E' scandaloso come la sentenza non tenga conto nè del fatto che il perimetro del parco è sempre stato provvisorio a causa della coda della legge istituiva (uscita-entrata come un negozio qualsiasi), nè che sono stati proprio i detrattori dello stesso parco ad aver imposto una superficie così frastagliata da risultare di difficile controllo e quindi tabellazione.
Taranto, Parco delle Gravine: i cacciatori vincono il ricorso
Andare a caccia nel Parco delle Gravine è reato ma il cacciatore come fa a sapere di trovarsi all’inter no dell’area protetta visto che non ci sono le pur previste tabelle? La giustificazione spesso e per molti versi giustamente addotta dagli amanti della doppietta «beccati» in fuorigioco dagli agenti del corpo forestale o della polizia provinciale viene fatta propria, con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione che, accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Giancarlo Catapano per conto di un cacciatore di 33anni di Palagianello, ricorda che la legge regionale del 20 dicembre del 2005 con la quale fu istituito il Parco delle Gravine, disponeva che «i confini saranno resi visibili mediante apposita tabellazione realizzata dall’ente di gestione con fondi propri e trasferiti dalla Regione Puglia».
Secondo la Suprema Corte, ciò significa che «per espressa disposizione del legislatore regionale, condizione necessaria per l’operatività del parco regionale Terra delle Gravine è che i suoi confini siano resi visibili da apposita tabellazione. In altri termini i diviti di esercizio venatorio e di ingresso con armi all’interno dell’a re a protetta in tanto hanno efficacia e possono essere opposti ai privati in quanto l’area stessa sia perimetrata da apposita tabellazione che renda visibili i suoi confini».
Alla Cassazione l’avvocato aveva fatto ricorso dopo che prima il pm Enrico Bruschi, poi il gip Patrizia Todisco, quindi il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro del fucile ai danni del cacciatore di Palagianello, sequestro compiuto in quanto sorpreso a esercitare l’attività venatoria in area protetta pur se il cacciatore non sapeva, né poteva saperlo, di aver sconfinato.
La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame il 15 maggio del 2009, in quanto i magistrati «applicando erroneamente un principio di diritto che riguarda la diversa fattispecie dei parchi nazionali, ha ritenuto superfluo l’accertamento in concreto della esistenza o meno di apposita ed idonea tabellazione che renda operativo il parco regionale nell’area in cui gli agenti del corpo forestale sorpreso il ricorrente. Tale accertamento - si legge nella sentenza - è invece indispensabile perché, qualora effettivamente, come sostiene la difesa, non vi fosse prova dell’esi - stenza di una regolare tabellazione, mancherebbe il fumus del reato ipotizzato e non vi sarebbero i presupposti per mantenere il sequestro probatorio».
Il caso torna ora all’attenzione di un’altra sezione del tribunale del riesame di Taranto ma le motivazioni addotte dalla Cassazione non potranno non essere tenute in debito conto considerando che non solo il Parco delle Gravine non è mai stato delimitato, ma non è stato mai, a cinque anni dall’istituzione dell’area protetta, creato l’ente di gestione. M. Mazza (GdM)
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