Ilva, al Tar 36 ricorsi in 23 anni
«Inquina? Colpa anche dei controllori»
Al Tribunale di Lecce è rimasta pendente solo la controversia relativa all’Autorizzazione integrata
Il Tar di Lecce è stato chiamato a intervenire dall’Ilva di Taranto 36 volte in 23 anni. Ventidue ricorsi sono già stati decisi con sentenza, il più rilevante, ancora pendente, riguarda l’avvio del riesame dell’Aia del 22 maggio scorso. «Salvo il caso del ricorso n. 1224 del 2010, del quale dirò appresso, il Tar di Lecce non è stato mai chiamato a intervenire su provvedimenti sanzionatori adottati su iniziativa dell’Arpa di Puglia nei confronti dello stabilimento siderurgico di Taranto», dice Antonio Cavallari, presidente da circa due anni del Tribunale amministrativo regionale di Lecce.Presidente, in che misura le sentenze del Tar possono incidere sul futuro dell’Ilva?
«In nessun modo nella situazione attuale, regolata da provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale. Parliamo di una vicenda estremamente delicata, che riguarda un settore strategico della produzione a livello nazionale. Il nostro compito è assicurarci che le norme e le prescrizioni adottate dall’Autorità amministrativa siano rispettate».
Adesso, si sollecita l’Ilva a ritirare i ricorsi presentati al Tar. Che cosa ne pensa?
«So, da fonti di stampa, che il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, avrebbe già manifestato pubblicamente questa volontà».
In che caso il Tar è intervenuto più direttamente sulle questioni ambientali legate all’attività del siderurgico tarantino?
«Faccio una premessa: se violazione delle norme e delle prescrizioni imposte dall’Autorità c’è stata da parte dell’Ilva e se questo sarà accertato al termine del procedimento in corso, è evidente che qualcuno dovrà rispondere per omessi controlli. Per quanto riguarda la nostra attività, ci sono stati in particolare tre provvedimenti impugnati dall’Ilva dinanzi al Tar, nel 2002, nel 2004 e nel 2008. Riguardavano azioni repressive messe in atto dal Comune di Taranto, dalla Provincia e dall’Azienda Sanitaria Locale di Taranto. Due sono stati accolti, quelli contro la Provincia e l’Azienda Sanitaria, per carenza della motivazione del provvedimento impugnato; uno è stato respinto, quello contro il Comune, che con l’atto contestato imponeva una serie di prescrizioni all’attività produttiva nelle operazioni di scarico dei minerali e carbon fossile. I ricorsi di maggior rilievo hanno peró riguardato tutto lo svolgersi del procedimento dell’Aia e l’atto conclusivo dello stesso. Queste vicende si sono concluse con sentenze del 2012 che hanno in gran parte respinto le censure sollevate dall’Ilva, accogliendo solo quelle relative a elementi incongrui degli atti impugnati».
Nel caso di sentenze favorevoli all’Ilva, quali sono stati gli elementi che hanno inciso sulla decisione dei giudici amministrativi?
«Spesso ci siamo trovati di fronte a provvedimenti incoerenti, nel senso che si chiedeva all’Ilva di applicare determinate prescrizioni in materia di emissioni sulla base di parametri stabiliti in tempi successivi. Mi spiego meglio. Il nostro compito è applicare le norme in vigore nel momento in cui il provvedimento viene adottato. Se si stabiliscono dei limiti alle emissioni, e poi quei limiti vengono abbassati, noi dobbiamo basarci sui parametri in vigore nel momento in cui si contesta il superamento di quei limiti; questo é avvenuto, ad esempio, nella vicenda oggetto del ricorso n. 1224 del 2010, che riguardava limiti di emissione del benzo(a)pireneaerodisperso».
Ma le violazioni ci sono sicuramente state.
«Dagli atti dei nostri procedimenti questo non risulta. Se di notte o in altre occasioni lo stabilimento ha superato il livello di emissioni stabilito da norme vigenti al momento della asserita violazione, qualcuno doveva controllare, ma evidentemente non lo ha fatto».
Una dichiarazione forte, la sua.
«Difendo la nostra attività e invito gli interessati, se mai ne avessero voglia, a leggere con attenzione le nostre sentenze».
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