giovedì 6 marzo 2014

Tutti i livelli dello Stato: Vendola, Stefano, Florido, Conserva, Nicastro, Fratoianni, Pelaggi, Assennato... E pure il prete!

Per avere un quadro più ricco, pubblichiamo alcuni articoli che riferiscono del rinvio a giudizio di 53 persone nell'inchiesta Ambiente Svenduto: il grande affaire Ilva!

“Ambiente svenduto”: cinquantatré rinvii a giudizio per l’ILVA di Taranto
 
La procura della Repubblica di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio di cinquantatré indagati, cinquanta persone e tre società, nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente svenduto”. Tra gli altri, il presidente della Regione Puglia  e per Emilio, Nicola e , proprietari dell’ di Taranto.
I governatore Vendola è imputato di accusato di concussione aggravata in concorso con Girolamo Archinà, ex dirigente dei rapporti istituzionali del siderurgico, Fabio Arturo Riva, ex vicepresidente del gruppo, Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento tarantino e Francesco Perli, legale dell’azienda.
Per i Riva, inoltre, (Fabio rifugiato in Inghilterra è in attesa di essere estradato) insieme con Capogrosso,  per le morti per amianto di operai dello stabilimento è stata chiesta una pena di quattro anni e sei mesi a testa. Tra le accuse contestate in un altro processo, l’omicidio colposo e l’omessa cautela di precauzioni necessarie per tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.
Secondo gli inquirenti, nel 2010 il presidente Vendola avrebbe fatto pressioni sul direttore generale dell’ARPA Puglia, l’Agenzia Regionale per la Protezione e Prevenzione dell’Ambiente per “ammorbidire” la posizione dell’agenzia sulle emissioni nocive dell’ILVA; rinviati a giudizio, quindi, per favoreggiamento personale Giorgio Assennato e, fra gli altri, il suo direttore scientifico Massimo Blonda, Donato Pentassuglia, presidente della commissione Ambiente alla Regione e l’assessore regionale all’Ambiente .
La richiesta di rinvio a giudizio è stata formalizzata per concussione anche per l’ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido del Pd, arrestato a maggio 2013 insieme con l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva per aver fatto pressioni insieme ad Archinà su due suoi dirigenti per facilitare il rilascio dell’autorizzazione di una discarica per rifiuti speciali all’interno dell’ILVA; e per il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, accusato di abuso d’ufficio per non aver tutelato la salute dei suoi concittadini. A processo anche un ispettore di polizia, un sottufficiale dei carabinieri, un avvocato e un parroco, coinvolti a vario titolo nelle indagini sui rapporti fra ILVA e società civile. (Ambienteambienti)

GLI ALTRI NOMI DELL'INCHIESTA - Nell'inchiesta risultano coinvolti anche il sindaco Ippazio Stefàno, il parlamentare di Sel, Nicola Fratoianni (all'epoca assessore regionale), l'attuale assessore regionale all'Ambiente Lorenzo Nicastro, il consigliere regionale del Pd Donato Pontassuglia. Gli altri avvisi di garanzia sono in corso di notifica al patron Emilio Riva e ai suoi figli Nicola e Fabio. Sono ancora coinvolti il consigliere regionale Donato Pentassuglia i dirigenti della Regione Antonicelli, Manna, Pellegrino ed anche il direttore dell'Arpa Giorgio Assennato, il direttore scientifico dell'Arpa Massimo Blonda. Ecco la lista di tutti gli indagati: Emilio Riva (1926), Nicola Riva (1958), Fabio Arturo Riva (1954); Luigi Capogrosso (1955), Marco Andelmi (1971), Angelo Cavallo (1968), Ivan Dimaggio (1969), Salvatore De Felice (1964), Salvatore D'Alò (1959), Girolamo Archinà (1946), Francesco Pervi (1954), Bruno Ferrante (1947), Adolfo Buffo (1956), Antonio Colucci (1959), Cosimo Giovinazzi (1974), Giuseppe Dinoi (1984), Giovanni Raffaelli (1963), Sergio Palmisano (1973), Vincenzo Dimastromatteo (1970), Lanfranco Legnani (1939), Alfredo Cerinani (1944), Giovanni Rebaioli (1948), Agostino Pastorino (1953), Enrico Bessone (1968), Giuseppe Casartelli (1943), Cesare Cotti (1953), Giovanni Florido (1952), Michele Conserva (1960), Vincenzo Specchia (1953), Lorenzo Liberti (1942), Roberto Primerano (1974), Marco Gerardo (1975), Angelo Veste (1938), Giovanni Bardaro (1962), Donato Perrini (1958), Cataldo De Michele (1959), Nicola Vendola (1958), Ippazio Stefàno (1945), Donato Pentassuglia (1967), Antonello Antonicelli (1974), Francesco Manna (1974), Nicola Fratoianni (1972), davide filippo Pellegrino (1961), Massimo Blonda (1957), Giorgio Assennato (1948), Lorenzo Nicastro (1955), Luigi Pelaggi (1954), Dario Ticali (1975), caterina Vittoria Romeo (1951), Pierfrancesco Palmisano (1953), Ilva spa (in persona del commissario straordinario Enrico Bondi), Riva Fire spa (in persona del consigliere delegato e legale rappresentante Angelo Massimo Riva ), Riva Forni Elettrici spa (in persona del presidente legale e rappresentante Cesare Federico Riva). (CdM)

