Tre miliardi per creare un modello di produzione pulita dell’acciaio
La «testa del drago», la ciminiera da 220 metri che per mezzo secolo ha infettato Taranto, resa inoffensiva. L’Ilva, emblema dell’arroganza dell’inquinamento, trasformata nell’acciaieria più avanzata d’Europa, un modello di produzione pulita. E’ un progetto che vale 3 miliardi di euro: sarà rilanciato nei prossimi mesi per decollare nel 2015. Ma si riuscirà veramente a mutare il rospo in principe azzurro? A convertire con un colpo di bacchetta magica uno dei luoghi più inquinati d’Italia in un modello di green economy? «Con un colpo di bacchetta magica no, con un lavoro di anni sostenuto dalle migliori tecnologie che abbiamo a disposizione e da un piano finanziario adeguato sì», risponde Edo Ronchi, il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile che l’estate scorsa ha affiancato il commissario Enrico Bondi per mettere a punto la riconversione ecologica di questa città d’acciaio più grande della città di pietra: 1.500 ettari di fabbrica che nel 1961 si sono fatti largo spazzando via antiche masserie e greggi, stravolgendo il profilo di questo angolo di Puglia. Il risultato dei primi sei mesi di cura è stato incoraggiante. Dopo oltre mezzo secolo di disastri ecologici, le emissioni dell’Ilva sono ritornate nei limiti di legge, come ha certificato l’Arpa. Il bilancio però ha risentito delle misure decise per tamponare l’aggressione all’ambiente: 2 altoforni e 6 batterie
di forni a coke sono stati chiusi, in parte in maniera provvisoria; la produzione è scesa dagli 8,2 milioni di tonnellate di acciaio del 2012 ai 5,8 milioni del 2013; il fatturato si è ridotto dai 4 miliardi di euro del 2012 a una stima per il 2013 che si aggira sui 3,6 - 3,8 miliardi. «Questa è solo la prima parte dell’intervento: dovevamo agire in fretta per evitare l’aumento dei danni. E abbiamo raggiunto l’obiettivo portando le emissioni di diossina a livelli cinque volte inferiori ai picchi storici dell’impianto e due o tre volte inferiori a quelli degli ultimi 3 anni», continua Ronchi. «La parte più interessante del progetto comincerà nel 2014 con la copertura delle grandi aree di stoccaggio dei minerali e con il progressivo aumento della quota di ferro preridotto con l’utilizzo di gas, anche se per il momento questo ferro non viene ancora prodotto nell’impianto ma acquistato. Con la progressiva sostituzione del gas al carbone sarà possibile abbattere l’impatto ambientale portandolo molto al di sotto dei limiti di legge e far diventare l’Ilva l’acciaieria tecnologicamente più avanzata d’Europa salvando gli 11.500 posti di lavoro e i 10 mila dell’indotto. E’ un progetto che si può realizzare a condizione di seguire un rigoroso piano economico, tenendo presente che ci vuole gradualità nell’ulteriore miglioramento delle condizioni ambientali ». Per ora, nei sei mesi del commissariamento, sono stati investiti 337 milioni di euro, a cui vanno aggiunti altri 156 milioni spesi nei 21 mesi precedenti. Fondi utilizzati per coprire 17 dei 58 chilometri di nastro che trasporta i minerali, per iniziare la protezione delle 8 montagne di minerali accumulati e per acquistare le migliori tecnologie disponibili, che per un impianto di questo tipo spesso vuol dire disponibili in un unico luogo nel mondo: i filtri a tessuto per le cokerie sono stati comprati dalla giapponese Shinwa Company; i filtri a manica anti diossine dalla Siemens; le valvole per le cokerie dalla Uhde della Thyssenkrupp; una sorta di betoniera che serve a mischiare le scorie di lavorazione evitando la formazione di pericolose bolle di vapore dalla Bao Steel Tecnology di Shanghai. Ma il salto vero deve ancora arrivare. «Con gli ultimi interventi abbiamo anticipato i tempi allineandoci alla normativa sulle Bat, Best Available Technologies, che entrerà in vigore in Europa nel 2016», aggiunge Ronchi. «Ora però si tratta di gettare le basi per fare dell’Ilva un modello per l’Europa. Mentre i tedeschi hanno scommesso sul carbone avanzato, noi siamo andati oltre, sperimentando la produzione di acciaio con l’impiego del gas in sostituzione del carbone. Questo modello comporta l’abbattimento delle emissioni di CO2 del 63%, degli ossidi di zolfo dell’88%, degli ossidi di azoto dell’81% e l’azzeramento di diossine e benzopirene ». Se la sperimentazione avrà successo (entro il 2014 si punta ad arrivare a 2 milioni di tonnellate di acciaio prodotti usando il gas), la successiva riduzione dell’uso del carbone avverrà utilizzando il metano direttamente nell’Ilva. Una prospettiva da verificare in base all’evoluzione dei prezzi: il costo del gas necessario a rendere competitiva l’operazione è giudicato al momento disponibile sul mercato internazionale. Anche perché è stato studiato l’approvvigionamento attraverso una nave rigassificatrice alimentata dalle gasiere: un sistema che aumenta la sicurezza e rende più flessibile, e dunque meno costoso, l’arrivo del combustibile. Per realizzare l’intero pacchetto delle misure di protezione ambientale serviranno però 1,8 miliardi di euro tra il giugno 2013 e il giugno 2016, più 1,2 miliardi per la parte industriale di innovazione tecnologica. Da dove arriveranno queste risorse economiche? Nel piano messo a punto da Enrico Bondi e da Edo Ronchi la risposta viene da tre componenti. L’autofinanziamento, che si calcola possa fornire 1,7 miliardi. Il ricorso al mercato (un aumento di capitale è previsto da un nuovo decreto all’esame del Parlamento). E, per la parte rimanente, una quota del fondo (1,9 miliardi di euro in banche estere) confiscato alla famiglia Riva, proprietaria dell’Ilva, dalla magistratura milanese nel corso di un’inchiesta su reati fiscali. (Rep)
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