martedì 28 gennaio 2014

Chiacchiere e distintivo

“Stiamo sperimentando una rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano”, intervista ad Edo Ronchi sull'Ilva


La prima domanda che sembra banale, ma non è affatto scontata, è: “Chi te l’ha fatto fare?”
In effetti accettare un incarico del genere non è stato facile. Questa stessa domanda me l’hanno fatta diverse persone e qualcuno mi ha addirittura detto che il risanamento ambientale dell’Ilva è il lavoro più difficile che mi sia capitato nella vita. Comunque, in un primo momento, avevo deciso di non accettare ma poi ho riflettuto e, anche sulla scorta di alcuni casi che ho avuto modo di valutare, in particolare gli stabilimenti di Duisburg della Tyssen Krupp, ho considerato che pur nella grande difficoltà della situazione era possibile e necessario accettare la sfida di riuscire a produrre acciaio in maniera pulita in Italia per tre ragioni sostanziali: anche nell’attuale transizione da brown a green economy l’acciaio è necessario e insostituibile; non è come il carbone o il nucleare per la produzione di energia che hanno valide alternative. In secondo luogo perché ci sono casi nel mondo in cui si è realizzata una trasformazione significativa nelle tecnologie di produzione dell’acciaio, che consente di produrre a condizioni accettabili di compatibilità e sicurezza ambientale neanche minimamente paragonabili a quelle attuali, e totalmente corrispondenti alle prescrizioni dell’AIA. La terza considerazione è che la chiusura dell’industria siderurgica italiana determinerebbe, oltre alla perdita di migliaia di posti di lavoro, la necessità di importare acciaio da altri paesi e ciò da un lato scaricherebbe i costi ambientali sulle popolazioni dei paesi dai quali importeremmo acciaio non pulito e penso che i cittadini e le generazioni future di indiani, cinesi, coreani e nordafricani debbano avere gli stessi diritti degli italiani e degli europei. Dall’altro comporterebbe una forte dipendenza dell’industria nazionale dall’andamento e dalle fluttuazioni del mercato internazionale.
Pur considerando tutte le difficoltà del percorso che dobbiamo fare e l’esito non scontato, penso che la crisi prodotta dagli impatti ambientali possa diventare l’occasione per un’innovazione che faccia dell’ILVA uno stabilimento modello, il più avanzato in Europa. Un strumento così straordinario, come un Commissariamento di governo, con un adeguato supporto normativo, può trasformare un caso negativo in un esempio di green economy.


Come vi siete mossi in questi sei mesi e quali ritieni che siano state le principali misure messe in campo?
Il compito che abbiamo è davvero poderoso. Tanto per darti un’idea dimensionale, da giugno 2013 a dicembre abbiamo stipulato contratti e firmato 279 ordini per interventi e progetti in materia ambientale, impegnando quasi 337 milioni di euro. Nei 21 mesi precedenti al commissariamento gli investimenti sono stati meno della metà: 156 milioni. La nostra prima preoccupazione è stata quella di mantenere la produzione soltanto a condizione che i livelli di qualità dell’aria misurati tornassero a norma di legge. Ciò ha significato fermare 6 cokerie su 10 e 2 altoforni su 5, uno dei quali definitivamente, e ridurre la produzione nel 2013 a 5,8 milioni di tonnellate rispetto agli 8 milioni previsti dall’AIA e contestualmente avviare tutte le misure di risanamento previste dall’AIA. Nel 2013 i livelli di Pm10 e Benzo(a)pirene misurati dalle stazioni di rilevamento sono stati costantemente sotto i limiti di legge
Passando agli interventi più significativi, cito i più importanti: l’accelerazione della progettazione dell’intervento e dell’ordine d’acquisto dei filtri per l’abbattimento delle diossine per arrivare alla condizione di emissioni di diossine a 0,1 nanogrammi-mc; obiettivo raggiunto a seguito di un lavoro di ricerca e valutazione di diverse soluzioni piuttosto importante e articolato a livello internazionale, che ci ha permesso di individuare la migliore soluzione tecnologica attualmente disponibile sul mercato costituita da speciali filtri a tessuto “a manica”.
L’ordine e l’avvio delle procedure per l’installazione di valvole Proven, che controllano il sistema di pressione dei singoli forni riducendo le emissioni fuggitive durante la distillazione, in particolare di BaP e di altri IPA.
L’avvio e l’implementazione del progetto di copertura di 57 Km di nastri trasportatori.
L’installazione di un sistema interno di 30 telecamere che funzionano 24 ore su 24 per monitorare tutte le emissioni dello stabilimento che si affiancano al sistema di monitoraggio delle centraline a terra; inoltre come Ilva partecipiamo a un piano di realizzazione di una rete di monitoraggio ambientale sul territorio esterno allo stabilimento che al momento è arrivata alla definizione di un sistema che prevede l’utilizzo dei licheni e di un monitoraggio biologico continuativo e permanente.
Infine la cosa forse più impegnativa (anche dal punto di vista economico e finanziario) è stato l’avvio e la definizione del progetto di copertura dei parchi minerari che sono una delle “bestie nere” del percorso di risanamento.

