Diossina e ossido di ferro dall'Ilva. "Il ministero sapeva tutto dal 2011"
L’esplosivo rapporto del Noe (Nucleo operativo ecologico) dei carabinieri di Lecce del maggiore Nicola Candido, che documentava il disastro ambientale di Taranto, con le fughe di emissioni «diffuse e fuggitive» dagli impianti di area a caldo dell’Ilva, arrivò a Roma, al ministero dell’Ambiente. Eravamo alla vigilia dell’approvazione, dopo sette anni, dell’AIA, l’Autorizzazione integrata ambientale, e non successe nulla. Nessun intervento, interrogativo, nessuna iniziativa fu presa. Eppure, quel rapporto del Noe con la denuncia di centinaia di «eventi irregolari» è parte integrante delle accuse mosse dalla Procura di Taranto all’Ilva.
L’allora ministro per l’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, giura che non vi furono pressioni di sorta per l’AIA, che fu approvata il 4 agosto del 2011. Anche se dalle intercettazioni telefoniche e ambientali risulta, invece, che i dirigenti dell’Ilva si mossero con funzionari della Regione Puglia e con la commissione ministeriale per addolcire l’AIA. Ma rimane un mistero come della prova dell’inquinamento in corso a Taranto nessuno tenne conto. Era l’aprile dell’anno scorso.
Circolavano in rete video o fotografie che riprendevano «strani» sbuffi dall’acciaieria dell’Ilva e più in generale dall’area a caldo dello stabilimento. Con il via libera della procura, il Noe dei carabinieri di Lecce piazzò alcune telecamere esterne ai perimetri dell’Ilva. Mise sotto intercettazione visiva e sonora per quaranta giorni quello che accadeva, 24 ore su 24, nella acciaieria più grande d’Europa.
E registrò il cosiddetto fenomeno di «slopping» in occasione delle colate d’acciaio, la fuoriuscita cioè di ossido di ferro, una nuvola rossastra che posandosi sporca di rosso gard rail e asfalto della provinciale, dall’acciaieria 1 e 2.
Dal primo aprile al 10 maggio del 2011 furono segnalati 121 fenomeni di «slopping» all’acciaieria 1 e 65 all’acciaieria 2. Nel secondo caso, la metà di quelle emissioni dell’acciaieria 1. E per gli uomini del Noe che fecero domande e acquisirono documentazione, fu chiara la ragione della differenza: all’acciaieria 2 erano stati montati sistemi di captazione di fumi più moderni. In ogni caso, la dimensione dei fenomeni era tale che non potevano essere giustificati per la eccessiva frequenza.
Naturalmente viene spontaneo chiedersi se rispetto a un anno fa la situazione è migliorata o meno.
E la risposta (molto informale) che arriva da chi monitora l’inquinamento è che gli «slopping sono ridimensionati ma non eliminati». Ma perché avvengono e cosa si può fare per eliminarli? Intanto è evidente che la differenza tra le due acciaierie indica una possibile soluzione, sull’efficacia dei sistemi di captazione, poi la causa potrebbe trarre origine da «rotture meccaniche», da «errori tecnici», dalle stesse «torce meccaniche».
L’attività di monitoraggio del Noe dei carabinieri di Lecce, nella primavera dello scorso anno non si fermò soltanto alle acciaierie. Dalla gestione dei rottami ferrosi, un’area all’aperto dove attraverso piccole colate di materiali incandescenti, ad alta temperatura, viene recuperato il ferro, si notavano, di notte, dei bagliori. Erano emissioni in atmosfera di fumi non captati. E poi le cosiddette torce, collegate all’acciaieria, dove vengono convogliati i gas della colata. Sono dei sistemi d’emergenza che per gli 007 del Noe in realtà servono a smaltire gas, ovvero rifiuti che dovrebbero essere recuperati diversamente.
Il rapporto del Noe dei carabinieri di Lecce è parte integrante delle accuse della Procura di Lecce che, tra l’altro, trova conferme nel lavoro dei periti chimici durante l’incidente probatorio. E sempre al Noe toccò verificare alcuni esposti con allegati video su quello che accadeva nel reparto cokerie. Il 28 novembre del 2011, i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce entrarono all’Ilva. Scrive il gip Patrizia Todisco: «L’esito fu sconcertante. Durante la fase di scaricamento i militari notavano personalmente, in sede di sopralluogo, la generazione di emissioni fuggitive provenienti dai forni che, una volta aperti per fare fuoriuscire il coke distillato, lasciavano uscire i gas del processo che invece dovrebbero essere captati da appositi aspiratori/abbattitori». (La Stampa)
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