lunedì 28 settembre 2009

Morti di ambiente: Tamburi da record!

«Ma non bastano i dati on line, vanno anche resi comprensibili a tutti»
«Sia l’Università a spiegare il lavoro di Arpa»


• «In Puglia non si muore di più che nel resto d’Italia e Taranto non sempre ha il primato di morti per tumori in Puglia». «Stiamo creando generazioni malate. I rischi per alcune patologie stanno aumentando. Sono più che mai opportune azioni di prevenzione».
Sono sintetizzati in queste divergenti conclusioni gli interventi, su una serie impressionante di dati epidemiologici a disposizione, da parte di due esperti, rispettivamente La Vecchia (Istituto Mario Negri di Milano) e Vigotti (Ifc-Cnr Università di Pisa).
Dati, numeri, istogrammi e mappe geografiche regionali delle diverse patologie e cause di morte, a volte in evidente contrasto con i dati più conosciuti, che in parte disorientano e confondono. In realtà, in molti casi studi e ricerche sono ancora in corso, altri sono dati ancora da correlare, su altro c’è da capire il perché di certe evidenze scientifiche. Alquanto disorientati, allora ci si chiede: come stanno i tarantini? La replica nel corso della tavola rotonda è affidata al direttore del Dipartimento di prevenzione, Michele Conversano: «Se guardiamo ad un dato provinciale, vedremo che a Taranto si muore meno che a Lecce, ma se dal dato provinciale scorporiamo i dati dei 5 comuni ad alto rischio ambientale, i valori diventano alti. Se scorporiamo ulteriormente i soli dati di Taranto e Statte, i valori sono ancora più alti. Se, poi, consideriamo solo alcuni quartieri di Taranto, dove scontiamo anche un’esposizione lavorativa, i dati impennano definitivamente. Ma non c’è bisogno di dire che moriremo tutti domani. E’ sufficiente, invece, dire che c’è qualcuno che ha più possibilità di morire o di ammalarsi per arrivare alla conclusione che occorre muoversi».
«Taranto non è una città nella quale si muore di più che nel resto d’Italia», riprende a sua volta il responsabile Ambiente e sicurezza dell’Ilva, Girolamo Archinà. Che, però, aggiunge: «Da un punto di vista aziendale, questi dati costituiscono comunque uno sprone ad impegnarsi sempre di più. Non dimentichiamo che Ilva ha già investito 4 miliardi per gli adeguamenti tecnologici, di cui un miliardo di interventi esclusivi nel settore ambientale».
Sete di dati, controlli, verifiche. Cogliendo questa esigenza ed illustrando il lavoro fin qui svolto nell’ambito del piano straordinario dal Dipartimento di prevenzione dell’Asl, Cosimo Scarnera indica ora un ulteriore obiettivo: «Pubblicare on line i dati in tempo reale. C’è da uscire dalla fase di emergenza e sorveglianza passiva per operare in maniera trasparente per contenere il rischio sanitario». Concorda l’assessore regionale alla Sanità, Tommaso Fiore, che precisa: «Non basterà mettere on line dati epidemiologici e quelli relativi all’inquinamento. Occorrerà renderli leggibili a chi non ha le competenze sufficienti per interpretarli. Va fatto, insomma, un sommario ragionato da mettere a disposizione di tutti».
A chi tocca spiegare? Auspicando una stretta sinergia col mondo scientifico e universitario, in particolare con la facoltà di Veterinaria di Bari, l’assessore regionale all’Ecologia, Onofrio Introna, dice: «Proporrò all’Arpa una convenzione perché alcune valutazioni siano affidate all’Università». Gli replica il direttore generale Giorgio Assennato: «Le diossine diventano strumenti di meccanismi biologici complicati. Occorrono competenze accademiche specifiche in questo settore, ma a Bari non ce ne sono. Occorre quindi attivarle ».
MRG, Gazzetta di Taranto; Pagina: TARA2

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