Pensi che riuscirete nei 36 mesi che vi sono stati dati a raggiungere gli obiettivi previsti dall’AIA?
Se i 36 mesi li calcoliamo dall’inizio del nostro mandato sono fiducioso e in alcuni casi penso che potremmo persino superare alcuni obiettivi previsti dall’AIA. E’ necessario, però, che alcune condizioni di contesto, di sostegno da parte governativa al nostro lavoro e di consolidamento di un clima di buon senso e reciproca fiducia tra i diversi soggetti coinvolti si realizzino.

Cosa significa ? Come sono i rapporti con gli stake holder attualmente?
Innanzitutto una considerazione preliminare rispetto all’AIA. Non sempre e non tutto quello prescritto corrisponde a soluzioni e possibilità realmente realizzabili. Ti faccio l’esempio per noi risolto positivamente del piano per la copertura dei parchi minerari. Innanzitutto si tratta di un opera di dimensioni incomparabili con qualsiasi altra soluzione adottata in Europa: per esempio la copertura del parco minerario dei minerali è un manufatto di 700 metri di lunghezza 262 di larghezza 80 metri di altezza.
L’AIA per la copertura del parco carbone non aveva considerato il rischio di autocombustione, e questo ha ovviamente rallentato la progettazione, e aveva previsto dei tempi assolutamente irrealizzabili.
Inoltre l’investimento iniziale previsto e dichiarato dai Riva era di oltre 1 Miliardo di euro. Se fossimo stati costretti a stare ai tempi dichiarati dall’AIA saremmo stati “impiccati” dalle condizioni di mercato; invece abbiamo percorso la strada della gara internazionale che ha comportato tempi più lunghi ma che per uno dei due parchi ci ha permesso a chiudere a 99 MILIONI di euro la trattativa e il contratto con un’azienda italiana.
Peraltro ci sono cose che l’AIA non ha previsto e che abbiamo invece in programma di realizzare: definizione e realizzazione di un piano di gestione interna dei rifiuti. Un piano di gestione delle acque per la produzione e un miglioramento dei processi di depurazione delle acque meteoriche e degli scarichi.

Per quanto riguarda i rapporti con la popolazione e con le associazioni ambientaliste la situazione è ancora critica.
Permangono, in maniera certamente giustificata, timori e perplessità ma anche aspettative positive. Io penso che comunque la maggior parte della popolazione e anche una buona parte delle associazioni ambientaliste possano essere disponibili a valutare e gli sforzi e i risultati del nostro impegno. Accanto a loro vi sono posizioni intransigenti, sostenute da alcune associazioni ambientaliste, da parte della magistratura tarantina, e degli strati benestanti della popolazione che vogliono la chiusura dello stabilimento. Credo che nel complesso queste posizioni siano minoritarie a Taranto.
Io penso che la chiusura non solo produrrebbe una crisi sociale enorme e la fine della città di Taranto, ma temo che comporterebbe anche il rischio di vedere annullata qualsiasi possibilità di bonifica ambientale di questo territorio.

