“Stiamo sperimentando una rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano”, intervista ad Edo Ronchi sull'Ilva
La prima domanda che sembra banale, ma non è affatto scontata, è: “Chi te l’ha fatto fare?”
In effetti accettare un incarico del genere non è stato facile. Questa
stessa domanda me l’hanno fatta diverse persone e qualcuno mi ha
addirittura detto che il risanamento ambientale dell’Ilva è il lavoro
più difficile che mi sia capitato nella vita. Comunque, in un primo
momento, avevo deciso di non accettare ma poi ho riflettuto e, anche
sulla scorta di alcuni casi che ho avuto modo di valutare, in
particolare gli stabilimenti di Duisburg della Tyssen Krupp, ho
considerato che pur nella grande difficoltà della situazione era
possibile e necessario accettare la sfida di riuscire a produrre acciaio
in maniera pulita in Italia per tre ragioni sostanziali: anche
nell’attuale transizione da brown a green economy l’acciaio è necessario
e insostituibile; non è come il carbone o il nucleare per la produzione
di energia che hanno valide alternative. In secondo luogo perché ci
sono casi nel mondo in cui si è realizzata una trasformazione
significativa nelle tecnologie di produzione dell’acciaio, che consente
di produrre a condizioni accettabili di compatibilità e sicurezza
ambientale neanche minimamente paragonabili a quelle attuali, e
totalmente corrispondenti alle prescrizioni dell’AIA. La terza
considerazione è che la chiusura dell’industria siderurgica italiana
determinerebbe, oltre alla perdita di migliaia di posti di lavoro, la
necessità di importare acciaio da altri paesi e ciò da un lato
scaricherebbe i costi ambientali sulle popolazioni dei paesi dai quali
importeremmo acciaio non pulito e penso che i cittadini e le generazioni
future di indiani, cinesi, coreani e nordafricani debbano avere gli
stessi diritti degli italiani e degli europei. Dall’altro comporterebbe
una forte dipendenza dell’industria nazionale dall’andamento e dalle
fluttuazioni del mercato internazionale.
Pur considerando tutte le difficoltà del percorso che dobbiamo fare e
l’esito non scontato, penso che la crisi prodotta dagli impatti
ambientali possa diventare l’occasione per un’innovazione che faccia
dell’ILVA uno stabilimento modello, il più avanzato in Europa. Un
strumento così straordinario, come un Commissariamento di governo, con
un adeguato supporto normativo, può trasformare un caso negativo in un
esempio di green economy.
Come vi siete mossi in questi sei mesi e quali ritieni che siano state le principali misure messe in campo?
Il compito che abbiamo è davvero poderoso. Tanto per darti un’idea
dimensionale, da giugno 2013 a dicembre abbiamo stipulato contratti e
firmato 279 ordini per interventi e progetti in materia ambientale,
impegnando quasi 337 milioni di euro. Nei 21 mesi precedenti al
commissariamento gli investimenti sono stati meno della metà: 156
milioni. La nostra prima preoccupazione è stata quella di mantenere la
produzione soltanto a condizione che i livelli di qualità dell’aria
misurati tornassero a norma di legge. Ciò ha significato fermare 6
cokerie su 10 e 2 altoforni su 5, uno dei quali definitivamente, e
ridurre la produzione nel 2013 a 5,8 milioni di tonnellate rispetto agli
8 milioni previsti dall’AIA e contestualmente avviare tutte le misure
di risanamento previste dall’AIA. Nel 2013 i livelli di Pm10 e
Benzo(a)pirene misurati dalle stazioni di rilevamento sono stati
costantemente sotto i limiti di legge
Passando agli interventi più significativi, cito i più importanti:
l’accelerazione della progettazione dell’intervento e dell’ordine
d’acquisto dei filtri per l’abbattimento delle diossine per arrivare
alla condizione di emissioni di diossine a 0,1 nanogrammi-mc; obiettivo
raggiunto a seguito di un lavoro di ricerca e valutazione di diverse
soluzioni piuttosto importante e articolato a livello internazionale,
che ci ha permesso di individuare la migliore soluzione tecnologica
attualmente disponibile sul mercato costituita da speciali filtri a
tessuto “a manica”.
