giovedì 18 marzo 2010

Mal'aria industriale: altro che automobili!

11 marzo- Mal'aria Industriale
Iniziative e presidi nei principali siti industriali del nostro Paese per chiedere l'adeguamento degli impianti obsoleti e inquinanti ai parametri europei.

Il libro bianco sull’inquinamento atmosferico da attività produttive che denuncia il trend degli inquinanti industriali in aumento.
Malaria industriale Legambiente 2010

“Mal’Aria Industriale 2010” condanna Taranto

Il rapporto sulla qualità dell’aria parla chiaro: Taranto al primo posto tra le 33 città per PM10 e terza per emissioni di ossidi di azoto

Compie 18 anni (nato nel lontano 1992) il rapporto di Legambiente denominato Mal’Aria Industriale 2010, il libro bianco sull’inquinamento atmosferico da attività produttive che denuncia il trend degli inquinanti industriali in aumento. Da allora, fino ad oggi, gran parte delle città italiane sono passate sotto la lente di ingrandimento di Legambiente e del suo rapporto che ha evidenziato un grosso problema: le nostre città, tutte o quasi, sono assediate dal traffico, soffocate dai gas di scarico delle auto e delle grandi industrie, ingrigite dallo smog. In Italia, secondo i dati presi in considerazione, è boom di inquinamento atmosferico prodotto da fonti industriali. Tra il 2006 e il 2007, infatti, sono saliti a +15% gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), a +6% le diossine e i furani, a +5% cadmio e +3% cromo. E’ con questi dati che l’industria italiana si conferma come la principale fonte di microinquinanti scaricati in atmosfera, producendo il 60% del cadmio totale, il 70% delle diossine, il 74% del mercurio, l’83% del piombo, l’86% dei Policlorobifenili (PCB), l’89% del cromo, fino al 98% dell’arsenico. Cifre preoccupanti che non hanno destato lo stesso allarme dell’inquinamento causato dal traffico privato poiché, a parte qualche rara eccezione come il polo siderurgico della nostra Taranto, la fonte industriale, non è ancora entrata nell’immaginario collettivo come un problema da affrontare. Eppure l’industria contribuisce in modo molto sensibile alla Mal’Aria del Paese: con il 26% di PM10 emesso a livello nazionale, un livello di emissioni superiore a quello prodotto dal trasporto stradale (che incide sul totale solo per il 22%, ma che diventa la prima fonte di emissione nei centri urbani). Oltre alle polveri sottili, la fonte industriale scarica, poi, in atmosfera il 79% degli ossidi di zolfo (SOx) – ormai insignificanti nel settore dei trasporti grazie alle specifiche sempre più stringenti sulle concentrazioni di zolfo nei carburanti – e il 23% degli ossidi di azoto (NOx), precursore della produzione del PM10 secondario e dell’ozono, inquinante tipicamente estivo. Passando dai macro ai microinquinanti, il contributo delle attività produttive denunciato da Mal’aria Industriale si conferma come davvero rilevante: ad eccezione del benzene (le emissioni industriali contribuiscono “solo” per il 15% rispetto al totale), degli IPA (34%) e del nichel (35%) infatti, l’industria italiana è la principale fonte di microinquinanti scaricati in atmosfera, con almeno il 60% del contributo totale come nel caso del cadmio, fino ad arrivare al 98% nel caso dell’arsenico. Ma analizziamo cosa succede in casa nostra. Nel rapporto si legge: “Secondo il Quinto rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano di Ispra pubblicato nel 2009, Taranto si colloca al primo posto tra le 33 città considerate per emissioni di PM10:5.216 tonnellate all’anno in termini di valore assoluto, di cui il 92% imputabile proprio al settore industriale. La città si distingue anche per le emissioni di ossidi di azoto: si colloca al terzo posto con 17.712 t di NOx, in valore assoluto, dopo Venezia (19.318 t) e Roma (27.533 t)”. Altre informazioni utili arrivano dalla “Relazione sui dati ambientali dell’area di Taranto” di Arpa Puglia presentata nell’ottobre 2009. Secondo l’Agenzia “la presenza di microinquinanti nei campioni di aria ambiente e di polveri aerodisperse è attribuibile alle emissioni del comparto industriale, avendo provato una evidente direzionalità dell’inquinamento”.Oltre alle note criticità sulle diossine, secondo Arpa “permane la criticità per i microinquinanti organici IPA, in riferimento al benzo(a)pirene, con valori superiori a 1 ng/m3 (limite imposto dal D. Lgs.152/07)”. Vale la pena ricordare che a Taranto ci sono numerose fonti industriali di idrocarburi policiclici aromatici, la più importante delle quali è costituita dall’Ilva. Per dare la dimensione del problema secondo l’Ispra l’emissione totale di IPA della provincia di Taranto è circa il 75% di quella regionale e il 23% di quella nazionale. Secondo Arpa “le deposizioni atmosferiche totali (secche e umide) di IPA totali e Benzo(a)pirene misurate in area di Taranto e Statte eccedono i valori riscontrabili in letteratura per siti di analoga classificazione (urbana/industriale). Risulta particolarmente elevata la deposizione di BaP misurata per la stazione di campionamento nel Rione Tamburi, Taranto”. Nella tabella che segue riportiamo i valori dei microinquinanti rilevati dall’Arpa Puglia in due campagne di monitoraggio effettuate nei mesi di agosto 2008 e marzo 2009: il rione Tamburi continua a far registrare alte concentrazioni di benzo(a)pirene, con con valori che arrivano fino a 1,3 ng/m3 per questo superiori al limite di legge di 1 ng/m3.
I monitoraggi vento selettivi hanno evidenziato che esiste ovviamente una netta direzionalità dell’inquinamento dall’area industriale verso le centraline. Stando a quanto riportato dall’Arpa nella pubblicazione dell’ottobre 2009, le concentrazioni di IPA provenienti dal settore sottovento all’area industriale sono 12 volte superiori a quelle rilevate sopravento nel sito Tamburi Chiesa e circa 18 volte superiori a quelle del sito Tecnomec. Dal rapporto di concentrazione tra campioni sottovento e sopravento, emerge che la concentrazione di Benzo(a)pirene nel quartiere Tamburi/Chiesa è la più alta (92 volte superiore!) ed è dovuta alla vicinanza con l’Ilva e in particolare con le cokerie.
Antonello Corigliano (Pugliapress, martedì 16 marzo)

Nessun commento: