Ilva presenta il piano al Governo
Inizia l'ultimo miglio della vicenda Ilva. O la va, o la spacca. Venerdì Enrico Bondi ha incontrato in via Veneto a Roma il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. Per la prima volta, il commissario ha illustrato le grandezze economiche e finanziarie di un piano industriale che, ormai, è in via di ultimazione. Un confronto a tutto tondo, che sarà ripetuto la prossima settimana, di natura "politica" ma anche operativa, dato che vi hanno partecipato il viceministro Claudio De Vincenti - elemento di continuità nella gestione della maggiore crisi industriale italiano, già sottosegretario con Monti e con Letta - e diversi esponenti della tecnostruttura ministeriale.
Nelle ultime ore, dunque, le tessere stanno andando tutte al loro posto. Pure nei passaggi più formali, ma non meno essenziali. Per esempio con l'intenzione da parte dei consulenti di Bondi di mostrare una parte consistente della prima bozza del piano industriale all'ufficio legislativo del Governo. Il piano industriale, il cui work in progress si sta completando ora dopo ora, è - seppur nella forma ancora parziale di una prima bozza - per la prima volta al vaglio dell'Esecutivo Renzi. Quando il piano sarà completato - questione di una, massimo due settimane - Bondi lo girerà ai Riva. I quali, entro dieci giorni, potranno dare valutazioni. Bondi avrà il potere di accoglierle o di rifiutarle. A quel Bondi girerà il piano al ministro Guidi, la quale a sua volta lo indirizzerà al Consiglio dei ministri, che lo delibererà con un apposito proprio decreto.
In realtà, una ipotetica pietra di inciampo potrebbe essere rappresentata dal fatto che il piano ambientale, che dal punto di vista "logico" precede il piano industriale, non è ancora stato pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale: manca il via libera della Corte dei Conti, la quale deve dare una valutazione dato che la forma assunta dal piano ambientale è quella di un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri. Dunque, come spesso capita in Italia, le cose non sono affatto lisce. In ogni caso, ora la palla è ora in mano alla famiglia Riva che, in tutti questi mesi, ha scelto il più rigoroso dei silenzi, preferendo non manifestare mai - in pubblico - le proprie valutazioni sull'operato di Bondi, da essa nominato amministratore delegato nell'aprile 2012 e poi, due mesi dopo - nel giugno 2012 - trasformato in commissario dal Governo Letta. Un silenzio sulle scelte economiche e industriali del commissario che è stato scelto anche per riportare l'intero conflitto - esplosivo dal punto di vista economico e sociale, ambientale e sindacale - nell'alveo dell'asettico confronto giudiziario. Comunque sia, nell'arco di poche settimane si dovrebbe sapere quale direzione prenderà questa vicenda che sta condizionando da più di un anno e mezzo la vita pubblica italiana: il rapporto fra impresa e magistratura, gli equilibri nella fornitura di acciaio per la manifattura italiana nel suo complesso, il legame fra lavoro e salute. Nel senso che, a quel punto, di fronte al piano elaborato da Bondi, basato sulla conversione sul metano e su una reindustrializzazione dell'impianto di Taranto radicali e mai sperimentati prima in Europa, i Riva dovranno dire che cosa ne pensano.
E, soprattutto, dovranno esprimersi sulla adesione o meno a un aumento di capitale che, ormai, è inevitabile. Non soltanto per finanziare la conversione industriale, ma anche per gestire una finanza di impresa che ormai appare in condizioni deleterie. Dunque, non prima della seconda parte di aprile appare più che probabile la convocazione di una assemblea straordinaria da parte del commissario Bondi, il quale dovrebbe lanciare un aumento di capitale. Gli attuali azionisti vi potranno aderire o no. Se questo non accadesse, Bondi potrà cercare nuovi soci sottoscrittori. Se non li trovasse, all'interno dello stesso profilo giuridico che ha reso il piano industriale elaborato da lui e dai suoi collaboratori una legge dello Stato, potrebbe andare a cercare altrove i soldi. In particolare, potrebbe attingere al denaro sottoposto a sequestro dalla Procura di Milano per reati valutari e fiscali, quegli 1,9 miliardi di proprietà di Emilio, il decano della famiglia, e del fratello Adriano, scudati e lasciati per la maggior parte su conti di banche estere. Una scelta che, di nuovo, potrebbe accendere il confronto con la famiglia Riva, che difficilmente starebbe in silenzio di fronte a questa decisione. (Sole24h)
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