Vi ricordate la sera del 1 gennaio, quando Taranto venne avvolta da una cappa di nuvole, umidità e vapore tanto per ricordarle che il cambiamento tanto agognato è ancora molto lontano? Bene. Ieri ARPA Puglia ha pubblicato sul sito ufficiale una relazione su quanto accadde quel giorno. Nella relazione, alla quale è anche allegato il verbale del sopralluogo effettuato dai tecnici il 10 gennaio, si legge che “il nuvolone rossastro (che riproponiamo nella foto in pagina, anch’essa allegata alla relazione) che staziona sopra Ilva, ha assunto verosimilmente questo colore per il riflesso del tramonto e/o delle luci rossastre dell’Ilva. Le colonne di emissioni che si levano dallo stabilimento sembrano costituite essenzialmente da vapore, e almeno in un caso sembrano provenire dallo sfornamento della cokeria (si intravede l’estremità di una torre di spegnimento del coke)”.
Nella relazione ARPA sostiene che la rete della qualità
dell’aria non ha registrato significative criticità sino alle 19 del 1
gennaio, “ora a partire dalla quale si sono osservati i alcuni
incrementi nella concentrazione di determinate sostanze”. Certamente
quel giorno ci si è messo di mezzo anche il clima (con una media di
umidità nell’aria del 91% ed un vento pressoché nullo a velocità media
di 6 km/h).
L’ARPA infatti sostiene che “il fenomeno atmosferico è
stato singolare: passando alle ore 19,30 circa in auto nella Città
Vecchia, si osservava giungere, dall’area industriale, una serie di
pennacchi di vapore che investivano direttamente la città ad altezza
d’uomo, tanto che in un punto, passando all’interno di uno di questi
pennacchi, sembrava (per pochi metri) che ci fosse una nebbia fitta”.
Ciò detto, come riportammo su queste colonne il 4 gennaio, quelle
colonne di fumo non contenevano soltanto vapore (come impudentemente
sostenuto da qualche politico locale, a cominciare dal parlamentare del
Pd, Pelillo).
I tecnici ARPA infatti, nei giorni a seguire, hanno
proceduto ad esaminare l’andamento delle concentrazioni di inquinanti e
dei parametri meteo rilevati dalle centraline di monitoraggio della
qualità dell’aria dell’area di Taranto. Evidenziando in primis un
aspetto che dovrebbe far riflettere su quanto ancora oggi non sia stato
fatto a Taranto in termini di tutela ambientale, anche solo dal punto di
vista dei macchinari che gli enti preposti al controllo dei fenomeni
emissivi dovrebbero avere a disposizione: “Riguardo al fenomeno
meteorologico osservato, si fa presente che, per tentare di interpretare
il fenomeno osservato, sarebbe necessario disporre ora per ora di una
caratterizzazione delle condizioni meteorologiche lungo la verticale che
solo i profilatori e/o i sondaggi ci possono dare. Purtroppo a Taranto
attualmente non si dispone di queste informazioni”. Dunque, questo vuol
dire soltanto che nel 2014 siamo ancora lontani dal poter avere una
visione a 360° di quanto avviene nell’aria-ambiente.
I tecnici ARPA passano poi ad analizzare il fenomeno
atmosferico ricordando che “Ilva emette fumi umidi (che contengono,
quindi, vapore a diverse quote a partire anche dal suolo (emissioni
diffuse). Il vapore condensa quando le condizioni atmosferiche di
temperatura ed umidità sono favorevoli al processo di condensazione. Si
osserva come i fumi caldi ed umidi siano riusciti per galleggiamento (in
assenza di vento) a raggiungere una certa altezza, al di sopra della
quale l’aria era satura e quindi da qui la formazione della nube. La
colorazione di quest’ultima viene accentuata sia dall’ora (il tramonto)
che dalla tipica luce “arancione” della rete di illuminazione pubblica”.
Successivamente alle ore 19:30 però, le condizioni atmosferiche
favorevoli alla condensazione, unite all’innescarsi di una inversione
termica in prossimità del suolo, “hanno fatto sì che la “nube” si
formasse molto più in basso. In tali condizioni (favorevoli
all’accumulo) è molto probabile che si osservi un aumento delle
concentrazioni degli inquinanti”.
