venerdì 10 gennaio 2014

Massafra, la terra degli inceneritori doc!


Dopo il formaggio e il latte materno, la diossina è entrata anche nel latte dei bovini che pascolano nell’agro di Massafra, comune a circa 20 chilometri da Taranto. Il nuovo allarme è partito dopo le analisi compiute dall’Asl che hanno rivelato la presenza di inquinanti in quantità doppia rispetto al limite consentito. Dopo gli esami svolti dall’istituto zooprofilattico di Teramo, infatti, i valori riscontrati nei campioni erano di 11,72 picogrammi per grammo di grasso rispetto al limite di legge consentito di 5,5. Il nuovo allarme, secondo l’Arpa Puglia, potrebbe avere due cause: l’utilizzo di mangimi prodotti in terreni contaminati oppure la contaminazione dei suoli dell’allevamento. Intanto l’agenzia regionale guidata da Giorgio Assennato ha chiarito che è “necessario dar seguito ad approfondimenti tecnico-ambientali” e nel frattempo ha stoppato le procedure autorizzative per il raddoppio di una centrale termoelettrica situata a circa un chilometro dall’allevamento.
La centrale, non è indicata come la causa certa dell’inquinamento, ma come una “potenziale sorgente” di diossina. Per l’allevamento nel quale si trovano i bovini alla diossina e gli altri esistenti nell’agro di Massafra, secondo Arpa, “risultano, di fatto, in condizioni di criticità in quanto interessati dal trasferimento di microinquinanti organici (diossine e Pcb)” anche se “non sono stati riscontrati superamenti dei medesimi parametri nelle acque di abbeveraggio dell’allevamento, acque provenienti da falda profonda, e in un campione di suolo dell’area dell’azienda agricola”. Insomma una situazione delicata e allarmante che ora dovrà essere approfondita per arrivare alle vere cause. L’agenzia di protezione ambientale si è già detta disponibile in una lettera a firma di Assennato, del direttore scientifico Massimo Blonda e della dirigente Barbara Valenzano, “a collocare quanto prima un deposimetro per il controllo di microinquinanti ed uno per i metalli pesanti unitamente ad un campionatore di vento selettivo per i rilievi del caso” oltre ad approfondimenti tecnici, campionamenti mirati e sopralluoghi.
Il primo cittadino di Massafra, Martino Tamburrano (Forza Italia), però, ha reagito chiedendo le dimissioni di Assennato: “Apprendo dalla stampa di diossina nel latte, di veleni e di paura. La domanda nasce spontanea: l’Arpa ha dati nuovi e certi o si crea solo allarmismo in un momento particolare ed in un territorio già penalizzato e additato come ‘pericoloso’?”. Ad Assennato, ha aggiunto Tamburrano, “chiedo certezze e non allarmismi. Se il territorio è inquinato me lo si dica in modo chiaro e adotterò tutti i consequenziali e opportuni atti a tutela della salute pubblica”. Sulla vicenda è intervenuta anche Legambiente che in una nota ha evidenziato come questo nuovo allarme sia “l’ennesimo elemento della criticità di un territorio che non può più sopportare alcun ulteriore carico ambientale” e ha ribadito il suo “no categorico” al raddoppio del vicino termovalorizzatore definito “un progetto paradossale e insostenibile, contrario ai vincoli urbanistici e agli obiettivi di raccolta differenziata”.
Un allarme diossina, insomma, che torna esattamente cinque anni dopo quello che portò all’abbattimento di oltre 2mila pecore contaminate e che diede vita alla maxi inchiesta sull’Ilva di Taranto (che al momento non è interessata dalla vicenda di Massafra) che si è conclusa poco fa con 53 indagati, il sequestro degli impianti (su cui ora vige la facoltà d’uso) e il commissariamento della fabbrica con Enrico Bondi.
Ma l’allarme bovini alla diossina è l’ultimo atto di una settimana calda a Taranto. Dopo lo scontro tra ambientalisti e Arpa sui valori di alcuni inquinanti, nei giorni scorsi il Fondo Antidiossia Onlus aveva diffuso i dati sulle analisi effettuate sulle uova. Dagli esami erano emersi valori al di sotto dei limiti di legge, ma per gli ambientalisti sono necessarie nuove indagini per capire come mai il range supera “i valori accettabili”. Anche il dg Arpa, Giorgio Assennato, che ha definito “prezioso” il contributo offerto dal Fondo Antidiossina che ha commissionato le analisi, “i valori osservati possono essere considerati medi o medio-alti, ma, contribuendo in modo trascurabile all’assunzione giornaliera di diossine (TDI), possono essere considerati certamente innocui da un punto di vista sanitario”. Le uova sono state prelevate a Martina Franca, comune a circa 30 km dalla zona industriale da Taranto, infatti avevano un valore di quasi 0,9 picogrammi mentre i dati accettabili devono essere inferiori a 0,2 picogrammi. (FQ)


