Taranto, svuotato palazzo Carducci
L'immobile della città vecchia parzialmente saccheggiato dai ladri dopo essere rimasto a lungo abbandonato
Depredato giorno dopo giorno Palazzo Carducci, il gioiello architettonico del XVII secolo in vico Seminario nella città vecchia di Taranto, è ormai vuoto. La cappella e le quattordici stanze, salotto e salottini, camere da letto e salone, anticucina e biblioteca, sono nude: il Comune ha trasferito i beni sfuggiti ai ladri a Palazzo di città mentre i libri, tra i quali le preziose "cinquecentine", sono al sicuro nella biblioteca comunale. Il trasloco, forzato e urgente per non lasciare tutto nelle mani dei predoni, è avvenuto a dicembre scorso. Inventariati e valutati oltre quattrocentomila euro, gli arredi del Palazzo attendono di essere riportati nella loro sede naturale non appena lo storico edificio sarà riqualificato e reso impermeabile alle infiltrazioni piovane. La spoliazione, difatti, s’è scoperta proprio perché le piogge dell’autunno dell’anno scorso avevano fatto crollare una porzione del tetto di legno dello stabile. L’architetto Enzo La Gioia, dirigente comunale del settore Risanamento, durante il sopralluogo tecnico si accorse della sistematica spoliazione che il Palazzo subiva.
La giunta-Di Bello lo acquistò nel maggio del 2004 dall’ambasciatore Ludovico Carducci pagandolo poco più di un milione di euro attinti ai fondi Urban. L’ex maggiordomo della famiglia continuava ad occupare i locali al pianterreno anche se la vendita si riferiva a un immobile libero da pesi e persone. I furti cominciarono quasi subito e si protrassero senza che qualcuno mai si accorgesse di nulla o segnalasse qualcosa. La prima denuncia arrivò alla Polizia municipale e ai carabinieri nel luglio del 2008. Un tecnico del Comune, che scortava il rappresentante del ministero dell’Economia per un’ispezione legata al programma Urban, trovò le porte senza mandate, la fotocellula del sistema di allarme accecata da una busta di carta, una finestra rotta. Taranto scoprì, finalmente, che a Palazzo Carducci più che i visitatori del Fai erano di casa i ladri che rivendevano con facilità ad antiquari e rigattieri tele, specchiere, tavolini e comodini, lampadari e scrittori a rullo, "cartaglorie" e orologi. La prima stima dei furti valutò in 49.540 euro il valore dei beni portati via. Questo primo allarme cadde nel deserto, reazione perfettamente inserita nel destino di una città dormiente per certe cose.
Il saccheggio continuò fino a quando l’architetto La Gioia non dette una sterzata alla situazione. Chiamò a collaborare il professor Vittorio Farella dell’università di Lecce, fu fatto il confronto con l’inventario originario, e una comunicazione sul patrimonio depredato venne trasmessa nel mese di novembre 2009 al sindaco Stefàno, ai carabinieri, alla Polizia di stato e alla polizia municipale. I beni dovevano essere salvaguardati e la vigilanza costante garantita. Nello stesso tempo La Gioia avvertì i carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale e chiese alla Soprintendenza e alla Regione l’autorizzazione a mettere al sicuro i beni rimasti, altri quadri, lampadari, i libri, le dodici tele ovali del Fracanzano che, da sole, valgono 121 mila euro, i cassettoni, i mobiletti, i tanti tappeti, le scrivanie, le poltrone. Ora questa roba è sotto chiave, è difficile che i ladri possano arrivarci, ma nessuno può ammirarla. C. Bechis (CdM)
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