L’ordine e l’avvio delle procedure per l’installazione di valvole
Proven, che controllano il sistema di pressione dei singoli forni
riducendo le emissioni fuggitive durante la distillazione, in
particolare di BaP e di altri IPA.
L’avvio e l’implementazione del progetto di copertura di 57 Km di nastri trasportatori.
L’installazione di un sistema interno di 30 telecamere che funzionano 24
ore su 24 per monitorare tutte le emissioni dello stabilimento che si
affiancano al sistema di monitoraggio delle centraline a terra; inoltre
come Ilva partecipiamo a un piano di realizzazione di una rete di
monitoraggio ambientale sul territorio esterno allo stabilimento che al
momento è arrivata alla definizione di un sistema che prevede l’utilizzo
dei licheni e di un monitoraggio biologico continuativo e permanente.
Infine la cosa forse più impegnativa (anche dal punto di vista economico
e finanziario) è stato l’avvio e la definizione del progetto di
copertura dei parchi minerari che sono una delle “bestie nere” del
percorso di risanamento.
Pensi che riuscirete nei 36 mesi che vi sono stati dati a raggiungere gli obiettivi previsti dall’AIA?
Se i 36 mesi li calcoliamo dall’inizio del nostro mandato sono fiducioso
e in alcuni casi penso che potremmo persino superare alcuni obiettivi
previsti dall’AIA. E’ necessario, però, che alcune condizioni di
contesto, di sostegno da parte governativa al nostro lavoro e di
consolidamento di un clima di buon senso e reciproca fiducia tra i
diversi soggetti coinvolti si realizzino.
Cosa significa ? Come sono i rapporti con gli stake holder attualmente?
Innanzitutto una considerazione preliminare rispetto all’AIA. Non sempre
e non tutto quello prescritto corrisponde a soluzioni e possibilità
realmente realizzabili. Ti faccio l’esempio per noi risolto
positivamente del piano per la copertura dei parchi minerari.
Innanzitutto si tratta di un opera di dimensioni incomparabili con
qualsiasi altra soluzione adottata in Europa: per esempio la copertura
del parco minerario dei minerali è un manufatto di 700 metri di
lunghezza 262 di larghezza 80 metri di altezza.
L’AIA per la copertura del parco carbone non aveva considerato il
rischio di autocombustione, e questo ha ovviamente rallentato la
progettazione, e aveva previsto dei tempi assolutamente irrealizzabili.
Inoltre l’investimento iniziale previsto e dichiarato dai Riva era di
oltre 1 Miliardo di euro. Se fossimo stati costretti a stare ai tempi
dichiarati dall’AIA saremmo stati “impiccati” dalle condizioni di
mercato; invece abbiamo percorso la strada della gara internazionale che
ha comportato tempi più lunghi ma che per uno dei due parchi ci ha
permesso a chiudere a 99 MILIONI di euro la trattativa e il contratto
con un’azienda italiana.
Peraltro ci sono cose che l’AIA non ha previsto e che abbiamo invece in
programma di realizzare: definizione e realizzazione di un piano di
gestione interna dei rifiuti. Un piano di gestione delle acque per la
produzione e un miglioramento dei processi di depurazione delle acque
meteoriche e degli scarichi.
Per quanto riguarda i rapporti con la popolazione e con le associazioni ambientaliste la situazione è ancora critica.
Permangono, in maniera certamente giustificata, timori e perplessità ma
anche aspettative positive. Io penso che comunque la maggior parte della
popolazione e anche una buona parte delle associazioni ambientaliste
possano essere disponibili a valutare e gli sforzi e i risultati del
nostro impegno. Accanto a loro vi sono posizioni intransigenti,
sostenute da alcune associazioni ambientaliste, da parte della
magistratura tarantina, e degli strati benestanti della popolazione che
vogliono la chiusura dello stabilimento. Credo che nel complesso queste
posizioni siano minoritarie a Taranto.