Per quanto riguarda i dati della rete della qualità
dell’aria dell’Ilva, si è avuto un incremento degli inquinanti Black
Carbon (particolato carbonioso) e Idrocarburi Policiclici Aromatici
(IPA) intorno alle 20 della serata dell’1/01/14 e la mattina del
02/01/14 intorno alle 7 nelle centraline di “Tamburi” e “Parchi”. Per
quanto riguarda invece le centraline di qualità dell’aria dell’Arpa,
risultavano spente dalla mattina del 1 gennaio le stazioni del Testa, di
Piazza Garibaldi e di Via Archimede (per le quali sono stati aperti
tempestivamente i ticket per il ripristino); nelle altre non è stata
registrata alcuna criticità. Infine, come testimoniato anche dal verbale
predisposto dal DAP Arpa di Taranto della visita ispettiva in Ilva del
10 gennaio, si è rilevato che non sono stati registrati da Ilva fenomeni
di slopping nelle acciaierie nel periodo dall’1 all’8 gennaio.
La relazione dunque, certifica sia il particolare fenomeno
atmosferico, che alcuni superamenti di alcuni inquinanti. Come
riportammo infatti su queste colonne, le emissioni a cui si è assistito
il 1 gennaio, sono infatti dovute alla fase di “spegnimento del coke”
che avviene nel reparto “Cokeria” dell’Ilva. Il vapore che si genera in
tale processo viene diffuso in atmosfera mediante un’apposita torre che
rappresenta la fonte di emissione in atmosfera: in pratica ciò che
accade diverse volte nell’arco di ogni singola giornata da decenni.
Ma come già segnalato, non si pensi che tale processo non
sia normato: tutt’altro. Per questa operazione, la prescrizione n. 49
dell’AIA riesaminata nell’ottobre del 2012, recita testualmente: “Si
prescrive all’azienda che l’emissione di particolato con il flusso di
vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento sia inferiore a 25
g/t coke. Si prescrive, altresì, di presentare, entro 6 mesi dal
rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, un progetto esecutivo
per il conseguimento di un valore inferiore a 20 mg/Nm3. Si prescrive
all’azienda di eseguire, con frequenza mensile, il monitoraggio delle
emissioni diffuse di polveri da tutte le torri di spegnimento con metodo
VDI 2303 (Guidelines for sampling and measurement of dust emission from
wet quenching)”. Data di scadenza per la consegna del progetto, 24
aprile 2013: termine ovviamente rispettato.
Tant’è vero che anche nel verbale di verifica
dell’attuazione delle prescrizioni AIA redatto dall’ISPRA dopo la terza
ispezione avvenuta il 10 e 11 settembre dello scorso anno, si leggeva
che “in base alle registrazioni fornite da Ilva e relative al periodo
aprile-giugno 2013, sono state riscontrate emissioni di particolato, in
alcuni casi superiori a 25 g/t coke, per le torri di spegnimento n.4 e
n.5, asservite alle batterie 7-8, sia per le torri n.6 e n.7, asservite
alle batterie 11-12, attualmente in funzione”. I problemi di questa
operazione sono due: il primo è che le torri di spegnimento non sono
dotate di filtri che trattengano il particolato del coke che il vapore
trascina con sé. L’unica “limitazione” alle polveri emesse infatti, è
“garantita” dalle delle così dette “persianine”, che altro non sono che
delle sporgenze interne alle torri, su cui la polvere “dovrebbe”
depositarsi.
Secondo problema: l’Ilva non è dotata dello spegnimento a
secco del coke (“dry quenching”) che viene utilizzato in diversi
impianti siderurgici europei, che consente da un lato un notevole
risparmio energetico e dall’altro l’eliminazione delle nubi di vapore
che portano con se il particolato del coke. ARPA Puglia, nel corso del
processo istruttorio della commissione IPPC di riesame dell’AIA, aveva
proposto di esaminare la possibilità di adozione di tale procedimento:
ma il suggerimento, nemmeno a dirlo, non fu accolto.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 07.03.2014)
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