Ilva, un sistema infetto: concussione, corruzione e disastro ambientale. 50 richieste di rinvio a giudizio

Ci sono impresentabili di serie A e impresentabili di serie Z. Campagne mediatiche per chiedere la testa di Tizio, mentre i Caio e i Sempronio rimangono al loro posto, nascondendosi dietro il dito della "presunzione d'innocenza", in Italia valida solo per i politici. 
Ieri il ministro Boschi (Riforme) ha spiegato ai pochi deputati presenti in Aula che il governo, proprio per la presunzione d'innocenza, non ha alcuna intenzione di chiedere le dimissioni dei sottosegretari indagati o imputati (Barraciu, De Caro, De Filippo, Bubbico) figuriamoci del ministro Lupi (concorso in abuso d'ufficio). Resta da capire perchè Renzi abbia sostenuto che la Baracciu non andava bene come indagata candidata governatrice della Sardegna, ma è perfetta come sottosegretario alla Cultura.  Dopo pressioni di stampa e opinione pubblica, il sottosegretario Gentile (NCD) si è dimesso. Nessuno ha fiatato (e la notizia è rapidamente scomparsa dai principali quotidiani) per il rinvio a giudizio del compagno di partito Roberto Formigoni, ex governatore della Lombardia, presidente della Commissione Agricoltura. Sul suo capo accuse di corruzione e associazione a delinquere nell'inchiesta Maugeri sulla Sanità. Bazzeccole.  
Oggi giunge notizia della richiesta di rinvio a giudizio per Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata nell'ambito dell'inchiesta sull'Ilva di Taranto, altra indagine che rischia di venire archiviata dai media con troppa fretta. Secondo gli inquirenti il governatore della Puglia avrebbe abusato del suo ruolo e, assieme al patron Fabio Riva e all'ex responsabile delle comunicazioni dell'azienda Girolamo Archinà (quello della famigerata intercettazione pubblicata dal Fatto alcuni mesi fa), avrebbe "implicitamente minacciato" con la "mancata riconferma nell'incarico"  Giorgio Assennato, direttore dell'ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), allo scopo di renderlo più 'morbido' nei confronti dell'azienda, in particolare sulle "emissioni nocive prodotte dall'impianto siderurgico dell'Ilva s.p.a. ed a dare quindi utilità a quest'ultima, consistente nella possibilità di proseguire l'attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni".  E' un'accusa gravissima di un'inchiesta che, non a caso, si chiama "ambiente svenduto". 
Oltre a quella di Vendola, ci sono altre 50 richieste di rinvio a giudizio: per i Riva (Fabio, Emilio, Nicola), Archinà, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso l'accusa è di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari e all'omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Fabio Riva assieme ad Archinà deve rispondere anche del reato di corruzione in atti giudiziari: avrebbero versato una tangente di 10mila euro ad un professore universitario (Lorenzo Liberti) che collaborava con la Procura proprio sulle emissioni dell'Ilva. Tra i neo imputati anche Luigi Pelaggi, che nel 2011, quando venne rilasciata l'autorizzazione ambientale all'Ilva, faceva parte della commissione incaricata a decidere. Pelaggi era anche alla guida della segreteria tecnica dell'allora ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. 
Imputati anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno (omissioni in atti d'ufficio, non avrebbe adottato provvedimenti per "prevenire ed eliminare i pericoli" causati dall'Ilva di cui era a conoscenza) e l'ex presidente della Provincia, Gianni Florido (tentata concussione, pressioni per far ottenere l'autorizzazione alla discarica ILVA).  
L'inchiesta è partita nel 2009, ma il caso è deflagrato negli ultimi due anni, con il lungo braccio di ferro relativo alla chiusura degli impianti, fino al "sequestro per equivalente di beni, quote societarie e denaro fino alla concorrenza di 8.1 miliardi di euro nei confronti di Riva Fire e Ilva". Decisione poi annullata senza rinvio dalla Cassazione. Ma la questione Ilva si trascina da oltre un decennio. Il patriarca Emilio Riva ha già collezionato due condanne (nel 2002 e nel 2007) per l'inquinamento prodotto dall'azienda, senza che i vertici avessero messo in atto delle contromisure a tutela dell'ambiente. 
Un caso anche politico, che ha visto i governi e i vari ministri dell'Ambiente che si sono succeduti (Monti-Clini, Letta-Orlando) incapaci di fornire risposte convincenti. E con un evidente conflitto d'interessi: Enrico Bondi è stato nominato dal governo Letta commissario governativo del gruppo Ilva, un mese dopo aver lasciato il precedente incarico: amministratore delegato della stessa azienda. (IBT)


