Il vulnus giuridico è sempre lo stesso. Per effetto dell’art. 1 comma 3 del decreto di Riesame dell’AIA del 26 ottobre 2012 (incorporato nella legge 231/2012 meglio conosciuta come ‘salva Ilva), ogni trimestre i tecnici di ISPRA ed ARPA Puglia si recano nello stabilimento siderurgico Ilva per verificare lo stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti dal riesame dell’AIA: l’ultima ispezione è avvenuta il 3 e 4 dicembre scorsi (le precedenti si sono svolte il 5-6-7 marzo, il 28-29-30 maggio e il 10-11 settembre dello scorso anno).
Puntualmente i tecnici hanno
riscontrato diverse violazioni, segnalate all’azienda ed al ministero
dell’Ambiente all’interno di diffide con le quali s’intimava all’Ilva di
“mettersi in regola” (diffide del 14 giugno, 22 luglio e 21 ottobre).
Cosa peraltro mai avvenuta. A quel punto, secondo quanto previsto sia
dal Codice Ambientale (Dlgs. 152/2006) che dal riesame AIA e dalla legge
231/2012, sarebbero dovute partire le sanzioni nei confronti
dell’azienda, il cui importo avrebbe potuto raggiungere come tetto
massimo, il 10% del fatturato.
Tutto questo non è mai accaduto. Per diversi motivi. Il
primo, ed è per questo che parliamo di “vulnus giuridico” (che su queste
colonne abbiamo segnalato più volte negli ultimi mesi), è dovuto a
quanto previsto dalla legge 89 del 4 agosto scorso. Perché se è vero che
la stessa prevede che la progressiva adozione (lasciata appositamente
in una terminologia ambigua) delle misure indicate nelle prescrizioni
AIA sia affidata al commissario Enrico Bondi, è altrettanto vero che
quella stessa legge ha previsto la nomina da parte del ministero
dell’Ambiente di tre esperti, a cui è stato affidato il compito di
stilare un piano di lavoro che rimodulasse la tempistica della
realizzazione delle prescrizioni stesse (piano presentato lo scorso 10
ottobre e che il decreto 136 del 3 dicembre scorso prevede debba essere
approvato tramite decreto del ministro dell’Ambiente entro il prossimo
28 febbraio).
Oggi, come nei mesi scorsi, la domanda che ci sorge
spontanea è sempre la stessa: perché mandare i tecnici di ISPRA ed ARPA
all’interno dell’Ilva per accertare la scontata violazione di
prescrizioni che è stato stabilito per legge siano attuate in tempi
diversi rispetto a quanto prescritto dal riesame AIA dell’ottobre 2012?
Visto che tra l’altro il commissariamento del siderurgico si è reso
necessario proprio per la mancata attuazione delle prescrizioni AIA da
parte del gruppo Riva? Del resto, se la maggior parte delle tempistiche
previste inizialmente dall’AIA sono state tutte rimodulate nel tempo, è
sulle “nuove prescrizioni” che Bondi deve garantire la progressiva
attuazione, non su quelle “vecchie”. Quindi, come scrivemmo nei mesi
scorsi, è come se all’Ilva questi ultimi 8 mesi fossero stati del tutto
“condonati”.
Per mettere un punto sulla querelle, il decreto 136 dello
scorso 3 dicembre che la Camera si appresta a votare, si occupa proprio
di questo “vulnus giuridico”. Esattamente al punto “F” dell’art. 12,
dove si legge che non ci sarà “nessuna sanzione speciale per atti o
comportamenti imputabili alla gestione commissariale dell’Ilva se
vengono rispettate le prescrizioni dei piani ambientale e industriale,
nonché la progressiva attuazione dell’Aia”. Il governo ha chiarito che
“la progressiva adozione delle misure” (prevista dalla legge 89 del 4
agosto) è intesa nel senso che la stessa è rispettata se la qualità
dell’aria nella zona esterna allo stabilimento “non abbia registrato un
peggioramento rispetto alla data di inizio della gestione commissariale”
e se “alla data di approvazione del piano, siano stati avviati gli
interventi necessari ad ottemperare ad almeno il 70% (un emendamento
accolto nei giorni scorsi ha alzato l’asticella all’80%) del numero
complessivo delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni integrate
ambientali, ferma restando la non applicazione dei termini previsti
dalle predette autorizzazioni e prescrizioni”.
