Lo stabilimento Ilva salvato
dalla legge regionale che rifiutava
Vendola in campo, martedì possibile già l'appovazione
Il governatore ha ricevuto il via libera dal Ministro
Il 1 luglio a Taranto Vendola stringe la mano a Riva in occasione dell'avvio impianto antidiossina
Potrebbe essere un paradosso. A salvare l’Ilva di Taranto da un
possibile sequestro giudiziario degli impianti potrebbe essere la legge
regionale che il Siderurgico (e Confindustria) ha finora avversato. I
piani, beninteso, restano distinti: la Regione non ha competenze in
materia penale. Ma quella normativa di carattere ambientale/sanitario,
ferma per ora in Commissione, potrebbe essere d’aiuto. I consiglieri
regionali, a maggio, affidarono a Nichi Vendola il compito di
interloquire con il governo: ieri il governatore ha ricevuto un
sostanziale via libera dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Gli
uffici ministeriali hanno avanzato alcune osservazioni tecniche che
Vendola si è impegnato a far introdurre nella normativa. In questo modo,
è annullato il rischio che la legge venga impugnata dal governo per
ragioni di costituzionalità. Il governatore ha subito informato i
parlamentari (Fitto, Latorre, Vico, Nessa) che erano presenti al tavolo
nazionale sull’Ilva presieduto da Mario Monti lo scorso 17 aprile.
Subito dopo ha chiesto al presidente del Consiglio regionale, Onofrio
Introna, di convocare «quanto prima» l’assemblea pugliese. È possibile
che la riunione si tenga già martedì 17 luglio, al più tardi il 24.
L’accelerazione dà il senso dell’importanza che si annette alla legge.
La normativa nata per iniziativa del consigliere tarantino Alfredo Cervellera
(Sel) introduce il concetto di «valutazione del danno sanitario» (Vds)
sulle emissioni prodotte dalle aziende. Non tutte le imprese, ma quelle
che sono soggette ad autorizzazione integrata ambientale, sono fonte di
emissioni di idrocarburi policiclici aromatici, scaricano in mare o nei
corpi idrici, impiegano polveri. Tali aziende, in caso di potenziale
danno sanitario valutato da Arpa Ares e Asl, sono obbligate a ridurre le
emissioni. Insomma, è un ulteriore strumento per tenere sotto controllo
l’inquinamento (a Taranto e nelle aree inquinate come Brindisi e
Manfredonia) dopo le leggi regionali contro la diossina e il
benzo(a)pirene. Perché la legge sul danno sanitario, fonte di un
conflitto furente tra Regione e Confindustria, può essere utile al caso
Ilva? Fonti qualificate forniscono la seguente interpretaziome: potrebbe
offrire al giudice di Taranto - davanti al quale si è celebrato
l’incidente probatorio nel processo contro l’Ilva per disastro
ambientale - un’altra strada che non il sequestro. Evento, quest’ultimo,
considerato una iattura: dalla Regione, dal governo Monti, dal
sindacato. Ieri se n’è discusso a Roma (vedi l’altro articolo) e a Bari,
nel vertice di Vendola con i sindacati: sono intervenuti i leader
regionali di Cgil, Cisl, Uil (Gianni Forte, Giulio Colecchia, Aldo
Pugliese) e i rappresentanti locali e di categoria. Fermare l’Ilva
significa far mancare l’acciaio all’intera produzione nazionale. E
mandare in fumo 18mila posti di lavoro (tra diretti, indiretti e
indotto). Ma restare inerti, di fronte alla compromissione ambientale,
non si può. «Con i sindacati - dice Vendola - condividiamo
l’apprensione per le sorti dell’Ilva. Perciò abbiamo mobilitato il
tavolo nazionale: perché la risposta dello Stato per la bonifica di
Taranto sia forte e chiara. L’Ilva è stata una chance ed è un problema, è
arricchimento e anche un fattore di pregiudizio per la salute. Con i
sindacati condividiamo una strada: mettere in equilibrio lavoro e
salute, industria e ambiente. Al governo consegniamo un problema
storico, giacché Taranto significa anche Arsenale, siderurgia di Stato,
polo chimico. Ora il governo intervenga». In questo clima di
ristrettezze? «Sarebbe un investimento e poi se si ferma l’Ilva, si
ferma l’industria meccanica in Italia». La Regione, intanto, ci mette
del proprio. Vendola ha incontrato il sindaco Ezio Stefàno per
concordare il «patto per Taranto», analogo a quello che arriverà per
ogni capoluogo. È il progetto «smart city»: investimenti massicci per la
riqualificazione urbana, le opere pubbliche e lo sviluppo sostenibile.
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