Per la  Procura di Taranto Emilio Riva e i suoi figli Nicola e Fabio (rifugiato in Inghilterra in attesa di giudizio di appello sull’estradizione), proprietari dell’Ilva,  insieme all’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, devono essere processati.  I Pm hanno infatti oggi richiesto il rinvio a giudizio per 50 persone e tre società.

L’inchiesta era stata già avviata nel 2009, ma di fatto la svolta era avvenuta nel 2012, grazie a due perizie che evidenziavano il pesante impatto dell’Ilva sull’ambiente e soprattutto sulla salute dei cittadini di Taranto. Da li partì il sequestro degli impianti e successivamente i  primi arresti. 
Le accuse  depositate oggi dalla Procura sono decisamente gravissime e riguardano non solo i proprietari dell’Ilva, ma anche i loro ‘fiduciari’ (il cosiddetto governo ombra della fabbrica). Vanno dall’associazione a delinquere, disastro ambientale, inquinamento, avvelenamento di sostanze alimentari, fino all’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni, corruzione, concussione, falso e infine abuso d`ufficio. Fra le accuse c’è anche quella di aver fatto pressioni su politici e amministratori, mass media, organizzazioni sindacali, forze dell’ordine e clero, per ridimensionare i problemi ambientali e consentire allo stabilimento di proseguire l’attività produttiva “senza il minimo rispetto anzi in totale violazione e spregio della normativa vigente”.  Ma non solo. Rinviato a giudizio per concussione aggravata  anche  il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, leader di Sel. Vendola è imputato dalla Procura per le pressioni sui vertici dell’Arpa Puglia, affinché ‘ammorbidisse’ l’azione di controllo sull’Ilva, in particolare in relazione alle emissioni nocive prodotte dall'impianto siderurgico, dando così la possibilità a quest’ultimo di proseguire indisturbato l’attività produttiva, senza dover subire riduzioni o rimodulazioni.
Riguardo al presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, ecco quanto dichiara la Procura nel fascicolo: “In concorso tra loro nella gestione dell'Ilva di Taranto operavano e non impedivano con continuità e piena consapevolezza una massiva attività di sversamento nell'aria-ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle
aree interne allo stabilimento, nonché rurali ed urbane circostanti lo stesso, in particolare Ipa, benzoapirene, diossine, metalli ed altre polveri nocive, determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica e cagionando eventi di malattia e morte nella popolazione residente nei quartieri vicino al siderurgico e ciò anche in epoca successiva al provvedimento di sequestro preventivo di tutta l'area a caldo”, avvenuta il 26 luglio del 2012. 
L’ex direttore Adolfo Buffo è invece accusato di aver omesso le misure di sicurezza necessarie alla protezione dei lavoratori, e di aver quindi causato la morte di due operai a ottobre e novembre del 2012, Claudio Marsella e Francesco Zaccaria.   
Diverse, infine, le accuse,  che vanno dall'associazione a delinquere alla concussione, che coinvolgono Girolamo Archinà, l'ex consulente dell'Ilva,  licenziato ad agosto 2012 e poi arrestato a novembre 2012. Archinà è stato uno dei personaggi chiave dell'indagine, colui che manteneva infatti i rapporti con i personaggi delle istituzioni, della politica e del sindacato. Era lui quindi il cosidetto ‘maestro degli insabbiamenti’. 
La Procura ha chiesto il processo anche per il sindaco di Taranto, per omissione di atti d’ufficio e per Gianni Florido, l’ex presidente della Provincia di Taranto (Pd), dimessosi a maggio in seguito all’arresto. Florido in particolare è accusato  per le pressioni esercitate nei confronti dell’assessorato all’Ambiente affinché assumesse un atteggiamento di favore nei confronti dell’Ilva e facilitasse le autorizzazioni in materia ambientale. Oggetto di indagine anche la discarica Mater Gratiae, nell'area di Statte (Taranto) e di proprietà Ilva, che ad ottobre scorso il Parlamento ha poi definitivamente autorizzato con una legge.
A questo punto sarà compito del  Gup fissare la data dell’udienza per il rinvio o meno a giudizio delle persone per le quali la Procura ha chiesto il processo. (Dazebao)