Dunque, ciò che conta sarà “dimostrare” di aver avviato
l’80% degli interventi, senza priorità alcuna sull’importanza degli
stessi e sull’effettiva conclusione (tanto c’è sempre l’ipotesi del
fallimento dietro l’angolo, prevista dalla legge 89 del 4 agosto).
Inoltre, le sanzioni riferite ad atti imputabili alla gestione
precedente al commissariamento, ricadranno sulle “persone fisiche che
abbiano posto in essere gli atti o comportamenti”, i Riva, e non saranno
poste a carico dell’impresa commissariata “per tutta la durata del
commissariamento”: dunque, nel caso l’azienda ritorni al gruppo
lombardo, saranno i Riva a farsene carico. Sia di quelle che saranno
eventualmente erogate dal ministero dell’Ambiente, sia quelle che
arriveranno dal Prefetto. Tutto ciò detto, entriamo nel merito
dell’ispezione dello scorso dicembre. Che ha evidenziato per la quarta
volta di fila l’inadempienza delle solite prescrizioni. Per questo, ci
concentreremo sulle “novità” o i dati in più presenti nel verbale
dell’ispezione.
Per quanto concerne la prescrizione n. 4 (“Per le aree di
deposito di materiali polverulenti, prioritariamente per il parco Nord
coke e per il parco OMO, si prescrive l’avvio dei lavori per la
costruzione di edifici chiusi e dotati di sistemi di captazione e
trattamento di aria filtrata dalle aree per lo stoccaggio di materiali
polverulenti”), si apprende che Ilva lo scorso 22 novembre ha presentato
istanza di modifica non sostanziale per “rinuncia all’utilizzo
dell’area parco Nord Coke”, pur avendo inoltrato la documentazione di un
progetto per l’area in questione appena lo scorso 29 luglio. I tecnici
hanno verificato infatti che il parco è risultato sgombro di materiale
per larga parte della sua superficie.
Per quanto riguarda la prescrizione n. 5 (“Sistemi di
scarico per trasporto via mare con l’utilizzo di sistemi di scarico
automatico o scaricatori continui coperti” per evitare le emissioni di
polveri derivanti dalla movimentazione di materiali presso gli sporgenti
2 e 4 del porto), l’Ilva ha ordinato un nuovo scaricatore a tazze per
il secondo sporgente, in aggiunta ad uno analogo utilizzato sul quarto
sporgente, ma si continua a sottolineare che l’azienda “non ha
trasmesso, entro 30 giorni dalla data di ricezione della diffida del
14/06/13, il progetto esecutivo corredato dal relativo crono programma
degli interventi”. E l’adozione di sistemi di scarico automatici da
completare con benne chiuse (ecologiche) da installare negli esistenti
scaricatori automatizzati dov’è finita?
Discorso analogo per la prescrizione n. 6 (“Interventi
chiusura nastri e cadute”, mediante la chiusura completa (su tutti e
quattro i lati) di tutti i nastri trasportatori”): i lavori sono in
corso con una percentuale di completamento dichiarata dall’Ilva pari a
circa il 28% di lunghezza lineare coperta rispetto al totale (in tutto
parliamo di 90 km). Giova a tal proposito ricordare che l’azienda ha
ottenuto una corposa proroga sulla tempistica prevista (l’accoglimento
dell’istanza di modifica non sostanziale con nota del 17/12/2012 da
parte della Commissione IPPC ha previsto che i 90 km di nastri che
andavano coperti entro gennaio scorso fosse posticipata ad ottobre
2015).
Nel piano di lavoro dei tre esperti, si legge però che “il
termine fissato dal Gestore per il completamento dell’intervento era
indicato ad ottobre 2015”. Era, appunto. Ora, per la realizzazione della
copertura totale dei nastri, si dovrà attendere giugno 2016. E pensare
che nel “Rapporto Ambiente e Sicurezza” Ilva del 2011, i nastri
trasportatori figuravano tra le opere di “ambientalizzazione” già
effettuare dall’azienda, il cui costo rientrava nel famoso miliardo
investito dal gruppo Riva dal ’95 al 2012.
