Quando la bestia si chiama uomo
di Riccardo Bocca
Violenze. Abbandoni. Incuria. Commerci illegali. In Italia si moltiplicano i casi di maltrattamento degli animali. Spesso nella indifferenza delle istituzioni
Non ci sono parole. C'è il delirio di 120 cani che abbaiano disperatamente. C'è la distesa di feci e urine attorno a queste bestie. C'è il tanfo dell'acqua putrida dentro abbeveratoi che grondano muffa. C'è la pena per il lupo e i bastardini che saltellano allucinati, roteando su se stessi con lo sguardo fisso. Questo si trova nel canile privato D.a.c. di Crispiano, 13 mila abitanti alle porte di Taranto.
Un quadro che gli attivisti Lav (Lega anti vivisezione) denunciano dal 2006: «L'unica alienante prospettiva visuale, per gli animali, è l'opprimente muro perimetrale», hanno scritto alla Procura. Hanno segnalato anche «la totale e ininterrotta costrizione in cattività, in spazi estremamente squallidi e angusti». Eppure non è servito. I magistrati non hanno ritenuto di procedere, e per la Asl locale il caso non esiste. Così si è andati avanti.
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«Perché la gente, a ragione, resta turbata quando i branchi di cani attaccano l'uomo», spiega l'ausiliario di polizia giudiziaria Bruno Mei Tomasi, presidente dell'Anta (Associazione nazionale tutela animali): «Ma l'abbandono di queste bestie non è casuale: alle spalle c'è un business da un miliardo e mezzo di euro». Un affare, testimonia Mei Tomasi, gestito silenziosamente da canili privati del Centrosud: «Lager indecenti che catturano gli animali (ottenendo dai Comuni tra i 2 ai 5 euro al giorno per il mantenimento), li fanno riprodurre in condizioni pietose, e liberano i nuovi nati per poterli riacciuffare».
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