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I vostri affezionati Terroni
Se manca l’acciaio trema anche Cuneo
Gli industriali piemontesi al ministro Passera:
«A rischio migliaia di posti di lavoro»
Gli industriali del cuneese guardano con molta
apprensione al Golfo di Taranto per l’evolversi dell’inchiesta della
procura tarantina sull’inquinamento dell’Ilva. E lo fanno per una giusta
causa: il rischio di perdere tra i 4000 e i 6000 posti di lavoro nella
filiera dell’acciaio. La metà delle industrie metalmeccaniche di quel
territorio, infatti, si approvvigionano, direttamente o attraverso
intermediari, dell’acciaio targato Ilva di Taranto. Una lettera con
molti allarmi in tal senso è giunta l’altro ieri sul tavolo del ministro
Corrado Passera che non a caso aveva lanciato l’allarme: «Dalla
chiusura dell’Ilva - ha detto - ci sarebbe un impatto negativo per 8
miliardi di euro in tutto il Paese». A farsi carico del problema della
categoria è stata Nicoletta Miroglio, presidente di Confindustria Cuneo,
firmataria della missiva destinata al ministro dello Sviluppo
economico. «Onorevole ministro - si legge - denuncio una situazione che
preoccupa lavoratori, famiglie del territorio cuneese e imprenditori
della nostra filiera metalmeccanica, che conta aziende leader a livello
europeo e mondiale, soprattutto nella meccanizzazione agricola e
nell’impiantistica industriale».
La rappresentante degli industriali ha descritto la situazione presentando la
carta d’identità del comparto metalmeccanico della sua zona. Le
industrie maggiori sono le due che appartengono allo stesso gruppo Riva:
una a Racconigi (dove si trasformano i «coils» d’acciaio in tubi e
laminati) e l’altra a Lesegno (Riva Acciaio), che impiegano da sole 450
lavoratori. Altri 400 circa lavorano presso Cosmo di Busca, Profilmec e
Damilano Group di Racconigi, Manitowoc di Lesegno. Ed ecco il dramma
legato all’acciaieria più grande d’Europa: «Se i problemi di
inquinamento rilevati dalla magistratura porteranno alla chiusura di
quell’impianto - lamentano i cuneesi - mancherà l’acciaio per le
lavorazioni con il risultato che tra i 4000 e i 6000 posti di lavoro
saranno a rischio nella Granda (16 mila gli occupati del settore, 300 le
aziende di cui molte totalmente dipendenti dall’acciaieria pugliese).A preoccupare maggiormente le istituzioni e i rappresentanti economici di Cuneo è la sorte della «Cosmo», aziende leader nella costruzione di spandiconcime che utilizza i laminati di Taranto. L’impresa che esporta praticamente in tutto il mondo, ha avviato di recente importanti partnership in Asia e Africa. «Acquistiamo il 100% delle lamiere dalla Ilva, nel Cuneese almeno il 50% dell’acciaio arriva da quel fornitore. Se chiudesse, ci troveremmo a non avere materia prima o a doverla pagare chissà quanto, perché il mercato resterebbe in mano a tedeschi e francesi», ha dichiarato l’amministratore delegato della Cosmo, Duilio Paolino. «Le nostre imprese - ha spiegato la presidente Miroglio nella sua lettera a Passera - non sanno se potranno evadere gli ordini» perchè se chiudesse l’Ilva «sarebbero costrette a ripiegare su prodotti medi di importazione, perdendo il vantaggio competitivo di disporre di fornitori vicini».
L’industriale del Nord quindi chiede al ministro che «con l’obiettivo principe di tutela dei lavoratori e dei cittadini coinvolti, si compia ogni sforzo per assicurare la continuità operativa degli stabilimenti Ilva». «Il prezzo dell’acciaio salirà tra il 10 e il 20%», teme Domenico Annibale, presidente sezione Meccanica di Confindustria di Cuneo. A preoccuparsi sono anche i sindacati della categoria. Barbara Tibaldi, Fiom-Cigl: «L’Ilva è quanto resta del sistema industriale italiano: la bonifica va intesa come investimento per tutelare i dipendenti diretti, quelli dell’indotto e il territorio». (CdM)
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