Dopo anni di negazionismo e di perizie tecniche "di parte" viene confermato l'effetto cancerogeno delle armi attuali.
«Uranio impoverito», la strage di pugliesi per le vittime finalmente c'è un Fondo

Resta un sorriso amaro per chi è stato lasciato solo a lottare contro neoplasie e leucemie (per non parlare dei casi di infertilità e progenie deforme). In Puglia, soprattutto. Una delle regioni in cui si conta il maggior numero di morti e malati tra i reduci. Quanti? Non è possibile avere un elenco completo. A livello nazionale si parla di circa 200 ragazzoni finiti al cimitero e duecentomila ammalati (sono le cifre riferite dal presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia Edouard Ballaman, tra i politici più impegnati sul fronte «uranio impoverito»).
LA STRAGE DI PUGLIESI
Il metallo pesante (radioattivo e tossico) è ancora oggi presente nel munizionamento Usa e GB e, quando i dardi esplodono, ha la caratteristica di frammentarsi in particelle minuscole e volatili. È stato impiegato sempre, dalla Guerra del Golfo della «Operation Desert Storm», in poi. Era il 1991. Cinque anni dopo moriva quello che oggi viene ricordato come uno tra i primi militari pugliesi che hanno perso la vita stramaledicendo l’«uranio impoverito».
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LOTTA PER LA VITA
Ancora più difficile stilare un elenco completo dei malati. Sia per il loro numero, sia per evidenti motivi di ritrosia degli interessati. Il loro silenzio merita rispetto ma bisogna sottolineare che è anche grazie alla testimonianza dei militari che non hanno taciuto se oggi esiste un Fondo a tutela dei malati con le «stellette».
Il ministro Ignazio Larussa, commentando il nuovo provvedimento di legge ha detto che è un «regolamento sui termini e le modalità di riconoscimento delle cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali: in pratica stiamo parlando delle vittime dell’uranio impoverito e delle nano-particelle».
MARISA INGROSSO su La Gazzetta del Mezzogiorno (leggi l'articolo completo)
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