Vendola, chiesto il rinvio a giudizio sul caso Ilva: “Concussione aggravata”

Non sono bastate oltre sette ore di interrogatorio per convincere la Procura di Taranto dell’innocenza del governatore di Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione al termine dell’inchiesta “ambiente svenduto” sull’Ilva di Taranto. Un interrogatorio caratterizzato da “troppi non ricordo”, che secondo fonti investigative oggi si sono tradotti per il leader di Sinistra ecologia e libertà nella richiesta di rinvio a giudizio che gli inquirenti hanno depositato poche ore fa. Per il pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio, infatti, Vendola in accordo con Fabio Riva, proprietario della fabbrica, e l’ex potente responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà ha abusato “della sua qualita di Presidente della Regione Puglia” e “mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico” di direttore dell’Arpa Puglia, ha costretto Giorgio Assennato ad “ammorbidire” la posizione della’agenzia regionale di protezione ambientale “nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva s.p.a. ed a dare quindi utilità a quest’ultima, consistente nella possibilità di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni”.
Proprio Assennato, infatti, con una nota del 21 giugno 2010 aveva suggerito “sulla scorta dei risultati dei campionamenti della qualità dell’aria eseguiti dall’Arpa nell’anno 2009 che avevano evidenziato valori estremamente elevati di benzo(a)pirene, l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Un’ipotesi che aveva mandato su tutte le furie i Riva e lo stesso Vendola che il giorno dopo, il 22 giugno 2010, in un incontro con gli assessori Nicola Fratoianni e Michele Losappio, aveva “fortemente criticato” l’operato dell’Arpa e sostenuto che ‘cosi com’è Arpa Puglia può andare a casa perché hanno rotto…’” ribadendo che “in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”. Non solo. I pm scrivono che dopo sole 24 ore Vendola ha convocato il direttore scientifico dell’agenzia, Massimo Blonda, “per ribadirgli i concetti espressi nell’incontro” del giorno precedente. Infine, il 15 luglio successivo, aveva indetto una riunione informale alla quale hanno partecipato anche i Riva, Archinà e l’allora direttore dell’Ilva Luigi Capogrosso, mentre Giorgio Assennato, “che pure era stato convocato” era stato lasciato fuori dalla stanza e “ammonito dal dirigente Antonicelli, su incarico del Vendola, a non utilizzare i dati tecnici sul benzo(a)pirene come ‘bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano’”. Accuse gravi, insomma, per le quali Nichi Vendola rischia di finire sotto processo.
La stessa richiesta è stata formulata per gli altri 49 indagati e per le tre società (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici) finite nell’inchiesta all’atto di chiusura delle indagini. La Procura di Taranto, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio anche per Emilio, Nicola e Fabio Riva accusati di associazione a delinquere insieme ad Archinà, al direttore Capogrosso, al consulente legale dell’azienda Francesco Perli e a cinque fiduciari, finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Non solo. Fabio Riva e Archinà dovranno rispondere anche di corruzione in atti giudiziari per aver versato secondo i pm una tangente da 10mila euro a Lorenzo Liberti, docente universitario e all’epoca dei fatti consulente della procura che indagava sulle emissioni della fabbrica.
Rischiano il processo anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e l’ex presidente della Provincia, Gianni Florido. Stefàno è accusato di omissioni in atti d’ufficio, perché in qualità di primo cittadino e quindi di autorità locale avrebbe omesso di adottare provvedimenti per “prevenire e di eliminare i gravi pericoli” derivanti dall’allarmante situazione di emergenza dovuta ai veleni dell’Ilva di cui era a conoscenza. Un atteggiamento omissivo, che secondo i magistrati, avrebbe procurato alla famiglia riva e all’Ilva un vantaggio economico visto che non sono stati abbassati i livelli produttivi. Florido, finito in carcere il 15 maggio 2013 è accusato insieme all’ex assessore all’Ambiente, Michele Conserva, e ad Archinà, di tentata concussione: secondo le dichiarazioni del dirigente Luigi Romandini, Florido a Conserva avrebbero fatto pressioni perché il dirigente rilasciasse l’autorizzazione alla discarica Ilva per permettere all’azienda di smaltire i rifuti all’interno risparmiando così milioni di euro.
Richiesta di rinvio a giudizio anche per Luigi Pelaggi, ex capo della segreteria tecnica del ministro Stefania Prestigiacomo e membro della commissione che nel 2011 rilasciò l’autorizzazione a produrre all’Ilva. (FQ)




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