Ilva, controlli continui su discariche e nastri
Verifiche sulle discariche e sulle modalità di
manutenzione dei nastri trasportatori. Le ha disposte il procuratore
capo Franco Sebastio nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale
che lo scorso 26 luglio ha portato al sequestro preventivo di sei
impianti dello stabilimento siderurgico dell’Ilva. Le discariche per
rifiuti speciali non pericolosi esistenti nel perimetro dell’acciaieria
più grande d’Europa in verità non sono state interessate dal
provvedimento di sequestro ma sui due impianti, come rivelato ieri dalla
Gazzetta, è da tempo che si concentrano le attenzioni degli inquirenti
per alcune anomalie riscontrate nel corso degli anni e riemerse
prepotentemente negli ultimi mesi, durante le visite ispettive fatte dai
consulenti nominati dal gip Patrizia Todisco.
Diverse sono
state le prese di posizione nel tempo sulla delicata vicenda. Secondo
Legambiente, «in merito alla diossina, ad esempio, l’attenzione deve
essere rivolta all’efficacia degli elettrofiltri installati
sull’agglomerato per impedire la dispersione delle polveri captate e
alle modalità di smaltimento delle stesse nelle discariche interne. Le
polveri, in base al loro livello di contaminazione da diossina, sono
destinate a differenti tipologie di discariche. Non risulta però che
vengano effettuati adeguati controlli nel merito». Ma risale addirittura
al 2007 la segnalazione alla Procura e all’Arpa fatta dal presidente di
Altamarea Biagio De Marzo sugli elettrofiltri che servono alla
«depolverazione» dei fumi delle ciminiere. In pratica questi strumenti
trattengono le sostanze nocive (tra le quali anche la diossina) ridotte
in polveri ed emesse dai camini. De Marzo chiese alla procura e all'Arpa
di attivarsi per sapere in che modo l'Ilva provvedesse alla loro
«manutenzione e pulizia». Dal 2007, anno in cui De Marzo si rivolse alle
autorità, di cose ne sono accadute. Ma la questione elettrofiltri non è
finita nel dimenticatoio, pur restando in disparte rispetto
all’inchiesta che ha portato al sequestro dell’area a caldo. Secondo
quanto risulta all’Arpa, «le polveri derivanti dall'abbattimento
dell'impianto di agglomerazione Ilva vengono classificate come rifiuto
con codice Cer 100208 "rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi
diversi da quelli di cui alla voce 100207" e pertanto come rifiuti "non
pericolosi" e smaltiti in discarica per rifiuti non pericolosi di
proprietà Ilva, all'interno dello stabilimento di Taranto», vicenda
sulla quale i carabinieri del Noe di Lecce faranno delle verifiche
approfondite nelle prossime ore dopo che ieri hanno effettuato un blitz
nel siderurgico, sequestrando una partita di argilla proveniente da una
cava di Ginosa Marina e destinata alle discariche dell’Ilva.
La
Procura vuole, peraltro, vederci chiaro sull’attività di manutenzione
svolta sui nastri trasportatori che portano i minerali dal porto ai
parchi. A quanto pare, la pulizia dei nastri viene fatta con modalità
tutt’altro che regolari, in quanto quando i nastri si bloccano per delle
incrostazioni, vengono ripuliti tramite forti getti di acqua o con
interventi di tipo manuale, con i materiali di risulta che vengono
stoccati nei parchi minerali senza le necessarie precauzioni e
autorizzazioni.
La Procura, insomma, prosegue senza soste sul
fronte Ilva in attesa di avere dai custodi indicazioni precise sugli
impianti che si possono spegnere senza subire danni; sugli impianti che
si possono tenere accesi senza farli produrre; su quelli che invece
occorre comunque far produrre per non trovarsi al cospetto di danni
irreversibili. Perché in assenza di proposte concrete da parte
dell’Ilva, e concrete non erano quelle formulate dal presidente Ferrante
l’altra sera nel corso dell’incontro svoltosi a palazzo di giustizia,
la priorità dei magistrati resta l’immediata attenuazione delle
emissioni inquinanti.
Domani, intanto, i sindacati
metalmeccanici incontreranno prima l'azienda e poi i custodi giudiziali
cui sono state affidate le aree della fabbrica finite sotto sequestro.
