Con un metafora ai limiti del blasfemo, tra padreterno (Ilva) e cristo (ENI), la Cementir a Taranto rappresenta lo spirito santo che contribuisce a dispensare polveri, ceneri e diossine nei cieli e nella terra della città, incenerendo loppe, clinker e da qualche anno anche CDR (Combustibile da Rifiuti).
Quel megainceneritore, insomma, "dona" tanto bene (inquinamento, tumori, puzza) alla città in cambio di meno di un centinaio di posti di lavoro (diretti, sugli indiretti non ci fidiamo delle stime dei sindacati...).
Una città di 200.000 abitanti non è in grado di trovare ricollocazione degna per questi operai, magari iniziando quel processo di riqualificazione dei siti industriali tanto chiacchierato da tutti?
Possiamo ri-parlarne?
Cementir, forno spento dal 1. gennaio e clinker acquistato all’esterno
In attesa dell’incontro istituzionale che si terrà a Bari nella sede della Regione con azienda, sindacati e gli assessori al lavoro Caroli e sviluppo economico Capone, i lavoratori della Cementir di Taranto da oggi e fino al 9 gennaio (data della riunione regionale – ndr) manterranno, insieme ai sindacati Feneal-uil, filca-cisl e fillea-cgil, un presidio di protesta davanti ai cancelli del cementificio sulla statale 106.
«Ci preoccupa all’inizio di un nuovo anno lo scandire del tempo che per Taranto ha il suono scoraggiante delle parole che si sentono all’interno dello stabilimento – spiega Vito Galeandro, Rsu della Fillea-Cgil».
Il rappresentante sindacale fa riferimento alle informazioni giunte dalla direzione aziendale che informa che il forno per la macinazione rimarrà spento dal 1° gennaio e fino almeno fino al 15 marzo 2014 e che fino ad allora la forza lavoro sarà ridimensionata come se la Cementir di Taranto fosse un centro di macinazione e non anche di produzione del cemento.
Una situazione che Antonio Stasi, segretario generale della Fillea-Cgil di Taranto, non stenta a definire «di grande pericolo. Un forno che viene spento, così come viene addotto dall’azienda, per motivi tecnici – dice – in caso di manutenzione anche straordinaria non ci mette tutto questo a ripartire, senza peraltro nessuna certezza della ripartenza dopo il 15 marzo. In più ci appare paradossale una situazione come questa in presenza di commesse già acquisite (come quella di 18mila tonnellate – ndr) e altre in itinere, con un forno spento e il clinker acquistato all’esterno dalla Buzzi di Barletta».
Insomma, i sindacati chiedono di vederci chiaro in una situazione che prefigura troppi dubbi all’orizzonte.
«Noi saremo qui fino al 9 ma chiediamo all’azienda un incontro prima della seduta in Regione – commenta ancora Stasi – perché mentre è chiaro il grado di confusione che in questo momento regna sulle notizie che circolano in merito al futuro di questo stabilimento non è altrettanto chiaro di piano polico-aziendale che dovrebbe allontanare il rischio di possibili ridimensionamenti della forza lavoro e declassamenti dell’attuale asset aziendale».
L’azienda infatti dopo i piani di espansione del 2011 con investimenti per 200milioni di euro del Progetto Taranto, oggi potrebbe trasformarsi in un centro di serie B con sola macinazione e non più produzione.
«In quel caso – ricordano i sindacati – la forza lavoro si ridurrebbe del 70%. Uno smacco che Taranto non può permettersi il lusso di sostenere». (CdG - 3gennaio)
La Cementir spegne l’altoforno presidio degli operai in fabbrica
Operai Contro,
I lavoratori della Cementir di Taranto da ieri manterranno, insieme ai sindacati Feneal, Filca e Fillea, un presidio davanti ai cancelli del cementificio sulla statale 106 per protestare contro la decisione del gruppo Caltagirone di chiudere l’area a caldo dello stabilimento di Taranto e ridurre il personale.
