Al Festival Internazionale di Perugia si è discusso anche di “giornalismo di inchiesta ambientale”. In un momento in cui dominano gli editori che non pubblicano e i giornalisti che subiscono censure
Com’è possibile che il problema ambientale sfugga all’informazione? Perché se ne parla nei documentari, nei libri, e non lo si legge sui giornali? Perché si stendono veli sulla questione delle ecomafie? Queste alcune delle domande emerse durante il seminario “Il giornalismo di inchiesta ambientale”, tenutosi a Perugia in seno al Festival Internazionale del Giornalismo.
A parlarne Andrea Purgatori, giornalista e scrittore nonché moderatore dell’incontro, Silvie Coyaud, giornalista scientifica, Maso Notarianni, direttore di PeaceReporter, Carlo Vulpio, inviato del Corriere della Sera e Giuseppe Ruggiero regista del documentario Biùtiful Cauntri.
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Di risposte certe per il futuro non ce ne sono. Di certo c’è solo che i giornalisti che subiscono censura sui giornali, trovano nella scrittura di libri - come Vulpio con il libro “Roba nostra” – o nella realizzazione di documentari - come Ruggiero con il film “Biùtiful Cauntri” - un modo per veicolare le notizie. D’esempio negativo è la questione dell’Ilva - impianto siderurgico con emissioni di diossina fuori dai limiti consentiti, che ha reso la città di Taranto la più inquinata d’Europa - di cui fino a poco tempo fa l’opinione pubblica ignorava la gravità.
A renderci speranzosi sono le parole degli ospiti intervenuti tra cui la Coyaud e Ruggiero: “Noi guadagniamo davvero poco rispetto al giro d’affari che c’è intorno a determinate case farmaceutiche, giornali o case di produzione cinematografica, ma siamo orgogliosi di lottare per la verità, anche senza soldi”.
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