Invitiamo i lettori del blog a commentare e/o inviarci le loro riflessioni sulla manifestazione di ieri e sulla situazione lavorativa/ambientale di Taranto: non possiamo più permetterci il silenzio!
L'operaio tarantino senza spina dorsale (alcune considerazioni sulla manifestazione di sabato 18)
Ieri, sabato 18 aprile si è svolta a Taranto la manifestazione contro le morti sul lavoro e per un miglior rapporto fabbriche ambiente, produzione e rispetto della vita umana.
Aldilà del solito balletto sui numeri tra organizzatori e veline degli sbirri (poi mi piacerebbe sapere perché i giornalisti, che si credono in buona fede, vanno dai suddetti sbirri a chiedere quanti partecipanti ci sono in una manifestazione, come se gli stessi giornalisti non avessero gli occhi o non sapessero contare) è stata una bella manifestazione con una buona partecipazione di varie delegazioni a cominciare dagli universitari, i comitati di quartiere, gli ambientalisti e i medici democratici, dei sindacati (quelli di base soprattutto); vi era anche il Sindaco con una delegazione del comune, poi vi erano anche alcune delegazioni di operai….delegazioni di operai!?! Questa è la nota dolente. Che ci piaccia o no parlarne è una nota dolente sulla quale anche alcuni interventi dal palco ieri hanno posto l’accento. Per farla breve: perché chi dovrebbe battersi per migliorare la propria condizione a partire dal diritto di poter tornare a casa, dopo una giornata di lavoro, sano e salvo non solo non è in prima fila ad organizzare queste manifestazioni ma poi neanche partecipa alle stesse. Mi fa venire in mente il film della Guzzanti “le ragioni dell’aragosta”. Forse le aragoste non vogliono essere difese, forse non gliene frega nulla di finire ancora vive in una pentola di acqua bollente….gli operai come le aragoste. Sì, sono convinto che è così. Se provi a chiedere a un operaio cosa ne pensi di tutto questo (uno non politicizzato o sindacalizzato perché pochi ma ve ne sono) ti risponde che l’importante è che si lavori. D’altronde cosa potrebbe rispondere dopo che per anni lo si è cullato, coccolato e santificato senza che facesse nulla per meritare tutto questo. Gli operai sono stati trattati con i guanti di velluto da parte dei sindacati (tutti), dei partiti e delle organizzazioni di sinistra; in tutti questi anni di controriforme liberiste, i movimenti si sinistra hanno sempre avuto molto rispetto per l’operaio in virtù di ciò che hanno rappresentato in passato: per ossequio nei confronti del grande movimento operaio che è riuscito ad ottenere alcune conquiste. Compagni\e è giunto il momento di smetterla con questa falsa coscienza solo “la verità è rivoluzionaria”. Se mentre facciamo queste manifestazioni, gli operai sono dentro la SNAI a gettare i loro soldi o davanti alla TV a guardare partite e grandi fratelli e porcili vari non bisogna poi giustificarli con il presunto ricatto occupazionale: sono precari, il loro posto non è sicuro, non possono rischiare ecc….
Chi dice queste cose mi fa pena anche più degli operai stessi che non tengono né al proprio futuro né a quello dei propri figli. La storia è sempre avanzata per merito di quella parte della classe che ha avuto coraggio ma non il semplice coraggio di perdere un posto di lavoro ma quello di perdere la vita nelle lotte per i propri diritti. Gente con la schiena dritta che non ha nulla a che fare con la maggior parte degli operai tarantini senza dignità e che è difficile definire uomini. Sono dei servi! Bisogna dirglielo in faccia senza mezzi termini. Già ad inizio secolo il compagno Voccoli (nonno dell’attuale segretario del P.R.C ) cercava di capire\spiegare come mai l’operaio tarantino era cos’ì incline al servilismo e ne dava una parziale spiegazione col fatto che il posto di lavoro lo otteneva per via di favori e non dopo dure lotte ( favori dal prete, dal militare, dal politico ecc..).
Quanta somiglianza con il tempo che viviamo. Naturalmente questa mia analisi non deve portare alla conclusione che l’operaio non è più la “classe rivoluzionaria”, questo non dipende dal comportamento specifico, anche se diffuso, degli operai. L’essere rivoluzionari come classe è qual’cosa che prescinde dai comportamenti della stessa in particolari periodi storici: è l’antagonismo di classe ciò che conta, cioè gli interessi in conflitto tra borghesia e classe operaia (ma oggi direi lavoratrice e non). Ci tocca un lavoro duro ma le condizioni oggettive in rapida maturazione ci daranno una mano (quando verranno sbattuti per strada allora piagnucoleranno come bambini) e l’alternativa sarà nella mobilitazione delle masse o in senso reazionario o in senso rivoluzionario. Tra non molto l’alternativa sarà ancora una volta socialismo o barbarie. Il nostro compito nell’immediato è la maggior elevazione dei livelli di conoscenza, comprensione e coscienza dei compagni\e di modo che ognuno di noi possa continuare a crescere e fare la propria parte nella società.