Una città ecoferita che chiede la verità

Una storia infinita. A Taranto e dintorni. Mentre si cercano i quattrini per rendere gli impianti dell’Ilva non più fonti di malattie e morte per operai e tarantini, le diseconomie, le storture e gli incubi del passato, sopravvissuti agli interventi dell’autorità giudiziaria, tornano ad allungarsi minacciosi. La diossina, sostanza cancerogena, da vero, autentico, killer silenzioso e implacabile, a cinque anni dal suo ritrovamento nei prodotti caseari realizzati in masserie ubicate a ridosso dell’Ilva, stavolta si materializza, in valori doppi rispetto al limite, nel latte delle mucche di un allevamento di Massafra, latte ogni giorno portato in un caseificio vicino per essere trasformato in mozzarelle e burrate.
Se si tratti di diossina frutto del famigerato camino E312 dell’Ilva, detentore del poco invidiabile primato di primo produttore europeo della sostanza tossica, oppure sputata dall’inceneritore di Massafra, Arpa e Asl non sanno dirlo e chiedono tempo per accertarlo con esattezza, visto che l’allevamento si trova a 10 chilometri dal siderurgico, dunque in una zona comunque a rischio tanto da essere sottoposta a controlli proprio per quanto accaduto nel 2008, e a poco più di un chilometro dall’inceneritore che brucia balle di rifiuti provenienti da mezza Puglia.
Sul campo, oltre alla diossina, restano poche certezze e tanti dubbi. La positività delle analisi certifica che i controlli funzionano ma che fino a quei controlli, eseguiti tra aprile e ottobre dell’anno scorso, il latte di quell’allevamento è stato trasformato in prodotti caseari ed è finito dunque nei nostri organismi. Il vincolo sanitario apposto dalla Asl all’allevamento garantisce che la diffusione è stata bloccata ma mette naturalmente in gravi difficoltà economiche il proprietario delle 55 mucche, costretto a non vendere più latte e carne.
I vertici a Palazzo Chigi e le maratone in Parlamento sul caso-Ilva sembrano lasciare sempre sullo sfondo, non citandola nemmeno come nel caso dell’ultimo decreto varato dal governo Letta, la parola salute, il valore salute, l’importanza della salute per i tarantini.
È giusto adoperarsi per trovare le risorse necessarie per far adempiere all’Ilva le prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata nell’ottobre 2012 e sinora rimasta rinchiusa nell’alveo delle buone intenzioni. È legittimo fare il possibile per salvare gli 8 milioni di tonnellate di acciaio sfornate dal siderurgico ogni anno, essenziali per l’industria manifatturiera italiana tanto da far ritenere l’acciaieria tarantina strategica per tutta l’Italia. È doveroso pensare agli stipendi degli oltre 15mila operai che ogni giorno - al lordo di cassa integrazione e contratti di solidarietà - varcano i cancelli della fabbrica. Ma non basta. C’è altro. C’è la diossina trovata a Massafra e prima ancora a Taranto e Statte, e finita nella catena alimentare. C’è la fila disumana e ci sono i momenti di tensione registrati ieri al reparto di oncologia dell’ospedale Moscati del capoluogo jonico, malgrado il grande spirito di abnegazione di medici e infermieri. Ci sono i giovani, i tanti giovani, operai ma non solo, strappati alla vita dai tumori implacabili quanto la diossina. Ci sono i bambini del rione Tamburi che da anni non possono giocare nelle aree verdi sotto casa e nelle scuole, perché contaminate. Ci sono i morti del cimitero, sepolti sotto una terra rosso minerale. E c’è una città, anzi una intera provincia, che chiede verità: su quanto esce ora dalle ciminiere dell’Ilva (e dal camino dell’inceneritore di Massafra), su quello che finisce sulle sue tavole, sui soldi stanziati per garantire concretamente il diritto alla salute e magari, un giorno, chissà, avere un decreto legge con la salute al centro e la produzione in coda. (Mimmo Mazza - GdM)

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