Ilva si adegua alle norme? Il resoconto giuridico dell'Assessore Lorenzo Nicastro
E’ evidente
che le criticità che oggi siamo chiamati ad affrontare in termini
ambientali, sanitari e di occupazione altro non sono se non l’effetto di
una cronicizzazione di mali del passato.
Nel 1965, al momento della sua inaugurazione, l’Italsider non aveva
praticamente alcun presidio di tutela ambientale: solo alla fine degli
anni ’60 i primi sintomi della crisi ambientale ed una nuova sensibilità
ecologica nell’opinione pubblica, hanno portato a sviluppare in modo
coordinato gli sforzi per la difesa ambientale, in precedenza affidati a
normative ed azioni frammentarie, soprattutto in materia
igienico-sanitaria, di difesa del suolo, del paesaggio e della natura.
Di fatto, le prime disposizioni organiche in materia di protezione
dell’aria e dell’acqua e di gestione dei rifiuti sono state emanate a
partire dagli anni ’70, quando la politica ambientale venne integrata
tra i compiti delle istituzioni comunitarie. La stessa istituzione del
Ministero dell’Ambiente risale al 1986 (Lex 349/1986). Solo in epoca
relativamente recente sono poi state varate normative in tema di
valutazione preventiva degli impatti ambientali (Valutazione di Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica) e di allineamento degli impianti industriali alle migliori tecniche disponibili (Autorizzazione Integrata Ambientale).
Dunque, la progettazione, la realizzazione e la successiva gestione
dell’impianto ITALSIDER sono state operate in assenza di particolari
accorgimenti per la mitigazione degli impatti ambientali e sanitari. Per
lunghissimo tempo non è stata eseguita alcuna attività di monitoraggio e
controllo delle emissioni in atmosfera, i primi dati disponibili
risalgono agli inizi del 2000 e sono quelli desumibili dal Registro INES
– Inventario Nazionale delle Emissioni e delle loro Sorgenti, desunti
da autodichiarazioni dell’impresa. Al momento della privatizzazione
dell’Italsider, nel 1995, nonostante la dichiarazione di stato di crisi
ambientale per l’area di Taranto del 1990, le questioni erano tutte
ampiamente aperte: e sono rimaste praticamente inalterate fino ai primi
anni del nuovo millennio.
Agli inizi degli anni 2000 inizia un percorso di confronto tra gli Enti
territoriali ed i vertici dello stabilimento siderurgico ILVA di
Taranto, finalizzato sia a ridurre l’impatto ambientale dell’Ilva sia a
garantire i livelli produttivi ed occupazionali. Tale confronto porta alla sottoscrizione dei cosiddetti “Atti di Intesa”. All’epoca lo stabilimento era esercito in forza di numerose e diverse autorizzazioni ambientali di comparto.
Tali atti di intesa, siglati in quattro successive occasioni, sotto
forma di accordo, su base volontaria, fra il Gestore ILVA e soggetti
pubblici quali Regione, Provincia, Comuni di Taranto e Statte e le
Organizzazioni Sindacali, con il supporto, di volta in volta, di
Ministero dell’Ambiente, delle Attività Produttive, di Arpa Puglia ed
altri, recavano crono programmi relativi all’implementazione di una
serie di interventi di ambientalizzazione sulla maggior parte dei
reparti dello stabilimento.
I quattro atti d’intesa furono siglati in data 8 gennaio 2003, 27
febbraio 2004, 15 dicembre 2004 e 23 ottobre 2006 (quest’ultimo fu
definito “Atto d’Intesa integrativo”). In questa fase si inizia a
parlare per la prima volta di attuazione delle migliori tecnologie
disponibili.
Con l’entrata in vigore del D.lgs. 59/2005, Stato e Regione, ciascuno
per le proprie competenze, hanno avviato le istruttorie per il rilascio
delle Autorizzazioni Integrate Ambientali degli impianti soggetti a tale
disciplina normativa. ILVA rientra tra gli impianti soggetti ad AIA dello Stato.
Tale accordo di programma, che riguardava non solo l’ILVA, ma anche le
altre principali aziende operanti nell’area industriale di Taranto e
Statte e sottoposte alla disciplina AIA (sia di competenza ministeriale
che regionale), è stato siglato in data 11 aprile 2008.
I firmatari di detto Accordo furono i Gestori di 7 aziende (impianto
siderurgico ILVA, raffineria ENI, centrali di produzione energia
elettrica ENI-POWER ed EDISON, cementificio CEMENTIR, impianto
produzione refrattari SANAC ed inceneritore AMIU), gli Enti locali
(Regione Puglia, Provincia di Taranto e Comuni di Taranto e Statte)
nonché il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, il Ministero dell’Interno, il Ministero dello Sviluppo Economico e
il Ministero della Salute.
Finalità dell’accordo era soprattutto l’armonizzazione fra le 7
AIA da rilasciarsi, al fine di poter meglio garantire la tutela
dell’ambiente e della salute, stante la contemporanea presenza
di un così elevato numero di operatori industriali in tale area.
Nell’ambito del procedimento di competenza ministeriale per il riesame
AIA-ILVA, la Regione Puglia, con deliberazione n. 2065, in data
16.10.2012, impone per il rilascio del riesame AIA alcune prescrizioni
fra le quali dare piena attuazione e impulso alle attività di cui al
Protocollo Tecnico Operativo concordato e siglato dal tavolo tecnico in
data 28.03.2012, riguardante il campionamento a lungo termine delle
diossine; istituire un tavolo tecnico per la valutazione degli effetti
cumulativi degli inquinanti prodotti dalle aziende presenti nell’area
industriale di Taranto e per l’individuazione di eventuali provvedimenti
finalizzati alla mitigazione degli effetti; recepire il “Piano contenente le prime misure di intervento per il risanamento della qualità dell’aria nel quartiere tamburi (TA)”
per gli inquinanti benzo(a)pirene e pm10 (art. 9 comma 1 e 2 del
d.lgs.155/2010), approvato con Dgr 1944 in data 2.10.2012 ed eventuali
suoi aggiornamenti; recepire le risultanze della prima valutazione del
danno sanitario (VDS), in corso di redazione sulla base delle linee
guida di cui al regolamento regionale n. 24 in data 3.10.2012,
predisposto in attuazione della L.r. n° 21 in data 24.07.2012. In caso
di criticità l’Autorità competente dovrà disporre, entro trenta giorni
dalla notifica di detto documento, il riesame dell’AIA (art. 29-octies
del D.L.vo 152/2006) al fine di assicurare il raggiungimento degli
obiettivi di salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente;
considerare nell’istruttoria del riesame le evidenze scaturenti dalla
perizia chimica ed epidemiologica disposte dall’Autorità giudiziaria di
Taranto nell’ambito dei procedimenti penali in corso, nonché quelle
rivenienti dal monitoraggio diagnostico ambientale di cui alla DGR
1976/2010 (Potenziamento della rete di monitoraggio della qualità
dell’aria) svolto da Arpa Puglia che inducono a richiedere l’adozione di
misure supplementari particolari più rigorose (art. 29-septies del
d.l.vo 152/2006), che nella fattispecie sono definite, in via generale,
con l’adozione anticipata di valori limite rigorosi di emissione in
atmosfera all’interno degli intervalli previsti dalle BAT conclusion del
2012 (per la produzione di ferro e acciaio) ovvero con l’individuazione
di condizioni di esercizio più restrittive, salvo diversa e motivata
valutazione della Commissione IPPC; assicurare il rispetto della
tempistica fissata per la conclusione entro il 31.01.2013 delle
ulteriori attività connesse e necessarie per il completamento del
riesame dell’AIA (discariche interne, gestione dei materiali,
sottoprodotti e rifiuti inclusi, gestione delle acque e delle acque di
scarico) oggi riferito limitatamente alla produzione a caldo e alla
matrice aria, ed entro il 31.05.2013 delle restanti aree dello
stabilimento non già considerate (produzione a freddo) nonché del
sistema gestione ambiente e gestione energetica; prescrivere la
istituzione di una “cabina di regia” costituita da rappresentanti degli
enti locali per il monitoraggio dei tempi di attuazione, da parte
dell’Azienda, degli interventi di ambientalizzazione prescritti.
In questi anni il Governo regionale della Puglia ha sempre
investito sulla scommessa di riuscire a coniugare diritto al lavoro e
diritto alla salute. E lo ha fatto puntando molto sul tema
dell’ambientalizzazione della fabbrica. Vorrei rammentare brevemente i
provvedimenti normativi sulle diossine e sul benzo(a)pirene che fanno
della Puglia l’unica regine in Italia ad aver adottato limiti emissivi
più stringenti di quelli nazionali. Vorrei dire, altrettanto brevemente,
delle prescrizioni dettate dalla Regione in ambito di procedimento di
AIA nazionale, specie per quel che concerne il comparto emissivi
riveniente dal preoccupante stato della qualità dell’aria in alcuni
quartieri della città di Taranto.
Vorrei rammentare, infine, della Valutazione del Danno Sanitario
che la Puglia ha inteso, per prima, introdurre nel proprio ordinamento
per pesare adeguatamente il tema della salute nel rilascio di titoli
autorizzativi in particolari contesti territoriali. E su questo
punto si è aperto un aspro conflitto con il Governo nazionale sui
decreti attuativi delle norme che, a parere della Regione, hanno diluito
i tempi di attuazione. Il TAR Lazio deciderà nel merito nel corso del
2014. Quasi 50 anni di acciaieria a Taranto hanno uno strascico pesante e
che, soprattutto, ha innescato un meccanismo difficile da scardinare.
Il tema della salute, del danno sanitario creato dalle emissioni in
atmosfera dell’intero polo industriale di Taranto, e soprattutto di
ILVA, delle ricadute in termini economici ed occupazionali
dell’insediamento non solo sulla Puglia ma anche in ambito nazionale,
restano tutti di primaria importanze e di scottante attualità: ma,
vorrei sottolineare in questo consesso, il dato essenziale che rimane
sul tavolo è diverso, più ampio.
Qualunque idea di futuro per Taranto non può prescindere dai tarantini,
da un processo di recupero della centralità – nel microcosmo
imprenditoriale – dell’uomo, non solo come lavoratore ma anche
cittadino. E’ questo che la città chiede: recuperare fiducia nelle
istituzioni, comprendere se e come si possa ricostruire un futuro
ristabilendo l’equilibrio tra ambiente, salute e occupazione. In qualche
modo spezzare l’ipoteca di un insediamento industriale ad alto impatto
ambientale che ha condizionato la vita della città e dell’intera area
ionica per anni, che ha avvelenato il suolo e l’aria e che non si è mai
fermata, né dinanzi alle evidenze scientifiche, né per gli interventi
degli enti preposti al controllo. Il tutto nel brutalizzante ricatto
dell’occupazione barattabile con la salute.
La storia del siderurgico di Taranto, lo stabilimento più importante
d’Europa del comparto, affonda le sue radici all’inizio degli anni ’60.
Ed è figlio di una concezione industriale radicata in quell’epoca che,
come avrò modo di dire nel corso di questo intervento, è rimasta
pressocché immutata sino ad oggi. Una concezione che, in ossequio alla
visione fordista di fabbrica, ha sempre messo al centro la produzione e
le ricadute economiche della stessa, senza considerare se non
marginalmente sia la tutela dei lavoratori che la salubrità
dell’ambiente su cui lo stabilimento insite. Men che meno le ricadute in
termini sanitari dello stress ambientale sulla salute dei cittadini del
quartiere Tamburi e dell’intera città di Taranto.
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