Per quanto riguarda la prescrizione n. 16 riguardante
l’AFO/2 (“Depolverazione Stock House”, che consiste nell’abbattimento
delle polveri generate nel processo di lavorazione dell’acciaio) la cui
ultimazione era prevista per gennaio 2014, l’Ilva è in attesa di
ricevere il nulla osta dal ministero dell’Ambiente “per l’effettuazione
degli scavi per le fondazioni del camino e del filtro”. Dopo essere
stato fermato nel mese di luglio, AFO/2 è ripartito lo scorso novembre.
Nel penultimo verbale redatto dai tecnici ISPRA ed ARPA in merito
all’ispezione del 10 e 11 settembre, era stata verificata l’ultimazione
degli interventi di chiusura per la “stock house”.
Come riportammo nello scorso ottobre però, nel piano
redatto dai tre esperti a proposito dei lavori previsti per AFO 2 si
leggeva quanto segue: “il forno AFO/2 è stato fermato per motivi di
mercato (indipendentemente dalle prescrizioni AIA), e ne è previsto il
riavvio nel gennaio 2014; gli interventi di depolverazione sono stati
riprogrammati temporalmente e con la previsione di installazione di
filtri a tessuto. L’ultimazione degli interventi deve avvenire entro il
31 marzo 2014. Il riavvio sarà eseguito dopo la conclusione delle
opere”. Questo significa che Ilva ha fatto ripartire un altoforno senza
che prima siano stati effettuati tutti i lavori previsti
dall’AIA. Durante l’ispezione di settembre l’Ilva, a fronte delle
contestazioni dei tecnici ISPRA e ARPA, rispose di essere “in attesa
della definizione delle proposte del piano degli esperti”: ma prima
ancora che il piano sia stato approvato con apposito decreto
ministeriale, l’azienda ha fatto ripartire un impianto che lei stessa
aveva previsto di rimettere in marcia nel gennaio 2014 (e che per il
piano degli esperti doveva ripartire a lavori ultimati non prima del
prossimo mese di marzo).
E veniamo ora alle ulteriori note dolenti. Per quanto
riguarda la prescrizione n. 49 (“L’emissione di particolato con il
flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento sia
inferiore a 25 g/t coke. Presentare, entro 6 mesi dal rilascio del
provvedimento di riesame dell’AIA, un progetto esecutivo per il
conseguimento di un valore inferiore a 20 mg/Nm3. Eseguire, con
frequenza mensile, il monitoraggio delle emissioni diffuse di polveri da
tutte le torri di spegnimento con metodo VDI 2303 (Guidelines for
sampling and measurement of dust emission from wet quenching”), di cui
ci siamo occupati nei giorni scorsi per via del caso scoppiato con le
emissioni del 1 gennaio scorso, nel verbale d’ispezione è segnalato il
perdurare del superamento del valore imposto dall’AIA di 25 grammi per
tonnellata. Lo si apprende dalle registrazioni fornite dalla stessa Ilva
relative al periodo luglio-settembre 2013, dove in alcuni casi è stato
registrato il superamento dei limiti per le torri di spegnimento n. 5
asservite alle batterie 7-8, sia per le torri n. 6 asservite alle
batterie 11-12, attualmente in funzione. Inoltre, non risultano
aggiornamenti per il progetto per ridurre ulteriormente le emissioni.
I problemi di questa operazione (fisiologica per un
siderurgico) sono due come evidenziammo tempo addietro: il primo è che
le torri di spegnimento dell’Ilva non sono dotate di filtri che
trattengano il particolato del coke che il vapore trascina con sé.
L’unica “limitazione” alle polveri emesse infatti, è “garantita” dalle
delle così dette “persianine”, che altro non sono che delle sporgenze
interne alle torri, su cui la polvere “dovrebbe” depositarsi. Secondo:
l’Ilva non è dotata dello spegnimento a secco del coke (“dry quenching”)
che viene utilizzato in diversi impianti siderurgici europei, che
consente da un lato un notevole risparmio energetico e dall’altro
l’eliminazione delle nubi di vapore che portano con se il particolato
del coke. ARPA Puglia, nel corso del processo istruttorio della
commissione IPPC di riesame dell’AIA, aveva proposto di esaminare la
possibilità di adozione di tale procedimento: ma il suggerimento,
nemmeno a dirlo, non fu accolto.