Gli incontri sono stati sollecitati dai sindacati per capire se
l’esecuzione del sequestro senza facoltà d’uso degli impianti avrà
nell’immediato futuro ripercussioni occupazionali. (GdM)
lva, niente sequestro
per discariche diossina. La procura le dimentica
Cosa accade nelle due discariche esistenti ormai
da anni nello stabilimento siderurgico dell’Ilva? Quali rifiuti vi
vengono smaltiti e quali controlli vengono effettuati? A sollevare dubbi
è l’esponente dei Verdi di Statte Vincenzo Conte, perché i due impianti
in questione si trovano nel territorio dell’ex borgata di Taranto,
divenuta autonoma venti anni fa, e non sono stati toccati dal
provvedimento di sequestro firmato dal giudice per le indagini
preliminari Patrizia Todisco lo scorso 25 luglio.
«La
magistratura - dice Conte - ha provveduto al sequestro dell’area a caldo
del siderurgico ma non ha preso in considerazione le discariche
dell’Ilva che da sempre operano in una situazione di totale anarchia e
in violazione di tutte le prescrizioni, come dimostrano i 4 sequestri
compiuti nel tempo dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico di
Lecce. In quel sito, vorrei ricordare, è stato smaltito tutto l’amianto
rimosso dai reparti Ilva dal ’92 in poi in quanto dichiarato fuori
legge. Durante i giorni di forte vento da nord-ovest, proprio dalle
discariche in questione, si solleva una colonna di polvere che copre la
città di Taranto. Siamo convinti - prosegue Conte - che quelle polveri
sono molto più pericolose delle polveri che sprigiona il parco
minerario: per queste ragioni chiediamo alla magistratura che venga
sequestrato il sito in questione e che si dia inizio ad un’opera di
bonifica del suolo e di messa in sicurezza della falda, ormai fortemente
compromessa dagli inquinanti».
La denuncia di Conte in effetti
trova conferma nelle carte processuali. Nel provvedimento di sequestro
dell’area a caldo, il gip Todisco scrive infatti che «nella campagna di
rilevazioni effettuate a giugno 2007 l'Arpa Puglia evidenziava
un'attività emissiva di diossine chiaramente superiore ai limiti
ottimali di altre realtà industriali. Non solo già allora evidenziava
anche una gestione illecita delle polveri degli elettrofiltri. Invero,
evidenziava l'attribuzione di codici Cer per rifiuti non pericolosi a
tali polveri che erano perciò smaltiti in una discarica sita all'interno
dell'Ilva» . Secondo quanto risulta all’Arpa, «le polveri derivanti
dall'abbattimento dell'impianto di agglomerazione Ilva vengono
classificate come rifiuto con codice Cer 100208 "rifiuti solidi prodotti
dal trattamento dei fumi diversi da quelli di cui alla voce 100207" e
pertanto come rifiuti "non pericolosi" e smaltiti in discarica per
rifiuti non pericolosi di proprietà Ilva, all'interno dello stabilimento
di Taranto». Per l’Arpa, però, «le polveri in realtà non potevano
essere smaltite nei modi effettuati dall'Ilva trattandosi di rifiuti
pericolosi (un campione) ovvero non pericolosi (tre campioni) da
smaltire comunque in discariche per rifiuti pericolosi». Quattro anni fa
l’Arpa segnalò agli organi competenti la commissione di ipotesi di
reato legate allo smaltimento illecito di tali rifiuti ad opera
dell’Ilva ma nulla è accaduto sinora, nè riguardo al profilo prettamente
penale, nè per l’aspetto amministrativo, considerato che quelle
discariche sono utilizzate dal gruppo Riva in forza prima di una
determina dirigenziale della Provincia risalente al 2006 e poi per
l’Autorizzazione integrata ambientale ottenuta nell’agosto del 2011.
Il
giudice Todisco non usa parole tenere sulla vicenda. «La dissennata e
criminale gestione delle polveri degli elettrofiltri appare in tutta la
sua gravità - si legge nel provvedimento di sequestro dell’area a caldo -
da un video allegato ad un esposto firmato dall’on. Angelo Bonelli e
dai professori Fabio Matacchiera e Alessandro Marescotti nel quale è
riportato un servizio filmato della Rai (TV7 – I figli dell’Ilva)
mandato in onda il 9 marzo scorso in cui è evidentissima la dispersione
incontrollata di polveri che fuoriescono dai Big-Bag durante la loro
movimentazione. Il video appare più eloquente di qualsiasi commento e
lascia sconcertati ove si ponga mente alla circostanza che è proprio il
contenuto di diossina di quelle polveri che è stato ritrovato nei
terreni e negli animali». Polveri poi smaltite con modalità ancora da
chiarire in luoghi probabilmente tutt’altro che idonei. (GdM)
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