Caso Ilva, sciocchezze in libertà
di Marco Travaglio
Si fanno chiamare 'tecnici', ma sulla fabbrica
inquinante di Taranto hanno dato prova di dilettantismo,
improvvisazione e soprattutto scarsissimo senso della realtà
Fabbrica Ilva a TarantoDifficile assegnare la Palma Nera della dichiarazione più stupida
sul caso Ilva. Troppi candidati, e tutti titolatissimi. Il ministro
della Salute Renato Balduzzi dice che bisogna «bilanciare salute e
occupazione» perché non solo il cancro, ma «anche perdere il posto
di lavoro fa male alla salute». Non parliamo poi di chi si prende
il cancro e poi perde pure il lavoro: ma, volendo, la lista delle
sfighe è infinita. Il Giornale fa la graduatoria: «Meglio rischiare
il cancro che morire subito di fame». Chicco Testa, sul Foglio,
osserva acuto che sequestrare l'Ilva perché uccide non basta:
bisogna incriminare «Anas, Società autostrade, fabbricanti e
proprietari d'auto» e «sequestrare auto e strade» dopo ogni
incidente di macchina.
PARAGONE CRETINO quant'altri mai, visto che ai pirati della strada viene sequestrato il corpo del reato: che, nel caso degli incidenti, non è la strada, ma l'auto, come nel caso dell'Ilva sono gli impianti inquinanti. E pensare che il giovane Emilio Riva si dannava l'anima per "vendere fumo" a politici e stampa: come se politici e stampa non ne vendessero abbastanza. Ora però siamo governati da "tecnici". Corrado Clini, da 20 anni all'Ambiente, prima come direttore generale poi come ministro, dovrebbe essere un'autorità indiscussa. Invece fa sapere che, se i giudici sequestrano alcuni impianti in attesa della bonifica, questi non ripartono più: «Per spegnerli occorrono 6-8 mesi, più altri per farlo ripartire. Se si chiude l'impianto a caldo finisce l'Ilva ed è a rischio l'intero sistema industriale italiano». Anche un vecchio ecologista come Vittorio Emiliani implora sull'Unità di «risanare senza spegnere» perché «cessare la produzione nelle aree a caldo» significa «erigere il monumento funebre alla politica e all'occupazione nella siderurgia». Bum. Corrado Passera, altro noto luminare della siderurgia (nonché amico ed ex socio di Riva nella Cai-Alitalia, quand'era al vertice di Banca Intesa e advisor del governo Berlusconi), dice che «è assolutamente necessario evitare la chiusura e lo spegnimento degli impianti, che causerebbe danni irreparabili». Eppure uno dei maggiori esperti di siderurgia, Leo Corvace di Legambiente, ha spiegato al Fatto che per riattivare un altoforno bastano «due o tre settimane». Fonti interessate? Forse. Ma nel 2002,dopo un intervento della Procura, l'Ilva preferì chiudere le cockerie (dove si distilla il carbone) che rispettare le prescrizioni, poi le riaccese tali e quali grazie a un accordo col governatore Fitto. Nulla di "irreparabile". E poi fidiamoci almeno di Emilio Riva senior, che nel 2009 illustrò così al Sole-24 ore la sua strategia contro la crisi mondiale del settore: «Preferisco tenere gli impianti produttivi fermi al 60-70 per cento, con quattro altiforni» accesi a metà e uno spento,«ricorrendo alla cassa integrazione». Quindi, se gli altiforni li spegne o li lascia in "folle" lui, va tutto bene; se i giudici ne spengono qualcuno, condannano a morte l'Ilva, la siderurgia, il sistema industriale italiano? Libero sostiene poi che «se chiudono gli altiforni italiani festeggiano tedeschi e indiani». Gli indiani non sappiamo, ma i tedeschi vantano le più basse emissioni industriali inquinanti d'Europa e le più stringenti regole igienico-ambientali. In aprile, l'Agenzia per la salute e la sicurezza alimentare della Baviera ha chiuso dall'oggi al domani 42 dei 230 negozi di una mega-catena di panificatori, la Muller Brot, quarto gruppo in Europa con 3 mila dipendenti, per gravi carenze igieniche.I sindacati han protestato per tanta severità, costata il posto a 845 persone. Ma l'Agenzia ha tirato diritto e la Muller Brot è fallita.