Il 9 gennaio, è previsto un incontro istituzionale che si terrà a Bari nella sede della Regione con i dirigenti dell’azienda del gruppo Caltagirone, sindacati e gli assessori regionali al lavoro Leo Caroli e sviluppo economico Loredana Capone.
“Ci preoccupa all’inizio di un nuovo anno – sottolinea in una nota Vito Galeandro, della Rsu Fillea Cgil – lo scandire del tempo che per Taranto ha il suono scoraggiante delle parole che si sentono all’interno dello stabilimento”. Il rappresentante sindacale fa riferimento alle informazioni giunte dalla direzione aziendale che ha annunciato lo spegnimento del forno per la macinazione dall’1 gennaio ad almeno il 15 marzo prossimo e che “fino ad allora la forza lavoro sarà ridimensionata come se la Cementir di Taranto fosse un centro di macinazione e non anche di produzione del cemento”.
Una situazione che Antonio Stasi, segretario generale Fillea di Taranto, definisce di “grande pericolo. Un forno che viene spento, così come viene addotto dall’azienda, per motivi tecnici – osserva – in caso di manutenzione anche straordinaria non ci mette tutto questo a ripartire, senza peraltro nessuna certezza della ripartenza dopo il 15 marzo. In più ci appare paradossale una situazione come questa in presenza di commesse già acquisite, come quella di 18mila tonnellate, e altre in itinere, con un forno spento e il clinker acquistato all’esterno dalla Buzzi.
"Bravi gli operai della Cementir che hanno reagito immediatamente di fronte alla decisione dell’azienda di spegnere l’altoforno della fabbrica, sanno benissimo che fermando l’altoforno difficilmente potranno riprendere il lavoro per consegnare le nuove commesse di lavoro già acquisite.
Bravi gli operai della Cementir che protestano con un presidio ad oltranza e se sarà necessario sono pronti ad occupare la fabbrica.
Bravi gli operai della Cementir che sono determinati nella lotta contro il padrone che vuole ridurre il personale, si sono organizzati bene e non hanno paura delle minacce dei dirigenti aziendali.
Gli operai della Cementir se non delegheranno a nessuno i loro interessi sicuramente renderanno difficile per il padrone il piano di smantellamento della fabbrica". (Un operaio di Taranto). (Il pane e le rose - 5 gen)
Cementir, appello alla Regione per la chiusura area a caldo
La decisione della Cementir di chiudere l’area a caldo dello stabilimento di Taranto e ridurre il personale ha indotto i lavoratori e le Rappresentanze sindacali unitarie a protestare con un presidio che si tiene da giorni davanti al sito e a rivolgere un appello alla Regione Puglia. "Come mai – si chiedono le Rsu – il destino di 60 lavoratori diretti e di oltre 150 indiretti e delle loro famiglie che a breve rischiano di perdere il posto di lavoro non interessa ai politici ed alle istituzioni pugliesi e tarantine? Forse non siamo ugualmente italiani ed aventi diritti come i nostri colleghi piemontesi?".
I lavoratori ricordano che l’organico, prima del periodo di crisi, era di 115 unità. Con le mobilità che si sono susseguite, aggiungono, l’organico è stato ridotto a 95 e con lo spegnimento della linea a caldo si riduce a 42. "Perchè – si domandano ancora sindacati e operai – l'azienda sta ignorando la internalizzazione per la ricollocazione del personale e gli altri strumenti previsti dall’accordo del 19 settembre 2013? Vogliamo la tutela dei posti di lavoro. Noi non accettiamo tutto questo e siamo pronti a difendere i nostri posti di lavoro nell’unica ed ultima speranza che la Regione Puglia ci dia appoggio". Diversamente, concludono i lavoratori, "con qualunque mezzo, denunceremo l’atteggiamento di abbandono di chi avrebbe dovuto tutelarci. E' noto alle parti che tutti i lavoratori hanno deciso di scioperare e che sono pronti alla mobilitazione, non escludendo altre iniziative per la salvaguardia del proprio posto di lavoro". (GdM - 8gen)
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