martedì 25 settembre 2012

Tra realtà e grida

Ecco due contributi che aiutano a capire come si sta combattendo la guerra dell'Ilva.
Da un lato persino la Regione Puglia, che ha più volte morbidamente chiuso più di un occhio per assicurare la continuità produttiva e lavorativa del siderurgico privato, si lamenta della mancanza, ancora oggi di un impegno concreto a migliorare l'impatto ambientale (come sostengono anche i custodi che hanno bocciato la farsa dei 400 milioni di euro di opere inutili o insufficienti).
Dall'altro i capi, i colletti bianchi e i sindacalisti "amici" del padrone che mandano 200 persone (su un totale di 11.000 lavoratori: stiamo parlando dell'1,8%!!!) a fare casino mediatico ai cancelli (col favore della stampa) attaccando apertamente la procura e difendendo progetti che neanche conoscono.
Si tratta di una guerra di propaganda. Bisogna gridare più forte di chi onestamente sta lavorando per tutta la collettività in modo che Riva spenda il meno possibile e continui a fare ... quello che qui ha fatto per decenni!


Risanamento aria, Nicastro: "Ilva continua a posticipare impegni"
“Il tavolo tecnico che, a valle dell'adozione del Piano contenente le prime misure per il risanamento della qualità dell'aria del quartiere Tamburi di Taranto per gli inquinanti Bap e Pm10, ha effettuato nella mattinata di oggi la valutazione di merito sui piani attuativi presentati dalle aziende operanti nell'area in forza di una Autorizzazione Integrata Ambientale. I piani dovevano essere la risposta propositiva delle aziende rispetto alla necessità di ricondurre le emissioni entro i limiti come da provvedimento adottato dalla Giunta Regionale nello scorso mese di luglio.
Devo dire che molte aziende hanno risposto in termini collaborativi presentando relazioni tecniche dettagliate e compatibili con le finalità del piano”. Così l'Assessore Regionale alla Qualità dell'Ambiente Lorenzo Nicastro al termine della riunione del tavolo tecnico di stamane, formato dai tecnici dell'assessorato, di Arpa Puglia, di Asl territoriali ed enti locali interessati.
“Dobbiamo tuttavia rilevare – prosegue Nicastro – le carenza della documentazione presentata da Ilva che ha inteso procastinare ulteriormente persino interventi relativamente semplici come la riduzione dei cumuli dei parchi minerali oltre che, ovviamente, guardarsi bene dal definire un pur necessario cronoprogramma per la copertura dei parchi minerali. Dal punto di vista dei provvedimenti amministrativi le valutazioni tecniche effettuate dal tavolo quest'oggi verranno trasmesse immediatamente al Ministero anche in previsione della convocazione della commissione AIA di domani. E' ovvio che diventa complicato parlare di ambientalizzazione e di tutela dei livelli occupazionali senza segnali concreti, senza formali assunzioni di impegni rispetto a precise prescrizioni sulla riduzione delle emissioni convogliate, sulla riduzione dei cumuli, sulla copertura dei parchi, sul contenimento degli inquinanti provenienti dalle *bleep*erie”.
“Mentre gli altri attori, le altre aziende presenti nell'area, gli enti locali e l'Autorità portuale si mostrano sensibili al problema e propongono soluzioni, in un proficuo contraddittorio tecnico mirante a contenere la pressione ambientale e limitare gli sforamenti, da Ilva, purtroppo, abbiamo ricevuto differimenti negli impegni al 2014 nella migliore delle ipotesi quando non laconici 'non si può fare'. La valutazione effettuata dal tavolo tecnico e comunicatami in mattinata  - conclude Nicastro – mi spinge a chiedere all'azienda atti concreti.
L'ambientalizzazione si deve fare con investimenti e tempi certi non con proclami o buone intenzioni. La sensazione che abbiamo è che pur con un cambio di stile che va riconosciuto nella sostanza l'atteggiamento dell'azienda sia tutto sommato lo stesso di prima!” (PressRegione)