Quindi tra 30 mesi possiamo aspettarci una nuova ILVA risanata e all’avanguardia nella produzione dell’acciaio pulito? Su cosa si regge questa vostra convinzione?
Questa è la nostra volontà e anche la condizione per la continuazione del nostro impegno. Qualora ci rendessimo conto che le condizioni non lo permettono lasceremmo il campo. Non siamo interessati a soluzioni diverse da questa.
Il piano industriale che dovrebbe essere messo a punto nel prossimo mese prevede un salto tecnologico anche rispetto alle soluzioni e alle condizioni di Duisburg. Noi stiamo studiando e sperimentando soluzioni tecnologiche che attraverso l’utilizzo del ferro preridotto, utilizzando gas e non più carbone per produrre acciaio, garantiscono performance ambientali non solo migliori rispetto alle prescrizioni dell’AIA ma anche rispetto a quanto avviene attualmente negli stabilimenti di produzione di acciaio “pulito” d’Europa e degli Stati Uniti. Solo per darti qualche idea, rispetto allo scenario AIA, avremmo una riduzione di C02 del 63%, un azzeramento delle polveri delle cokerie e delle diossine, non utilizzando il carbone, e una riduzione superiore all’80% degli ossidi di zolfo e di azoto. Considerando una produzione dello stabilimento di Taranto di 8 milioni di tonnellate.
Questa soluzione dell’utilizzo del preridotto che già stiamo cominciando a sperimentare rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano. Renderebbe lo stabilimento di Taranto il primo in Europa ad adottare questa soluzione e abbandonare l’uso del carbone.
(vedi tabella e articolo Sole 24 ore)
In ogni caso da questa strada di risanamento e innovazione non si torna indietro e lo stabilimento che noi vogliamo consegnare alla nuova gestione tra 30 mesi non sarà sicuramente nemmeno paragonabile a quello che è stato l’Ilva di Taranto fino ad oggi.

Ma sul piano economico è competitiva questa transizione?
Innanzitutto va detto che questa transizione comporta un investimento complessivo di 3 miliardi: 1,8 per le misure ambientali e 1,2 per l’innovazione tecnologica.
Lo stabilimento di Taranto realizzerebbe margine interessante sulla base di una produzione di almeno 8 milioni di tonnellate e un prezzo del gas inferiore a quello attualmente praticato in Italia ma in linea con quello che si potrebbe acquistare direttamente in diverse zone del mondo, compreso il Nord Africa.
Il mercato dell’acciaio inoltre, e nonostante la crisi degli ultimi anni, sarà ancora per lungo tempo redditizio.
Le condizioni per il raggiungimento dell’equilibrio economico ci possono essere.

C’è però il problema di come trovare i soldi per sostenere i 3 miliardi di investimento, considerando, tra l’altro, che il 23 dicembre la cassazione ha annullato il sequestro cautelativo degli 8,1 miliardi di beni della famiglia Riva. Come pensate di fare?
Il piano del commissario prevede di poter finanziare la riconversione in parte attraverso le leve del credito Il Inoltre, per un’altra parte, di arrivare fino a 3 miliardi attraverso una aumento di capitale. Tuttalpiù una parte del capitale sotto sequestro cautelativo (attualmente ammonta a 1,9 miliardi posto sotto sequestro dal tribunale di Milano) potrebbe essere utilizzato in una fase successiva e semmai costituire una garanzia per ottenere ulteriori prestiti bancari.

Chi potrebbe sottoscrivere questo aumento di capitale?
Il progetto industriale che verrà presentato è un vero piano industriale in grado di accrescere il dell’azienda. In diversi potrebbero essere interessati : fondi di investimento, gruppi bancari ; non escluderei neanche l’intervento della famiglia Riva.

