Eppure un futuro esiste ancora per Taranto
Futuro. La parola che manca a Taranto. Per anni, soprattutto a sinistra, il termine era nel voca bolario «di lotta e di governo»: Ta ranto quale futuro? Titolo per tut te le stagioni. Convegni, tavole ro tonde, incontri. Tutti lì a chiedersi: quale futuro? Perché un futuro c’era. O ci poteva essere. Ieri, a leggere lo striscione dei lavoratori precari Ilva si è scoperto - come se parlasse una bussola o una mappa - che la parola futuro, a Taranto, non può più sopravvivere se non è accompagnata dalla preposizione senza.
Senza futuro. Senza futuro i precari Ilva, senza futuro un tarantino su due di soccupato, senza futuro i licenziati, senza futuro le imprese, il commercio, il tessuto produttivo squassati dalla crisi. Qui il lavoro si uccide perché uccide. E al de litto segue il castigo: per esempio quello ambientale. Impiccati alla corda della diossina. Senza futuro è la politica che passa di elezione in elezione, saltellando allegra sul baratro. Tra kermesse, elettorali e non, si vuol quotare un territorio in grado di spiccare il volo in altre direzioni che non siano l’industria, cioè il lavoro brutto sporco e cattivo di un secolo fa.
Si segue l’onda, cioè il futuro. Le bonifiche senza la bonifica: umana, sociale, culturale quindi ambientale. Eppure basta riflettere. Quel lavoro brutto, sporco, cattivo, vissuto come un delitto nella città del castigo ambientale, è l’unica salvezza dal declino, non di Taranto ma dell’Occidente. Tanti lo hanno capito a cominciare da Obama. Perché non dovrebbe capirlo anche Taranto, città che il lavoro ce l’aveva e se lo vede sottratto pezzo dopo pezzo? Certo, un lavoro che rispetti ambiente, diritti e sicurezza. Ma un lavoro, cioè un futuro.
Invece? I sindacati hanno detto chiaro e tondo, a più voci: basta elargire cassa integrazione oltre ogni limite. Bisogna creare occupazione, cioè futuro. Mediti la politica, oltre i set del cinema e le clientele. Chi dice: «Non voteremo più» qualche ragione comincia ad averla. FULVIO COLUCCI (GdM)
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