Ilva, rabbia degli operai  «Sentenza già scritta»
«Ma cosa vuole che faccia la dottoressa Todisco? E poi proprio lei? Non potrà che decretare la chiusura dello stabilimento. Perché la verità è che la sentenza l’hanno già scritta i custodi giudiziari e i magistrati della Procura. Aver rigettato il piano del presidente Ferrante, un piano che prevedeva l’investimento di ben 400 milioni di euro, mica bazzecole, non porta che alla chiusura. Ma che ce lo dicano che voglio chiudere. Almeno sarà tutto più chiaro. Non ne possiamo più di questi continui tira e molla».
Alle 11, davanti ai tornelli della palazzina in cui sono dislocati gli uffici della direzione dell’Ilva, una cinquantina di lavoratori si interroga su quel che potrà accadere nelle prossime ore, quando il gip del Tribunale di Taranto, la dottoressa Patrizia Todisco, appunto, dovrà pronunciarsi e dire una parola, forse definitiva, sulla possibilità di continuare a tenere in attività gli impianti e sulla praticabilità del piano di risanamento presentato dal presidente dell’Ilva, l’ex prefetto di Milano, Bruno Ferrante.
In prima linea, con le tute perfettamente in ordine, ci sono soprattutto i capi reparto e i tecnici, l’avanguardia di coloro (circa ottomila) che già a marzo scesero in piazza per schierarsi apertamente con l’azienda e contro i magistrati della Procura che si erano messi in testa di ambientalizzare la fabbrica, arrivando persino a chiedere e ad ottenere l’arresto di ben otto alti dirigenti (a cominciare dal patron Emilio Riva) ed il sequestro di tutta la cosiddetta area a caldo, quella dove si svolge gran parte della produzione di acciaio.
A parlare, in questo lunedì di fine settembre, è il più anziano di tutti, un capo, rigorosamente anonimo, che dice di avere 65 anni e di aver cominciato a lavorare nel siderurgico ionico più di quarant’anni fa, nel 1970.
Il suo è un ragionamento che parte da lontano, dal 1970 appunto, è che prova a ripercorrere tutte le tappe di questo immenso mastodonte. Dice: «Ancora sino al 2000, cioè cinque anni dopo l’arrivo di Emilio Riva, qui abbiamo fatto di tutto per distruggere ogni cosa. Altro che ambiente. Qui la parola ambiente non la pronunciava nessuno. La verità è che tutto questo ci stava bene. Tutti prendevamo soldi, io per primo. Poi è arrivato Riva. Ed è stato con lui che abbiamo cominciato a parlare di ambiente. Non siamo mica stupidi, sa. Nessuno qui dice che siamo perfetti. Ma è assurdo che, proprio ora che ci stavamo attrezzando per avviare un lungo percorso, salti tutto per aria. Me lo dice lei perché i custodi giudiziari hanno bocciato il piano Ferrante? Me lo dice perché hanno bloccato la costruzione della barriera nell’area dei parchi minerari? Ci hanno detto che non basta, che i parchi vanno coperti. Va bene. La barriera sarà pure insufficiente. Ma, nell’immediato, è meglio di niente. È come dire che l’ombrello non basta a ripararsi dalla pioggia battente».
Parole, quelle di questo anonimo capo anziano dell’Ilva, che provano a minare alla radice la credibilità dei custodi e dei magistrati. Come quelle di chi rincara la dose, definendo «assurda» la decisione di «spegnere», da subito, due altoforni.
Da qui, da questa postazione in cui si parla in forma anonima e senza contraddittorio, da qui, da dove i morti avvelenati del rione Tamburi quasi non esistono, il ritornello è sempre lo stesso. E nel mirino, in un modo o nell’altro, restano loro, i magistrati, colpevoli di voler lasciare «senza lavoro» e «senza futuro» quasi ventimila lavoratori.
Ma il caso Ilva è assai più complesso. E un’ennesima riprova di quel che potrà accadere nei prossimi giorni la si è avuta proprio ieri. Sì, mentre il sindacato è tornato a dividersi, con la Fiom da una parte e Fim e Uilm dall’altra (queste ultime hanno annunciato che «a fronte di un drastico parere della magistratura, tale da compromettere la fermata degli impianti», ricorreranno di nuovo alla «mobilitazione»), l’Ilva ha, di fatto, cominciato a liberarsi del cosiddetto indotto. I primi a farne le spese potrebbero essere i 490 operai di due aziende edili (la Semat e la Edilsider), che da ieri sono in sciopero, proclamato da Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil «a seguito della comunicazione di avvio di un piano di ferie finalizzato alla procedura della cassa integrazione».
La sensazione, fortissima, è che sia solo l’inizio di un percorso che potrebbe dar vita nelle prossime settimane ad una vera e propria guerra tra poveri. Con da una parte gli oltre 11mila dipendenti diretti dell’Ilva e dall’altra le svariate migliaia di lavoratori che in un modo o nell’altro ruotano intorno al siderurgico. Stefano Boccardi - GdM

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