giovedì 23 gennaio 2014

Il Nicastero di Nicastro

Ilva si adegua alle norme? Il resoconto giuridico dell'Assessore Lorenzo Nicastro






E’ evidente che le criticità che oggi siamo chiamati ad affrontare in termini ambientali, sanitari e di occupazione altro non sono se non l’effetto di una cronicizzazione di mali del passato.
Nel 1965, al momento della sua inaugurazione, l’Italsider non aveva praticamente alcun presidio di tutela ambientale: solo alla fine degli anni ’60 i primi sintomi della crisi ambientale ed una nuova sensibilità ecologica nell’opinione pubblica, hanno portato a sviluppare in modo coordinato gli sforzi per la difesa ambientale, in precedenza affidati a normative ed azioni frammentarie, soprattutto in materia igienico-sanitaria, di difesa del suolo, del paesaggio e della natura.
Di fatto, le prime disposizioni organiche in materia di protezione dell’aria e dell’acqua e di gestione dei rifiuti sono state emanate a partire dagli anni ’70, quando la politica ambientale venne integrata tra i compiti delle istituzioni comunitarie. La stessa istituzione del Ministero dell’Ambiente risale al 1986 (Lex 349/1986). Solo in epoca relativamente recente sono poi state varate normative in tema di valutazione preventiva degli impatti ambientali (Valutazione di Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica) e di allineamento degli impianti industriali alle migliori tecniche disponibili (Autorizzazione Integrata Ambientale).
Dunque, la progettazione, la realizzazione e la successiva gestione dell’impianto ITALSIDER sono state operate in assenza di particolari accorgimenti per la mitigazione degli impatti ambientali e sanitari. Per lunghissimo tempo non è stata eseguita alcuna attività di monitoraggio e controllo delle emissioni in atmosfera, i primi dati disponibili risalgono agli inizi del 2000 e sono quelli desumibili dal Registro INES – Inventario Nazionale delle Emissioni e delle loro Sorgenti, desunti da autodichiarazioni dell’impresa. Al momento della privatizzazione dell’Italsider, nel 1995, nonostante la dichiarazione di stato di crisi ambientale per l’area di Taranto del 1990, le questioni erano tutte ampiamente aperte: e sono rimaste praticamente inalterate fino ai primi anni del nuovo millennio.

