sabato 30 maggio 2009

Ma il Paròn di sicuro non muore di fame...

L’emergenza cassa integrazione va oltre l’Ilva e investe quasi cento aziende dell’apparato industriale tarantino. A preoccuparsi è la Fim Cisl. Il sindacato dei metalmeccanici, in una nota, mette a fuoco le situazioni critiche, tornando anche sul delicato tema delle aziende dell’ap - palto all’interno dell’Ilva. E’ Giuseppe Bonfrate, componente della segreteria, a far emergere anche un’altra questione.
«L’Inps - scrive Bonfrate - continua ad approvare le domande di cassa integrazione ordinaria presentate dalle aziende con criteri vecchi e discutibili e che non tengono conto delle disposizioni della sede centrale ed ancora peggio del dramma sociale che stiamo vivendo. Alle aziende già in sofferenza economica - aggiunge Bonfrate - l’Inps chiede documenti (ripresa, contratti, libro unico etc.) senza i quali non procede alla concessione della cassa ordinaria. Questa situazione sta precipitando, le condizioni economiche delle aziende che non sono più in grado di anticipare il trattamento economico ai dipendenti sta comportando la decisione delle stesse di passare dalla cassaintegrazione ai licenziamenti. E’ urgente - spiega ancora Bonfrate - chiarire la situazione con l’Inps se si vogliono evitare iniziative di protesta da parte dei lavoratori e che sono già in programma».

Non manca una stoccata di Bonfrate sui «nuovi ammortizzatori sociali. Se ne parla da mesi e il 27 aprile è stato sottoscritto tra Regione Puglia e parti sociali l’accordo che prevede la cassa integrazione straordinaria in deroga in deroga, la mobilità in deroga e altri strumenti di sostegno al reddito per coloro che non hanno il diritto (apprendisti, contratti a termine, lavoratori somministrati ex interinali, dipendenti di aziende artigiane etc.). Ad oggi l’Inps non sa ancora come applicare questo accordo e mancano le disposizioni operative e i lavoratori vanno a casa senza nessuna tutela legata al sostegno al reddito». Nella mappa della crisi, Bonfrate va al di là dei 6mila e 658 dipendenti in cassa integrazione all’Ilva dal primo giugno (tetto massimo).
«In questi mesi - racconta l’esponente Fim Cisl - abbiamo partecipato, affrontato e concluso procedure di cassa integrazione ordinaria e straordinaria, di contratti di solidarietà, mobilità e cassa in deroga per circa 80 aziende del territorio. Non abbiamo dati certi di riferimento, ma riteniamo che entro qualche giorno raggiungeremo il 25 per cento di aziende in difficoltà dell’intero comparto metalmeccanico territoriale. Su 80 aziende in crisi, 45 operano od operavano nell’appalto Ilva, 15 nell’indotto, 25 in altri settori. L’organico rappresentato dalle 80 aziende è di circa 4mila e 500 unità, di cui circa il 50 per cento ha un contratto a termine. Per dieci aziende è in corso la cassa straordinaria, per nove si è proceduto alla collocazione in mobilità di parte o di tutto il personale, per cinque aziende e per altre 40 dell’Arsenale si è fatto ricorso ricorsi alla cassa straordinaria in deroga. Due le aziende col contratto di solidarietà, mentre per le restanti 56 aziende è stata concordata la cassa ordinaria per circa 3mila dipendenti. Problemi gravi, urgenti e di tenuta sociale».
Bonfrate chiude incalzando l’azienda siderurgica: «L’I l va rappresenta l’80 per cento del comparto metalmeccanico territoriale e ha il dovere di dare delle risposte. Il Gruppo Riva ha sospeso, revocato o annullato contratti e commesse di lavoro già acquisite dalle aziende con conseguenze pesanti per le stesse; per i pochi lavori che sta appaltando sta spuntando non il prezzo più basso, ma il “sottocosto” in quanto le aziende per mantenere un minimo di giro economico e non precipitare preferiscono offrire prezzi che non coprono i costi; l’Ilva deve essere più chiara su assetti e prospettive produttive e occupazionali e sulle attività di manutenzione, rifacimenti, impiantistiche e ambientali da affidare a terzi». (Gazzetta del Mezzogiorno)

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