Vito Caferra
Aldilà del solito balletto sui numeri tra organizzatori e veline degli sbirri (poi mi piacerebbe sapere perché i giornalisti, che si credono in buona fede, vanno dai suddetti sbirri a chiedere quanti partecipanti ci sono in una manifestazione, come se gli stessi giornalisti non avessero gli occhi o non sapessero contare) è stata una bella manifestazione con una buona partecipazione di varie delegazioni a cominciare dagli universitari, i comitati di quartiere, gli ambientalisti e i medici democratici, dei sindacati (quelli di base soprattutto); vi era anche il Sindaco con una delegazione del comune, poi vi erano anche alcune delegazioni di operai….delegazioni di operai!?! Questa è la nota dolente. Che ci piaccia o no parlarne è una nota dolente sulla quale anche alcuni interventi dal palco ieri hanno posto l’accento. Per farla breve: perché chi dovrebbe battersi per migliorare la propria condizione a partire dal diritto di poter tornare a casa, dopo una giornata di lavoro, sano e salvo non solo non è in prima fila ad organizzare queste manifestazioni ma poi neanche partecipa alle stesse. Mi fa venire in mente il film della Guzzanti “le ragioni dell’aragosta”. Forse le aragoste non vogliono essere difese, forse non gliene frega nulla di finire ancora vive in una pentola di acqua bollente….gli operai come le aragoste. Sì, sono convinto che è così. Se provi a chiedere a un operaio cosa ne pensi di tutto questo (uno non politicizzato o sindacalizzato perché pochi ma ve ne sono) ti risponde che l’importante è che si lavori. D’altronde cosa potrebbe rispondere dopo che per anni lo si è cullato, coccolato e santificato senza che facesse nulla per meritare tutto questo. Gli operai sono stati trattati con i guanti di velluto da parte dei sindacati (tutti), dei partiti e delle organizzazioni di sinistra; in tutti questi anni di controriforme liberiste, i movimenti si sinistra hanno sempre avuto molto rispetto per l’operaio in virtù di ciò che hanno rappresentato in passato: per ossequio nei confronti del grande movimento operaio che è riuscito ad ottenere alcune conquiste. Compagni\e è giunto il momento di smetterla con questa falsa coscienza solo “la verità è rivoluzionaria”. Se mentre facciamo queste manifestazioni, gli operai sono dentro la SNAI a gettare i loro soldi o davanti alla TV a guardare partite e grandi fratelli e porcili vari non bisogna poi giustificarli con il presunto ricatto occupazionale: sono precari, il loro posto non è sicuro, non possono rischiare ecc….
Chi dice queste cose mi fa pena anche più degli operai stessi che non tengono né al proprio futuro né a quello dei propri figli. La storia è sempre avanzata per merito di quella parte della classe che ha avuto coraggio ma non il semplice coraggio di perdere un posto di lavoro ma quello di perdere la vita nelle lotte per i propri diritti. Gente con la schiena dritta che non ha nulla a che fare con la maggior parte degli operai tarantini senza dignità e che è difficile definire uomini. Sono dei servi! Bisogna dirglielo in faccia senza mezzi termini. Già ad inizio secolo il compagno Voccoli (nonno dell’attuale segretario del P.R.C ) cercava di capire\spiegare come mai l’operaio tarantino era cos’ì incline al servilismo e ne dava una parziale spiegazione col fatto che il posto di lavoro lo otteneva per via di favori e non dopo dure lotte ( favori dal prete, dal militare, dal politico ecc..).
Quanta somiglianza con il tempo che viviamo. Naturalmente questa mia analisi non deve portare alla conclusione che l’operaio non è più la “classe rivoluzionaria”, questo non dipende dal comportamento specifico, anche se diffuso, degli operai. L’essere rivoluzionari come classe è qual’cosa che prescinde dai comportamenti della stessa in particolari periodi storici: è l’antagonismo di classe ciò che conta, cioè gli interessi in conflitto tra borghesia e classe operaia (ma oggi direi lavoratrice e non). Ci tocca un lavoro duro ma le condizioni oggettive in rapida maturazione ci daranno una mano (quando verranno sbattuti per strada allora piagnucoleranno come bambini) e l’alternativa sarà nella mobilitazione delle masse o in senso reazionario o in senso rivoluzionario. Tra non molto l’alternativa sarà ancora una volta socialismo o barbarie. Il nostro compito nell’immediato è la maggior elevazione dei livelli di conoscenza, comprensione e coscienza dei compagni\e di modo che ognuno di noi possa continuare a crescere e fare la propria parte nella società.
Vito Caferra
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