Agli inizi degli anni 2000 inizia un percorso di confronto tra gli Enti territoriali ed i vertici dello stabilimento siderurgico ILVA di Taranto, finalizzato sia a ridurre l’impatto ambientale dell’Ilva sia a garantire i livelli produttivi ed occupazionali. Tale confronto porta alla sottoscrizione dei cosiddetti “Atti di Intesa”. All’epoca lo stabilimento era esercito in forza di numerose e diverse autorizzazioni ambientali di comparto.
Tali atti di intesa, siglati in quattro successive occasioni, sotto forma di accordo, su base volontaria, fra il Gestore ILVA e soggetti pubblici quali Regione, Provincia, Comuni di Taranto e Statte e le Organizzazioni Sindacali, con il supporto, di volta in volta, di Ministero dell’Ambiente, delle Attività Produttive, di Arpa Puglia ed altri, recavano crono programmi relativi all’implementazione di una serie di interventi di ambientalizzazione sulla maggior parte dei reparti dello stabilimento.
I quattro atti d’intesa furono siglati in data 8 gennaio 2003, 27 febbraio 2004, 15 dicembre 2004 e 23 ottobre 2006 (quest’ultimo fu definito “Atto d’Intesa integrativo”). In questa fase si inizia a parlare per la prima volta di attuazione delle migliori tecnologie disponibili.
Con l’entrata in vigore del D.lgs. 59/2005, Stato e Regione, ciascuno per le proprie competenze, hanno avviato le istruttorie per il rilascio delle Autorizzazioni Integrate Ambientali degli impianti soggetti a tale disciplina normativa. ILVA rientra tra gli impianti soggetti ad AIA dello Stato. Tale accordo di programma, che riguardava non solo l’ILVA, ma anche le altre principali aziende operanti nell’area industriale di Taranto e Statte e sottoposte alla disciplina AIA (sia di competenza ministeriale che regionale), è stato siglato in data 11 aprile 2008.
I firmatari di detto Accordo furono i Gestori di 7 aziende (impianto siderurgico ILVA, raffineria ENI, centrali di produzione energia elettrica ENI-POWER ed EDISON, cementificio CEMENTIR, impianto produzione refrattari SANAC ed inceneritore AMIU), gli Enti locali (Regione Puglia, Provincia di Taranto e Comuni di Taranto e Statte) nonché il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dell’Interno, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero della Salute.
Finalità dell’accordo era soprattutto l’armonizzazione fra le 7 AIA da rilasciarsi, al fine di poter meglio garantire la tutela dell’ambiente e della salute, stante la contemporanea presenza di un così elevato numero di operatori industriali in tale area. Nell’ambito del procedimento di competenza ministeriale per il riesame AIA-ILVA, la Regione Puglia, con deliberazione n. 2065, in data 16.10.2012, impone per il rilascio del riesame AIA alcune prescrizioni fra le quali dare piena attuazione e impulso alle attività di cui al Protocollo Tecnico Operativo concordato e siglato dal tavolo tecnico in data 28.03.2012, riguardante il campionamento a lungo termine delle diossine; istituire un tavolo tecnico per la valutazione degli effetti cumulativi degli inquinanti prodotti dalle aziende presenti nell’area industriale di Taranto e per l’individuazione di eventuali provvedimenti finalizzati alla mitigazione degli effetti; recepire il “Piano contenente le prime misure di intervento per il risanamento della qualità dell’aria nel quartiere tamburi (TA)” per gli inquinanti benzo(a)pirene e pm10 (art. 9 comma 1 e 2 del d.lgs.155/2010), approvato con Dgr 1944 in data 2.10.2012 ed eventuali suoi aggiornamenti; recepire le risultanze della prima valutazione del danno sanitario (VDS), in corso di redazione sulla base delle linee guida di cui al regolamento regionale n. 24 in data 3.10.2012, predisposto in attuazione della L.r. n° 21 in data 24.07.2012. In caso di criticità l’Autorità competente dovrà disporre, entro trenta giorni dalla notifica di detto documento, il riesame dell’AIA (art. 29-octies del D.L.vo 152/2006) al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente; considerare nell’istruttoria del riesame le evidenze scaturenti dalla perizia chimica ed epidemiologica disposte dall’Autorità giudiziaria di Taranto nell’ambito dei procedimenti penali in corso, nonché quelle rivenienti dal monitoraggio diagnostico ambientale di cui alla DGR 1976/2010 (Potenziamento della rete di monitoraggio della qualità dell’aria) svolto da Arpa Puglia che inducono a richiedere l’adozione di misure supplementari particolari più rigorose (art. 29-septies del d.l.vo 152/2006), che nella fattispecie sono definite, in via generale, con l’adozione anticipata di valori limite rigorosi di emissione in atmosfera all’interno degli intervalli previsti dalle BAT conclusion del 2012 (per la produzione di ferro e acciaio) ovvero con l’individuazione di condizioni di esercizio più restrittive, salvo diversa e motivata valutazione della Commissione IPPC; assicurare il rispetto della tempistica fissata per la conclusione entro il 31.01.2013 delle ulteriori attività connesse e necessarie per il completamento del riesame dell’AIA (discariche interne, gestione dei materiali, sottoprodotti e rifiuti inclusi, gestione delle acque e delle acque di scarico) oggi riferito limitatamente alla produzione a caldo e alla matrice aria, ed entro il 31.05.2013 delle restanti aree dello stabilimento non già considerate (produzione a freddo) nonché del sistema gestione ambiente e gestione energetica; prescrivere la istituzione di una “cabina di regia” costituita da rappresentanti degli enti locali per il monitoraggio dei tempi di attuazione, da parte dell’Azienda, degli interventi di ambientalizzazione prescritti.
In questi anni il Governo regionale della Puglia ha sempre investito sulla scommessa di riuscire a coniugare diritto al lavoro e diritto alla salute. E lo ha fatto puntando molto sul tema dell’ambientalizzazione della fabbrica. Vorrei rammentare brevemente i provvedimenti normativi sulle diossine e sul benzo(a)pirene che fanno della Puglia l’unica regine in Italia ad aver adottato limiti emissivi più stringenti di quelli nazionali. Vorrei dire, altrettanto brevemente, delle prescrizioni dettate dalla Regione in ambito di procedimento di AIA nazionale, specie per quel che concerne il comparto emissivi riveniente dal preoccupante stato della qualità dell’aria in alcuni quartieri della città di Taranto.
Vorrei rammentare, infine, della Valutazione del Danno Sanitario che la Puglia ha inteso, per prima, introdurre nel proprio ordinamento per pesare adeguatamente il tema della salute nel rilascio di titoli autorizzativi in particolari contesti territoriali. E su questo punto si è aperto un aspro conflitto con il Governo nazionale sui decreti attuativi delle norme che, a parere della Regione, hanno diluito i tempi di attuazione. Il TAR Lazio deciderà nel merito nel corso del 2014. Quasi 50 anni di acciaieria a Taranto hanno uno strascico pesante e che, soprattutto, ha innescato un meccanismo difficile da scardinare. Il tema della salute, del danno sanitario creato dalle emissioni in atmosfera dell’intero polo industriale di Taranto, e soprattutto di ILVA, delle ricadute in termini economici ed occupazionali dell’insediamento non solo sulla Puglia ma anche in ambito nazionale, restano tutti di primaria importanze e di scottante attualità: ma, vorrei sottolineare in questo consesso, il dato essenziale che rimane sul tavolo è diverso, più ampio.
Qualunque idea di futuro per Taranto non può prescindere dai tarantini, da un processo di recupero della centralità – nel microcosmo imprenditoriale – dell’uomo, non solo come lavoratore ma anche cittadino. E’ questo che la città chiede: recuperare fiducia nelle istituzioni, comprendere se e come si possa ricostruire un futuro ristabilendo l’equilibrio tra ambiente, salute e occupazione. In qualche modo spezzare l’ipoteca di un insediamento industriale ad alto impatto ambientale che ha condizionato la vita della città e dell’intera area ionica per anni, che ha avvelenato il suolo e l’aria e che non si è mai fermata, né dinanzi alle evidenze scientifiche, né per gli interventi degli enti preposti al controllo. Il tutto nel brutalizzante ricatto dell’occupazione barattabile con la salute.
La storia del siderurgico di Taranto, lo stabilimento più importante d’Europa del comparto, affonda le sue radici all’inizio degli anni ’60. Ed è figlio di una concezione industriale radicata in quell’epoca che, come avrò modo di dire nel corso di questo intervento, è rimasta pressocché immutata sino ad oggi. Una concezione che, in ossequio alla visione fordista di fabbrica, ha sempre messo al centro la produzione e le ricadute economiche della stessa, senza considerare se non marginalmente sia la tutela dei lavoratori che la salubrità dell’ambiente su cui lo stabilimento insite. Men che meno le ricadute in termini sanitari dello stress ambientale sulla salute dei cittadini del quartiere Tamburi e dell’intera città di Taranto.

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