualmente concentrato sul segmento commercio (oltre due terzi dei volumi) verso utilizzatori finali (che garantiscono prezzi più attrattivi e continuità degli ordini); recupero volumi su clienti esistenti e sfruttamento spazi in crescita su geografie emergenti grazie alla prossimità logistica di Taranto». Tutto questo, si legge ancora nel piano, passa dalla stabilizzazione del sistema produttivo, dal raggiungimento di performance in linea - come servizio offerto - con i competitori, dallo sviluppo e messa a punto di prodotti a elevato valore aggiunto grazie all’innovazione, dalla migliore qualità al pari degli altri produttori siderurgici, dal rispetto delle consegne e, infine, dal recupero della reputazione a garanzia della continuità aziendale.
L’Ilva, inoltre, prevede dal 2016 in poi di non acquistare più bramme (semilavorati) dall’estero perchè «significativamente oneroso» - e infatti si prevede un acquisto di 900 mila tonnellate di bramme in quest’anno e di 1,4 milioni il prossimo solo perchè ci sono impianti fermi per i lavori -, e individua nella fornitura di acciaio all’industria dell’auto un campo in cui crescere. «Nel breve periodo aumentare i volumi su produttori auto già serviti e recuperare clienti serviti in passato» si legge in proposito nel piano. Anche perchè se il mercato dell’acciaio per l’auto vale (dati 2012) 24 milioni di tonnellate su 97 complessivi, l’Ilva di questo segmento copre solo l’1,2 per cento e lascia il 98,8 per cento agli altri produttori.
Ma come si realizza il piano? Anzitutto con l’aumento di capitale, «da effettuarsi nel 2014 per un importo stimabile in via preliminare di 1,8 miliardi». Eppoi, «nuovo debito finanziario stimato preliminarmente in 1,5 miliardi» attraverso due tranche da 750 milioni ciascuna nel 2015 e nel 2016. Oltre i 3 miliardi che servono sino al 2016 di cui, come detto, 1,8 per l’Aia, l’Ilva sino al 2020 dichiara infatti un fabbisogno totale per i vari interventi di 4,185 miliardi. Il punto, però, è che le banche non hanno ancora fatto sapere se finanziano o meno l’Ilva perchè attendono prima di vedere cosa fa la proprietà con l’aumento di capitale. E la risposta della famiglia Riva, che ha già il piano industriale tra le mani, è attesa entro il 23 maggio. Nel frattempo è in corso il pressing dei sindacati sul governo perchè faccia da garante e spinga le banche a dare all’Ilva un finanziamento ponte. Di 7-800 milioni, annunciano gli stessi sindacati. (GdM)

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