ORA IL MARCHIO E' PASSATO di mano e la produzione riprende, nel rispetto delle regole. Se la Germania avesse ministri come i nostri, si sarebbero precipitati in Baviera per intimare alle autorità di «bilanciare igiene e lavoro». Il Kikko Testen del luogo avrebbe chiesto di chiudere le strade perché ogni tanto la gente vi getta le cartacce. E Il Giornale e Libero avrebbero titolato: "Peggio morire di fame che mangiare pane e topi, fra l'altro la carne non è niente male".(L'Espresso)
PARAGONE CRETINO quant'altri mai, visto che ai pirati della strada viene sequestrato il corpo del reato: che, nel caso degli incidenti, non è la strada, ma l'auto, come nel caso dell'Ilva sono gli impianti inquinanti. E pensare che il giovane Emilio Riva si dannava l'anima per "vendere fumo" a politici e stampa: come se politici e stampa non ne vendessero abbastanza. Ora però siamo governati da "tecnici". Corrado Clini, da 20 anni all'Ambiente, prima come direttore generale poi come ministro, dovrebbe essere un'autorità indiscussa. Invece fa sapere che, se i giudici sequestrano alcuni impianti in attesa della bonifica, questi non ripartono più: «Per spegnerli occorrono 6-8 mesi, più altri per farlo ripartire. Se si chiude l'impianto a caldo finisce l'Ilva ed è a rischio l'intero sistema industriale italiano». Anche un vecchio ecologista come Vittorio Emiliani implora sull'Unità di «risanare senza spegnere» perché «cessare la produzione nelle aree a caldo» significa «erigere il monumento funebre alla politica e all'occupazione nella siderurgia». Bum. Corrado Passera, altro noto luminare della siderurgia (nonché amico ed ex socio di Riva nella Cai-Alitalia, quand'era al vertice di Banca Intesa e advisor del governo Berlusconi), dice che «è assolutamente necessario evitare la chiusura e lo spegnimento degli impianti, che causerebbe danni irreparabili». Eppure uno dei maggiori esperti di siderurgia, Leo Corvace di Legambiente, ha spiegato al Fatto che per riattivare un altoforno bastano «due o tre settimane». Fonti interessate? Forse. Ma nel 2002,dopo un intervento della Procura, l'Ilva preferì chiudere le cockerie (dove si distilla il carbone) che rispettare le prescrizioni, poi le riaccese tali e quali grazie a un accordo col governatore Fitto. Nulla di "irreparabile". E poi fidiamoci almeno di Emilio Riva senior, che nel 2009 illustrò così al Sole-24 ore la sua strategia contro la crisi mondiale del settore: «Preferisco tenere gli impianti produttivi fermi al 60-70 per cento, con quattro altiforni» accesi a metà e uno spento,«ricorrendo alla cassa integrazione». Quindi, se gli altiforni li spegne o li lascia in "folle" lui, va tutto bene; se i giudici ne spengono qualcuno, condannano a morte l'Ilva, la siderurgia, il sistema industriale italiano? Libero sostiene poi che «se chiudono gli altiforni italiani festeggiano tedeschi e indiani». Gli indiani non sappiamo, ma i tedeschi vantano le più basse emissioni industriali inquinanti d'Europa e le più stringenti regole igienico-ambientali. In aprile, l'Agenzia per la salute e la sicurezza alimentare della Baviera ha chiuso dall'oggi al domani 42 dei 230 negozi di una mega-catena di panificatori, la Muller Brot, quarto gruppo in Europa con 3 mila dipendenti, per gravi carenze igieniche.I sindacati han protestato per tanta severità, costata il posto a 845 persone. Ma l'Agenzia ha tirato diritto e la Muller Brot è fallita.
ORA IL MARCHIO E' PASSATO di mano e la produzione riprende, nel rispetto delle regole. Se la Germania avesse ministri come i nostri, si sarebbero precipitati in Baviera per intimare alle autorità di «bilanciare igiene e lavoro». Il Kikko Testen del luogo avrebbe chiesto di chiudere le strade perché ogni tanto la gente vi getta le cartacce. E Il Giornale e Libero avrebbero titolato: "Peggio morire di fame che mangiare pane e topi, fra l'altro la carne non è niente male".(L'Espresso)
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