Io penso che la chiusura non solo produrrebbe una crisi sociale enorme e
la fine della città di Taranto, ma temo che comporterebbe anche il
rischio di vedere annullata qualsiasi possibilità di bonifica ambientale
di questo territorio.
Quindi tra 30 mesi possiamo aspettarci una nuova ILVA risanata e
all’avanguardia nella produzione dell’acciaio pulito? Su cosa si regge
questa vostra convinzione?
Questa è la nostra volontà e anche la condizione per la continuazione
del nostro impegno. Qualora ci rendessimo conto che le condizioni non lo
permettono lasceremmo il campo. Non siamo interessati a soluzioni
diverse da questa.
Il piano industriale che dovrebbe essere messo a punto nel prossimo mese
prevede un salto tecnologico anche rispetto alle soluzioni e alle
condizioni di Duisburg. Noi stiamo studiando e sperimentando soluzioni
tecnologiche che attraverso l’utilizzo del ferro preridotto,
utilizzando gas e non più carbone per produrre acciaio, garantiscono
performance ambientali non solo migliori rispetto alle prescrizioni
dell’AIA ma anche rispetto a quanto avviene attualmente negli
stabilimenti di produzione di acciaio “pulito” d’Europa e degli Stati
Uniti. Solo per darti qualche idea, rispetto allo scenario AIA, avremmo
una riduzione di C02 del 63%, un azzeramento delle polveri delle
cokerie e delle diossine, non utilizzando il carbone, e una riduzione
superiore all’80% degli ossidi di zolfo e di azoto. Considerando una
produzione dello stabilimento di Taranto di 8 milioni di tonnellate.
Questa soluzione dell’utilizzo del preridotto che già stiamo cominciando
a sperimentare rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione
tecnologica per l’acciaio italiano. Renderebbe lo stabilimento di
Taranto il primo in Europa ad adottare questa soluzione e abbandonare
l’uso del carbone.
(vedi tabella e articolo Sole 24 ore)
In ogni caso da questa strada di risanamento e innovazione non si torna
indietro e lo stabilimento che noi vogliamo consegnare alla nuova
gestione tra 30 mesi non sarà sicuramente nemmeno paragonabile a quello
che è stato l’Ilva di Taranto fino ad oggi.
Ma sul piano economico è competitiva questa transizione?
Innanzitutto va detto che questa transizione comporta un investimento
complessivo di 3 miliardi: 1,8 per le misure ambientali e 1,2 per
l’innovazione tecnologica.
Lo stabilimento di Taranto realizzerebbe margine interessante sulla base
di una produzione di almeno 8 milioni di tonnellate e un prezzo del gas
inferiore a quello attualmente praticato in Italia ma in linea con
quello che si potrebbe acquistare direttamente in diverse zone del
mondo, compreso il Nord Africa.
Il mercato dell’acciaio inoltre, e nonostante la crisi degli ultimi anni, sarà ancora per lungo tempo redditizio.
Le condizioni per il raggiungimento dell’equilibrio economico ci possono essere.
C’è però il problema di come trovare i soldi per sostenere i 3
miliardi di investimento, considerando, tra l’altro, che il 23 dicembre
la cassazione ha annullato il sequestro cautelativo degli 8,1 miliardi
di beni della famiglia Riva. Come pensate di fare?
Il piano del commissario prevede di poter finanziare la riconversione in
parte attraverso le leve del credito Il Inoltre, per un’altra parte, di
arrivare fino a 3 miliardi attraverso una aumento di capitale.
Tuttalpiù una parte del capitale sotto sequestro cautelativo
(attualmente ammonta a 1,9 miliardi posto sotto sequestro dal tribunale
di Milano) potrebbe essere utilizzato in una fase successiva e semmai
costituire una garanzia per ottenere ulteriori prestiti bancari.
Chi potrebbe sottoscrivere questo aumento di capitale?
Il progetto industriale che verrà presentato è un vero piano industriale
in grado di accrescere il dell’azienda. In diversi potrebbero essere
interessati : fondi di investimento, gruppi bancari ; non escluderei
neanche l’intervento della famiglia Riva.