Ci sono anche posizioni che esprimono perplessità sulla possibilità effettiva di ottenere i risultati che prospettate, in particolare il presidente di Federacciai Antonio Gozzi non ritiene il piano credibile…
Posso capire che ci siano opinioni contrastanti rispetto alle nostre ma mi sembra che anche rispetto al mondo industriale italiano questa posizione scettica sia minoritaria. L’industria italiana ha bisogno di acciaio prodotto in Italia a un prezzo in linea con il mercato, noi stiamo lavorando per questo. Se ci riescono in Germania e in Austria non c’è ragione perché questo non possa essere fatto anche da noi.

Qualcuno parla di esproprio e di una ri-statalizzazione dell’industria.
Come ti ho detto non c’è nessun esproprio, il piano industriale e finanziario prevede che la proprietà dell’acciaieria rimanga privata. Certo oggi non possiamo dire se rimarrà della famiglia Riva, ma questo dipenderà da altre dinamiche di mercato
L’intervento dello Stato attraverso il commissariamento è transitorio e serve a risolvere una grave crisi ambientale mantenendo efficiente e competitiva la produzione con gli investimenti necessari.

Considerando l’intera storia dell’acciaieria di Taranto, e per quanto tu la conosca, come pensi che debbano essere divise le responsabilità di quello che è avvenuto?
Mi sembra una discorso piuttosto complesso, lungo e difficile: la questione viene da molto lontano, riguarda la nostra cultura industriale, il ruolo deficitario della politica, la debolezza complessiva del nostro sistema economico privato.
Sicuramente vi è stata una carenza prolungata dell’azione di indirizzo e di controllo da parte dell’insieme delle istituzioni e certamente la gestione dello stabilimento è stata particolarmente carente. Al di là delle lacune, l’inquinamento dell’aria e dell’ambiente urbano che sono il risultato di di gestioni inadeguate. Io ho posso fare degli esempi di trascuratezze evidenti : ad esempio i cumuli di pneumatici usati o quello delle traversine ferroviarie abbandonati nello stabilimento. Non si tratta delle cose più importanti ma sono comunque significative di una cattiva gestione.

Ma non c’è un “peccato originale” alla base di tutto e cioè che quell’impianto non sarebbe dovuto nascere?
Forse sì, da quel poco che so a Taranto prima del siderurgico c’era un tessuto economico basato su agricoltura e pesca che è stato completamente dissestato ma è anche vero che l’industria italiana per crescere aveva bisogno di acciaio e che serviva un porto importante e Taranto era in una posizione geografica adatta.
Poi, francamente, non so fino a che punto sia utile fare questo ragionamento, io sono, sia per il ruolo che ho accettato di ricoprire, sia per natura personale, più attento a quello che si può fare in futuro .
Allora riguardo al futuro e al presente, considerando il fatto che la situazione ambientale è tornata nei limiti di legge attraverso una drastica riduzione della produzione, c'è chi ritiene che Taranto non possa reggere un impianto che torni a produrre oltre 8 milioni di tonnellate di acciaio.
A Duisburg, in tre diversi impianti , si arriva a produrre 17 milioni di tonnellate : le acciaierie sono grandi impianti, la loro sostenibilità dipende dalle tecnologie che si utilizzano e dalla capacità di innovazione tecnologica delle aziende. Attualmente ci sono nel mondo tecnologie per la produzione di acciaio pulito utilizzate in Europa Occidentale, negli Stati Uniti e in Giappone e credo che anche in Cina vi siano impianti sperimentali che si muovono ormai nella giusta direzione.
D’altra parte non è possibile pensare a piccole acciaierie che stiano sul mercato. Per produrre acciaio ed essere competitivi sul mercato è fondamentale poter contare su economie di scala. L’unica strada per la sostenibilità è quindi quella della continua ricerca e innovazione tecnologica…(Ecodallecittà)

Nessun commento: