UN PROTOCOLLO CON POCHI SOLDI MA TANTI BLUFF
Ieri il tavolo nella Capitale: nell'accordo sottoscritto tanti progetti che erano già previsti, soprattutto per il porto
Un mare di soldi. Una valanga, o forse no. Man mano che negli scorsi
giorni ci si avvicinava alla firma del provvedimento giudiziario da
parte del gip Patrizia Todisco, la cifra lievitava. Come spesso capita
quando si agisce in emergenza ed in un periodo di profonda crisi
economica, però, i numeri celano tante cose. E purtroppo il protocollo
d’intesa sottoscritto ieri a Roma dal Governo, dalla Regione e dagli
enti locali, non fa eccezione (l’Ilva non l’ha firmato). Quest’ultimo
prevede un quadro complessivo di interventi che ammonta a circa 336
milioni così suddivisi: 119 mln di ‘interventi per bonifiche’, 187 mln
per ‘interventi portuali’ e 30 mln per ‘interventi per il rilancio e la
riqualificazione industriale’. Di essi soli 7,2 mln a carico di un
privato. “E’ la partecipazione della grande industria”, diranno i più.
Invece no. Quel costo verrà sostenuto dal Tct. “Cosa ci fa la Taranto
Container Terminal in un protocollo del quale non è sottoscrittore?”, si
chiederà il lettore più attento. Se lo è chiesto anche Taranto Oggi
scoprendo che più che parlare di ‘interventi urgenti di bonifica,
ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto’, sarebbe stato più
opportuno definire il protocollo come una rendicontazione dei progetti
da anni in itinere per lo sviluppo di Taranto ed una serie di promesse
prive di una copertura definita a carico dello Stato. Dal Mar Piccolo ai
Tamburi, dai dragaggi al potenziamento delle banchine del molo
polisettoriale, sono elencate nelle tabelle di ricognizione degli
interventi (che riportiamo in basso) una serie di interventi già
annunciati e stanziati precedentemente e compresi nei 336 mln tanto
sponsorizzati in queste ore. Nel caso di quelli che interessano il porto
era ed è coinvolta la Tct, così come l’Autorità Portuale. Progetti come
‘l’adeguamento della banchina del molo polisettoriale per consentire i
dragaggi fina a 16,5 metri, comprensivi di distribuzione elettrica e
superamento interferenze’ (51 mln in tutto, 35 dei quali relativi ai
fondi FSC della Regione Puglia); la ‘banchina tratto verso radice di 800
m a 14,5, consolidamento banchina, rotaie lato mare 14 m’ (15 mln a
carico dell’Autorità Portuale); ‘Riqualificazioe e ammodernamento della
banchina e dei piazzali in radice del molo polisettoriale 23,5 ME’ (22
mln a carico dell’Autorità Portuale e 1,5 mln); ‘Ammodernamento vie di
corsa lato terra 3,3 ME’ (3 mln a carico dell’Autorithy e 300 mila euro
di Tct). Tutti interventi già approvati e frutto di accordi e
protocolli sottoscritti nel 2009 e successivi con la stessa Tct. Sempre
rimanendo agli interventi portuali come non ricordarsi della nuova diga
foranea di protezione del porto annunciata lo scorso mese? Un
investimento di 15,4 mln predisposto, escluso un contributo della Tct di
1,4 mln, nel Pon Reti e Mobilità. ‘Spiccano’, poi, gli interventi che
nel protocollo i ministeri interessati promettono di prevedere nella
prossima delibera Cipe. Ricordiamo semplicemente quanto lungo e incerto
sia il percorso di un progetto dalla presentazione all’effettivo
stanziamento. Un esempio su tutti: la realizzazione, proprio a Taranto,
della Piastra Logistica. Il progetto, che nei prossimi mesi finalmente
sarà concreto, è stato ‘rimbalzato’ per anni tra uffici, commissioni ed
approfondimenti. E sempre al prossimo Cipe, il protocollo affida lo
stanziamento anche dei 21 mln per la ‘bonifica e messa in sicurezza
permanente dei sedimi contaminati da Pcb nel Mar Piccolo’. Esatto, la
bonifica di quello spicchio di mare che già nel 2006 aveva visto
stanziare dal Ministero dell’Ambiente, dalla Regione Puglia e dalla
Provincia di Taranto 36 mln. A cosa servono nuove risorse se già sono
state spese qualche anno fa? Semplice, perché quei soldi non sono mai
arrivati e, dunque, attraverso questo protocollo, vengono riproposte
come qualcosa di nuovo con l’aggravante di prevederle con delibera Cipe
e, dunque, con tutte le conseguenze temporali di cui sopra. Di nuovo, in
realtà, c’è ben poco e anche laddove il Governo predispone risorse
dirette ‘fresche’, non indica come verranno reperite da un punto di
vista finanziario (nel documento si limitano a scrivere ‘copertura da
definirsi a carico dello Stato’). I dubbi, dunque, sono molteplici ed il
documento, che dovrebbe risollevare le sorti di Taranto, anche laddove
non ‘doppia’ interventi vecchi e/o che già erano in corso di
finanziamento, non chiarisce fino infondo la reperibilità e la certezza
di una tempistica urgente di gran parte delle risorse pubbliche. C’è poi
una dimenticanza, infine, particolarmente grave: nonostante ciò che
accadeva a Taranto mentre sottoscrivevano l’accordo, non è stata
prevista la predisposizione di una rete sociale per i lavoratori. O
forse il Governo non immaginava un possibile sequestro? Stando alle
dichiarazioni rilasciate dallo stesso ministro dell’ambiente Corrado
Clini, nel tentativo di condizionare la decisione dei magistrati,
sarebbe difficile da credere. Non un euro predisposto per far fronte
alle difficoltà alle quali tante famiglie di Taranto potrebbero andare
incontro. In conclusione è quasi pleonastico evidenziare che l’Ilva non
mette un centesimo e come lei anche le altre grandi imprese inquinanti
del polo industriale ionico. Ma questo purtroppo non fa più notizia.
