giovedì 12 luglio 2012

Ancora proclami solenni...

Ilva: Ferrante, nessun disimpegno da Taranto

"Nessun disimpegno e nessun abbandono dell'Ilva rispetto a Taranto. L'azienda e' qui, ci vuole restare, considera Taranto uno stabilimento strategicamente importante nel quale continuare ad investire, a produrre e a mantenere i posti di lavoro". Lo ha affermato Bruno Ferrante, nuovo presidente dell'Ilva, in un incontro stampa nel capoluogo jonico. Ferrante, ex prefetto di Milano dal 2000 al 2005, da due giorni e' il nuovo numero uno dell'Ilva in sostituzione di Nicola Riva, figlio del capostipite Emilio, dimessosi dalla carica assunta a maggio del 2010.(AGI)


Dopo le dimissioni di Riva il nuovo presidente dell'Ilva: «Dialogo con i tarantini»
«Il Tavolo per Taranto, convocato dal governo Monti, è un’occasione importante. L’attenzione verso le questioni che riguardano la città, a partire dal rapporto con l’Ilva, deve essere alta. Sarà opportuno, nelle prossime settimane, un incontro con il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri perché, ripeto, deve tornare a crescere l’attenzione nazionale verso Taranto e i suoi problemi. E poi ritengo prirotario il dialogo tra fabbrica e città».
Bruno Ferrante snocciola le parole con cortesia e fermezza. Tempra di ferro e misurata gentilezza salentina, il nuovo presidente dell’Ilva è da pochissimi giorni su una delle poltrone più roventi d’Italia in questo momento. Non è il caldo africano, ma il delicato passaggio giudiziario dettato dall’inchiesta della magistratura su inquinamento e salute a scottare. Le voci di un provvedimento drastico dell’autorità giudiziaria si inseguono a velocità sempre più sostenuta. L’ipotesi di sequestro e chiusura dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, l’effetto immediato di migliaia di licenziamenti decisi dal Gruppo Riva, il caos sociale, sono percepiti in città come qualcosa che potrebbe accadere da un momento all’altro.
Presidente, è al timone dell’Ilva da poco tempo al posto di Nicola Riva, figlio del patron Emilio. Inevitabile pensare a un cambio al vertice repentino legato alle vicende giudiziarie. «La magistratura fa il suo lavoro e rispetto l’autorità giudiziaria. Io mi occupo dell’azienda».
Come intende farlo? «Sono già a Taranto e spero di poter dare il mio contributo. Devo però conoscere a fondo la realtà, comprenderla in tutte le sue pieghe».
È rimasto sorpreso della scelta fatta dal Gruppo Riva? «Sì, mi ha sorpreso la richiesta di collaborazione. Sono stato lieto. Metterò a disposizione dell’Ilva e della città di Taranto la mia esperienza di uomo delle istituzioni. Il mio sforzo sarà teso a realizzare un obiettivo che ritengo prioritario: il dialogo».
Con la città? «Il rapporto con la città è fondamentale. Ritengo che la mia nomina debba essere vista come un segnale di grande attenzione nei confronti dell’Ilva, ma anche della città di Taranto».
Ammetterà che, al momento, parlare di dialogo tra fabbrica e città, soprattutto avere come obiettivo la ripresa e il rafforzamento di quel dialogo, sembra davvero difficile. «Ho detto in precedenza che il mio obiettivo è riannodare i fili del dialogo. Ritengo prioritario seguire la strada del confronto tra le due realtà. Sono pugliese e so cosa rappresenta l’Ilva per la Puglia e per Taranto. So anche bene cosa rappresenta Taranto per la Puglia, il valore della sua comunità. Ecco perché parlavo di un mio contributo da offrire alle due realtà».
A complicare le cose c’è anche la grave crisi economica, in particolare la difficile fase in cui versano l’industria siderurgica e il mercato. «Non c’è dubbio che la crisi è vasta e preoccupa tutti. e non c’è dubbio che la siderurgia sia investita in pieno e ad essere toccata sia anche l’Ilva».
Come crede si possa uscire da questa particolare fase? «L’Ilva si è impegnata a garantire i livelli occupazionali e questo impegno non va dimenticato. Sicuramente l’occasione della crisi può portare a riflettere sul fatto che ambiente e lavoro vanno insieme, non possono essere disgiunti tra loro».
Pensa quindi che sia giusto confrontarsi con i sindacati? Due giorni fa hanno chiesto di evitare i licenziamenti e realizzare le opere previste dall’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale. «Incontrerò i sindacati la prossima settimana per cui qualsiasi valutazione è al momento prematura. Io insisto ancora: dobbiamo essere orientati al confronto seguendo la linea del dialogo».
Presidente potremmo trovarci di fronte a una nuova manifestazione operaia come quella di fine marzo, la «marcia dei 7mila», in cui i dipendenti Ilva rivendichino ancora il diritto al lavoro? «Non appartiene a me ragionare sulle manifestazioni che possono essere promosse dai sindacati. Ci sono sedi appropriate per manifestare. Io credo nella capacità di discutere per trovare soluzioni. Ecco perché guardo con favore al Tavolo varato dal governo Monti per discutere le questioni della siderurgia e del rapporto con la città. Sono convinto che Taranto e la siderurgia, per la loro importanza, debbano tornare ad essere al centro del dibattito nazionale».
Fulvio Colucci (GdM)
 

«Il nostro futuro legato all'Ilva»

Paura, preoccupazione, ma soprattutto attesa. A Taranto fra i 12mila operai dell'Ilva, l'acciaieria più grande d'Europa, sembra essere scattato il conto alla rovescia in vista della stretta della Procura dopo le indagini sull'inquinamento e l'accusa di disastro colposo e doloso ai vertici dell'azienda. «È nell'aria, temiamo proprio che la magistratura stia per sequestrare gli impianti e l'azienda stia per mandarci a casa» dicono i lavoratori. Sensazioni. Percezioni. Ma molto diffuse tanto da aver spinto gli stessi operai a scrivere al sindaco di Taranto, Ezio Stefàno: «Il nostro futuro è inscindibilmente legato alla capacità dell'Ilva di rimanere competitiva sui mercati. Qualsiasi intervento della magistratura che porti ad una modifica degli assetti produttivi attuali genererebbe un effetto domino tale da determinare la chiusura dello stabilimento». Negli ultimi giorni altri due segnali hanno contribuito ad appesantire il clima: le dimissioni da direttore del siderurgico tarantino di Luigi Capogrosso e di Nicola Riva (figlio del patron Emilio) da presidente dell'Ilva. Capogrosso lascia la direzione dopo 15 anni mentre l'uscita di un Riva dalla gestione diretta dell'azienda (e l'Ilva è un asset fondamentale del gruppo) è a dir poco clamorosa se consideriamo il rapporto strettissimo che la famiglia Riva ha con le sue imprese. Se a maggio 2010, infatti, Emilio Riva lasciò la presidenza dell'Ilva al figlio Nicola, quasi un passaggio di testimone, stavolta non è così perchè al vertice arriva l'ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, colui che nel 2006 sfidò il sindaco di Milano, Letizia Moratti, nella corsa a Palazzo Marino. Come leggere allora queste dimissioni? L'avvio di un disimpegno dei Riva da Taranto e dall'Ilva? Non sembrerebbe, almeno per ora. In realtà ci sarebbe un filo che lega le dimissioni di Capogrosso e quelle di Riva e porta alla vicenda giudiziaria. In altri termini, sul piano della difesa l'Ilva si starebbe attrezzando a quello che forse considera inevitabile o, comunque, nel novero delle cose possibili: il sequestro degli impianti appunto. Che potrebbe colpire un'area nevralgica come i parchi minerali. «Non posso interferire» dice il sindaco di Taranto. «Attendo con serenità e rispetto – aggiunge – le decisioni dei giudici. La Procura è fatta di gente competente e scrupolosa e sta a loro trovare, per quel che sarà possibile, il giusto equilibrio tra i doveri della legge, la situazione della città e il grande impatto occupazionale che questa fabbrica ha». No al sequestro dicono anche i sindacati metalmeccanici. La strada da seguire, sottolineano, è la prosecuzione del «processo di ambientalizzazione già avviato», processo che sinora ha visto l'Ilva spendere 1,2 miliardi a Taranto, abbattere la diossina grazie anche alla legge regionale, impegnarsi sia nel campionamento in continuo della diossina che nel barrieramento anti-polveri. Nicola Riva e Luigi Capogrosso sono due dei cinque indagati dalla Procura. Gli altri tre sono lo stesso Emilio Riva e due capo area dello stabilimento, Ivan Di Maggio e Angelo Cavallo. Le accuse della Procura sono supportate da due perizie (800 pagine in totale) redatte da altrettanti pool di esperti, secondo i quali, nell'arco dei sette anni esaminati, vi è un nesso fra inquinamento dell'Ilva, malattie all'apparato respiratorio e cardiocircolatorio e decessi per tumore. «L'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte» scrivono i periti. Ma «a Taranto non c'è nessuna emergenza sanitaria e ambientale: la perizia dei consulenti del gip è errata e fuorviante» dicono gli esperti e gli avvocati dell'Ilva. E aggiungono: «I fenomeni tumorali a Taranto sono inferiori alla media nazionale e a quella regionale, e i tumori ai polmoni che si registrano nella popolazione maschile sono dovuti al pregresso utilizzo dell'amianto nei cantieri navali». La battaglia sulle perizie non è l'unica, visto che l'Ilva si oppone anche alla revisione dell'Autorizzazione integrata ambientale. È stata rilasciata il 4 agosto scorso ma il ministro Corrado Clini, dietro il pressing delle istituzioni locali, ora la vuole rendere più stringente. (sole24h)

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