mercoledì 22 gennaio 2014

Il punto su Fabio riva

Era da un pò che non si faceva più il suo nome. Oggi è rispuntato fuori, come un corpo riesumato. Ma lui è vivo e vegeto.
E parliamo ancora una volta di lui: Fabio Riva che si troverebbe sempre in Inghilterra. Ricordate la lettera con cui comunicava che si sarebbe messo a disposizione delle autorità inglesi? Era del lontano 27 novembre 2012! Quanto è lunga questa vacanza!
Per questo personaggio che Taranto conosce bene,  è stato emesso un mandato d'arresto, nell'ambito di una inchiesta della procura di Milano,  già coinvolto nell'inchiesta della Procura di Taranto sull'Ilva.
Non solo evasione fiscale quindi, ma Fabio Riva è accusato di molteplici reati compresi quelli ambientali. Non si fa mancare nulla.
Peccato per noi! Ancora Fabio Riva è un uomo libero, a tutti gli effetti.
Uomo libero che ha comprato e "compra" tuttora la sua libertà. Lui può!
E lo fa sicuramente con i soldi accumulati a danno dello Stato Italiano e della salute dei tarantini!
La legge qui in Europa non è uguale per tutti evidentemente.
Ce n'eravamo accorti. Eccome!

Ne parlano:

La Repubblica.it 
inchiostroverde
il messaggero 

Un altro mandato d’arresto europeo ha raggiunto a Londra Fabio Riva, imprenditore e figlio del patron dell’Ilva di Taranto, Emilio, dopo quello della fine del 2012 nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale con al centro l’attività del colosso siderurgico. Stavolta, a emettere il provvedimento di carcerazione non sono stati, però, i magistrati tarantini ma quelli milanesi in una tranche di un’inchiesta aperta da tempo sulla “galassia” societaria dei Riva.

Anche in questo caso, però, bisognerà aspettare le decisioni della magistratura britannica sulla richiesta di estradizione inoltrata oggi da Milano. Una risposta dalle autorità londinesi non è ancora arrivata, dopo un anno, in relazione al primo mandato d’arresto (il manager, dopo qualche mese di latitanza, si era costituito a Londra nel gennaio 2013 ed è in stato di libertà vigilata). Nell’inchiesta del procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco e dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, Fabio Riva, vicepresidente di Rive Fire, la holding del Gruppo Ilva, è accusato di associazione per delinquere e truffa aggravata ai danni dello Stato. Secondo l’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Fabrizio D’Arcangelo, l’imprenditore e manager di 59 anni avrebbe messo in piedi, assieme ad altri dirigenti del gruppo, un sistema per ottenere illecitamente, tra il 2007 e il 2013, circa 100 milioni di euro di stanziamenti pubblici. Il Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano, infatti, ha eseguito stamattina sequestri per equivalente a carico di Fabio Riva e altri indagati proprio per 100 milioni di euro. E altri 100 milioni della Riva Fire, indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, sono stati “bloccati” dagli investigatori.

Secondo le indagini, Fabio Riva e altri manager avrebbero creato una società ad hoc con sede in Svizzera, l’Ilva Sa, per aggirare la normativa (la `legge Ossola´) sull’erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero. In sostanza, la normativa prevede che le società, che hanno commesse estere e ricevono però i pagamenti in modo dilazionato nel tempo (dai 2 ai 5 anni), possano ricevere stanziamenti da una società, la Simest, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’Ilva, secondo l’accusa, non avrebbe potuto avere questi fondi, perché veniva pagata per le sue commesse con dilazioni a non più di 90 giorni. E così, sempre secondo le indagini, sarebbe stata costituita la società svizzera che prendeva le commesse all’estero e poi si interfacciava con l’Ilva spa. A quel punto, i pagamenti dalla società svizzera all’Ilva venivano dilazionati nel tempo in modo da poter rientrare nella normativa sulle erogazioni pubbliche. Altri quattro sono i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare: Agostino Alberti, dirigente di Riva Fire, Alfredo Lomonaco e Barbara Lomonaco di Ilva Sa e Adriana Lamsweerde di Eufintrade, una finanziaria elvetica.
Questa è solo la terza tranche di una più ampia inchiesta della Procura di Milano sul gruppo Ilva: lo scorso maggio, un primo troncone d’indagine aveva portato al sequestro di 1,9 miliardi di euro per i reati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. I pm hanno ipotizzato in quel caso che il patron Emilio e il fratello Adriano Riva assieme ad alcuni professionisti avessero sottratto soldi alle casse dell’Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale. Gli inquirenti, inoltre, stanno indagando anche sui rapporti tra la holding Rive Fire di Emilio Riva e la controllata Ilva con l’ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.  (LaStampa)






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