Andrebbe ristampato e soprattutto letto il libro Alle radici dell'abbandono di Lucio Giummo che fa un'analisi minuziosa della decadenza di quella che è stata una realtà rivoluzionaria. La città vecchia di Taranto, trasformatasi in ghetto sottoproletario per poi divenire ed essere una "città fantasma", così come l'aveva definita e descritta Giummo nel 1986.
Sono passati da allora 28 anni, ma nulla è cambiato se non addirittura peggiorato.
Non sono bastati i tanti progetti di risanamento o fallimentari piani, nemmeno i fondi Urban o finanziamenti andati persi o spesi male. Non sono bastati i tanti comunicati stampa, del politico di turno, pubblicati e diffusi puntualmente dai media ad ogni crollo. Non sono bastate le parole o visite di poche ore in città di ministri, assessori, personaggi politici.
Il borgo antico di Taranto sta cambiando sempre più aspetto: è lo specchio di una città in profonda crisi culturale, che ha perso le sue radici storiche, ha smarrito le proprie origini, la sua identità e la "propria sostanza di classe".
I tecnici, i politici, coloro che "hanno avuto per anni il mandato di pianificare il destino della città e del territorio, hanno perso proprio la dimensione politica, oggettiva ed universale delle loro azioni sul reale, riducendo il loro asettico intervento alla sola funzione tecnica, amministrativa".
I tecnici ed i politici hanno fallito. Anche perchè non hanno saputo interpretare la cultura di un'intera comunità e non hanno saputo attuare e neppure proporre un "nuovo modello di democrazia come processo di crescita della coscienza critica individuale e collettiva".
Hanno snobbato e ancora peggio azzerato il "valore attribuito alla volontà collettiva"; e nello specifico i pianificatori hanno ridotto "ad un numero, ad un'astrazione il cittadino" che ha subito "fiducioso il suo destino alienato ", preparato "alle diverse scale, sulla carta".
Le conseguenze di questa fiducia in una pianificazione che già allora appariva irresponsabile, le conosciamo.
Il centro storico crolla portando con sè un cumulo di macerie e detriti, rifiuti oggi che un tempo sono stati materia viva e vitale di un ambiente umano che non c'è più.
Ieri mattina un crollo, l'ennesimo, di un palazzo disabitato in via di mezzo.
Era disabitato appunto, svuotato dell'essenza che fa muovere e vivere una città: i suoi abitanti.
Lo svuotamento della città vecchia con l'aggressione edilizia, l'inquinamento industriale con il parco minerali a poche decine di metri dal quartiere Tamburi, hanno fatto di Taranto un "panorama disperante", avvilente.
Questo processo di abbandono però non è iniziato oggi ci ricorda Lucio Giummo, ma nel momento in cui " alle esigenze della popolazione civile (della sua
parte più debole)" si sono anteposte"quelle della monocultura militare
Arsenale- Base Navale, alla quale gran parte del ceto medio lega la
possibilità di sopravvivenza della propria economia parassitaria".
Questo processo di distruzione continua ancora oggi.
E continua ogni qualvolta l'amministrazione comunale toglie verde alla città per costruire nuove case, invece di valorizzare il patrimonio esistente, quello che è rimasto del centro storico di Taranto, portando avanti un processo di distruzione del centro urbano che non ha precedenti.
Continua ancora oggi ogni qualvolta lo Stato mette da parte l'individuo "come attore della storia e agente della vita".
"la città deve ritrovare la propria dimensione politica": "non è più tempo di deleghe a singole individualità o a piccoli gruppi". Il passato più recente è di monito. Lo scriveva Giummo nel 1986, lo ribadiamo noi nel 2014.
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