Ancora peggio per quanto riguarda la prescrizione n. 70
secondo punto, nella parte relativa alla eliminazione del fenomeno di
“slopping” tramite interventi di natura gestionale. Lo scorso 15
novembre l’Ilva dichiarava di aver ultimato l’intervento di
implementazione su tutti i convertitori del nuovo sistema ISDS, come
evoluzione del sistema RAMS finalizzato alla prevenzione dei fenomeni di
“slopping”. ISPRA ed ARPA però, segnalano come permanga ancora inevasa
la richiesta del protocollo operativo del nuovo sistema RAMS (come
peraltro già evidenziato dalla diffida del 14 giugno scorso). Dal
febbraio al dicembre 2012 si verificarono ben 240 fenomeni di “slopping”
nelle due acciaierie.
Dal verbale dell’ultima ispezione, si apprende che sono
stati analizzati alcuni episodi anomali nel periodo che va dal 1
settembre all’11 novembre 2013: gran parte degli episodi di emissioni
anomale dal tetto delle acciaierie (oltre l’80%), hanno avuto luogo tra
le ore 20 e le ore 6 del mattino. Di 21 eventi di emissione
straordinaria dal tetto dell’acciaieria annotati sul registro
elettronico, ben 17 hanno avuto luogo in quell’intervallo di tempo: in
pratica quando, venuta meno la luce del giorno, è pressoché impossibile
osservarli ad occhio nudo. A tal proposito è stata richiesta all’Ilva
una relazione di approfondimento soprattutto sulle cause tecniche ed
ambientali che hanno provocato tali eventi, corredata da una
quantificazione degli effetti ambientali.
Infine, la prescrizione n. 85. Che prevedeva, entro 6 mesi
dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, “una rete di
monitoraggio in continuo della qualità dell’aria attraverso l’adozione
di 6 centraline di monitoraggio da ubicare in prossimità del perimetro
dello stabilimento; la stessa rete, da integrare con la rete regionale
secondo le modalità che saranno indicate da ARPA Puglia, sarà
implementata da un sistema di monitoraggio d’area ottico spettrale
“fence line open-path”, costituito da 5 postazioni DOAS complete e 3
sistemi LIDAR completi”. Lo scorso settembre, ARPA aveva verificato che
erano terminate le installazioni delle strumentazioni nelle centraline
di stabilimento per il monitoraggio della qualità dell’aria e che i
relativi dati vengono trasmessi all’Agenzia per la successiva
validazione.
Il problema, come segnalato nei mesi scorsi anche da
un’associazione ambientalista locale, riguarda la centralina installata
nell’area cokeria. Prima stranezza, il fatto che la recinzione metallica
di delimitazione dell’area asservita alla cabina, dove sono ubicati i
deposi metri per la caratterizzazione delle polveri, è risultata con
cancello aperto e senza lucchetto. Inoltre, viene segnalato il fatto che
l’Ilva, del tutto autonomamente, abbia provveduto ad installare un
sistema permanente di bagnatura del tratto stradale prospiciente la
cabina, cosa che nelle altre aree dove sono installate le altre
centraline non avviene. In questo modo, è impossibile stabilire il
contributo dell’inquinamento proveniente dall’esercizio degli impianti
rispetto a quello dovuto al traffico di veicoli che esercitano in
quell’area. La stessa ARPA ha evidenziato all’ISPRA che “il sistema di
irrigazione rende l’area della cokeria immediatamente adiacente alla
centralina differente rispetto alla situazione ambientale del resto
dell’impianto, producendo così una eliminazione del contributo di
“fondo” locale ai dati misurati, e quindi rendendo poco significativa la
correlabilità dei dati della centralina rispetto alla situazione
dell’impianto”.
Quello che sconcerta, al di là del fatto che tali eventi
continuano a contribuire all’inquinamento, è il fatto che anche gli enti
preposti come ISPRA ed ARPA sono in attesa di capire quale
amministrazione debba accertare lo stato di qualità dell’aria e se i
termini del rispetto della stessa debbano essere intesi come scadenze
temporali o più in generale come prescrizioni. Così come si attende di
comprendere quale sarà la nuova procedura di accertamento, contestazione
e notifica delle sanzioni. Insomma, si brancola nel buio. Come se si
fosse in una zona franca dove nessuno sa esattamente cosa fare. Auguri.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 18.01.2014)
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