Tra i ‘visto’ e ‘considerato’ del protocollo...
Sin qui per quanto concerne i numeri. Ma le prime nove pagine del
protocollo d’intesa firmato ieri a Roma, dicono altro. Molto altro. In
pratica, la testimonianza chiara e inoppugnabile di come le nostre
istituzioni, quelle romane in primis, sapessero da sempre delle
criticità del sito di Taranto. Ad esempio, si ricorda ‘’articolo 1 comma
4 della citata Legge 9 dicembre 1998 n. 426, che individuava tra i siti
di bonifica di interesse nazionale quello di Taranto, “atteso
l’insostenibile livello di inquinamento dell’area e l’elevata
compromissione delle diverse matrici ambientali e conseguente pericolo
per la salute della collettività”. Insostenibili livello di inquinamento
e pericolo per la salute della collettività: eravamo nel 1998. Due anni
dopo, viene sempre ricordato nelle premesse del protocollo, arrivava il
Decreto del Ministero dell’Ambiente del 10 gennaio 2000 con il quale
veniva perimetrato il Sito di Interesse Nazionale di Taranto. Poi, la
prima scoperta: ovvero il Decreto Ministeriale del 18 settembre 2001, n.
468: “Programma nazionale di bonifica e ripristino dei siti inquinati
che ha assegnato al sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto
risorse pari a € 20.038.527,67”: e dove sono finiti questi soldi? Come
sono stati utilizzati? E da chi? Mistero assoluto. Come i 36 milioni per
il Mar Piccolo stanziati nel 2006 spariti nel nulla: e da due anni i
mitilicoltori vedono le loro cozze distrutte in discarica perché
inquinate oltre i limiti imposti dalla legge. Sono passati sei anni da
quei fondi stanziati, ma nulla è stato fatto. E poi ancora. Ma non ci
avevano detto in tutti questi anni che gli investimenti operati dalla
grande industria avevano migliorato l’impatto sull’ambiente? E allora
come mai nel protocollo d’intesa, le istituzioni sono ancora costrette
ad affermare che a causa della presenza delle industrie siderurgiche,
raffinerie, industrie cementiere, si “rendono necessari interventi di
riqualificazione industriale degli impianti e di risanamento ambientale
secondo i canoni ed i principi dello sviluppo sostenibile, per il
definitivo superamento delle criticità sanitarie e di inquinamento delle
matrici ambientali che storicamente hanno interessato il sito”? Gli
stessi, poi, sanno che la strada da intraprendere non sarà affatto in
discesa: perché “atteso che relativamente al SIN di Taranto si registra
una forte connessione e complementarietà tra necessità di sviluppo
infrastrutturale, riqualificazione industriale e esigenze di tutela e
risanamento ambientale e sanitario”, bisognerà tener conto che “le
situazioni di criticità rappresentate in particolare dalla presenza sui
fondali portuali di sedimenti inquinati introducono elementi di
particolare complessità a fronte delle esigenze di manutenzione
ordinaria dei livelli dei fondali e, a maggior ragione, nel caso di
sviluppo di nuove iniziative portuali”. Ma le nostre istituzioni,
evidentemente, non hanno ben capito cosa sta succedendo in queste ore.
O, forse, non hanno avuto il tempo di leggere le 600 pagine del
provvedimento del GIP Todisco. O, più semplicemente, non hanno ancora
capito che il futuro lo dovranno scrivere con un’altra logica. Per ora,
però, insistono cocciutamente sulla solita strada. Si dicono preoccupati
“a causa del lungo periodo di crisi internazionale tuttora in corso: il
sito di Taranto sta vivendo un periodo di forte criticità che potrebbe
rallentare le azioni di risanamento ambientale e aggravare la difficile
situazione economico-produttiva dell’area in assenza di azioni”; ma la
vera urgenza, non è ambientale o sanitaria: perché “urge realizzare nel
sito di Taranto opere infrastrutturali al fine di implementare la
rilevanza strategica per l’industria italiana e il rilevante interesse
nazionale per le implicazioni occupazionali e i conseguenti riflessi
sociali”; nel frattempo, burocrazia e volontà permettendo, “si
avvieranno specifiche attività di sperimentazione di tecniche e
tecnologie anche di dragaggio e di gestione dei sedimenti”. Ma
un’attenuante una gliela vogliamo concedere: tutto questo lo hanno
scritto prima di conoscere le parole pesantissime con cui il gip Todisco
accusa senz’appello la proprietà dell’Ilva e il non rispetto delle
regole, nemmeno dei famosi atti d’intesa firmati proprio da quelle
istituzioni che oggi erano a Roma. Da oggi, si spera, tante cose
dovranno cambiare.
Gianluca Coviello - Gianmario Leone (Taranto Oggi)
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