Ci sono anche posizioni che esprimono perplessità sulla
possibilità effettiva di ottenere i risultati che prospettate, in
particolare il presidente di Federacciai Antonio Gozzi non ritiene il
piano credibile…
Posso capire che ci siano opinioni contrastanti rispetto alle nostre ma
mi sembra che anche rispetto al mondo industriale italiano questa
posizione scettica sia minoritaria. L’industria italiana ha bisogno di
acciaio prodotto in Italia a un prezzo in linea con il mercato, noi
stiamo lavorando per questo. Se ci riescono in Germania e in Austria non
c’è ragione perché questo non possa essere fatto anche da noi.
Qualcuno parla di esproprio e di una ri-statalizzazione dell’industria.
Come ti ho detto non c’è nessun esproprio, il piano industriale e
finanziario prevede che la proprietà dell’acciaieria rimanga privata.
Certo oggi non possiamo dire se rimarrà della famiglia Riva, ma questo
dipenderà da altre dinamiche di mercato
L’intervento dello Stato attraverso il commissariamento è transitorio e
serve a risolvere una grave crisi ambientale mantenendo efficiente e
competitiva la produzione con gli investimenti necessari.
Considerando l’intera storia dell’acciaieria di Taranto, e per
quanto tu la conosca, come pensi che debbano essere divise le
responsabilità di quello che è avvenuto?
Mi sembra una discorso piuttosto complesso, lungo e difficile: la
questione viene da molto lontano, riguarda la nostra cultura
industriale, il ruolo deficitario della politica, la debolezza
complessiva del nostro sistema economico privato.
Sicuramente vi è stata una carenza prolungata dell’azione di indirizzo e
di controllo da parte dell’insieme delle istituzioni e certamente la
gestione dello stabilimento è stata particolarmente carente. Al di là
delle lacune, l’inquinamento dell’aria e dell’ambiente urbano che sono
il risultato di di gestioni inadeguate. Io ho posso fare degli esempi di
trascuratezze evidenti : ad esempio i cumuli di pneumatici usati o
quello delle traversine ferroviarie abbandonati nello stabilimento. Non
si tratta delle cose più importanti ma sono comunque significative di
una cattiva gestione.
Ma non c’è un “peccato originale” alla base di tutto e cioè che quell’impianto non sarebbe dovuto nascere?
Forse sì, da quel poco che so a Taranto prima del siderurgico c’era un
tessuto economico basato su agricoltura e pesca che è stato
completamente dissestato ma è anche vero che l’industria italiana per
crescere aveva bisogno di acciaio e che serviva un porto importante e
Taranto era in una posizione geografica adatta.
Poi, francamente, non so fino a che punto sia utile fare questo
ragionamento, io sono, sia per il ruolo che ho accettato di ricoprire,
sia per natura personale, più attento a quello che si può fare in futuro
.
Allora riguardo al futuro e al presente, considerando il fatto che la
situazione ambientale è tornata nei limiti di legge attraverso una
drastica riduzione della produzione, c'è chi ritiene che Taranto non
possa reggere un impianto che torni a produrre oltre 8 milioni di
tonnellate di acciaio.
A Duisburg, in tre diversi impianti , si arriva a produrre 17 milioni di
tonnellate : le acciaierie sono grandi impianti, la loro sostenibilità
dipende dalle tecnologie che si utilizzano e dalla capacità di
innovazione tecnologica delle aziende. Attualmente ci sono nel mondo
tecnologie per la produzione di acciaio pulito utilizzate in Europa
Occidentale, negli Stati Uniti e in Giappone e credo che anche in Cina
vi siano impianti sperimentali che si muovono ormai nella giusta
direzione.
D’altra parte non è possibile pensare a piccole acciaierie che stiano
sul mercato. Per produrre acciaio ed essere competitivi sul mercato è
fondamentale poter contare su economie di scala. L’unica strada per la
sostenibilità è quindi quella della continua ricerca e innovazione
tecnologica…(Ecodallecittà)
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