Ilva, sì di massa al lavoro in Comune
I siderurgici dell’Ilva hanno aderito in massa alla proposta del Comune di svolgere lavori di pubblica utilità: ieri su 765 dipendenti entrati in cassa integrazione già 700 si sono presentati alla Sala Chiamata del Porto e di questi solo 28, il 4%, hanno detto no.Tutti gli altri, il 96%, hanno accettato la proposta di andare a lavorare nei cimiteri, alle manutenzioni o negli uffici per conto del Comune, di Aster o Amiu in modo da guadagnarsi l'integrazione al reddito che permetterà loro di raggiungere assieme alla cassa circa il 78% dello stipendio di un sesto livello. Gli altri 65 verranno ascoltati ancora fra oggi e domani, poi entro sabato tutti verranno assegnati ai singoli progetti e verranno informati dove dovranno presentarsi lunedì mattina per iniziare il loro nuovo lavoro, trenta ore la settimana su cinque giorni, dal lunedì al venerdì.
"Gli uffici comunali stanno facendo i salti mortali per completare tutto il lavoro in così poco tempo - spiega Franco Oddone, assessore allo sviluppo economico del comune di Genova - abbiamo predisposto progetti modulari, che possono accogliere più o meno persone a seconda delle disponibilità, delle qualifiche e delle attinenze. Il tentativo è quello di soddisfare se possibile anche le preferenze dei singoli, vogliamo che la gente possa venire al lavoro motivata e che si renda conto che questa è un'opportunità per loro ma anche per rendere un servizio importante alla città". Ieri così i lavoratori hanno trovato alla sala Chiamata del Porto ben quindici banchetti con due tecnici comunali ciascuno, sopra un cartello che indicava la lettera del cognome, a tutti è stato chiesto in primo luogo se intendevano aderire e poi un po' di notizie in più su eventuali capacità non inserite nella scheda o preferenze.
Già ieri le adesioni sono state molto alte, mentre nel 2005 al momento della chiusura dell'area a caldo su 550 persone avevano aderito ai lavori socialmente utili non più di 400. Questa volta la crisi morde di più e quasi tutti hanno dato la loro disponibilità, chi non l'ha fatto l'ha giustificato con motivi personali gravi, come ad esempio una mamma anziana a carico dove costa meno restare a casa e non prendere l'integrazione che assumere una badante. Da sabato sera quindi si conosceranno i numeri esatti delle persone impiegate sui singoli progetti, tute e materiale antinfortunistico sarà messo a disposizione dall'Ilva e da lunedì si inizia. "I lavoratori hanno accolto positivamente questa soluzione - dice ora Bruno Manganaro, segretario Fiom - deve essere chiaro però che sono in aggiunta, non possono essere messi a coprire lavori svolti da altri, per esempio magari lasciando a casa dei precari. Su questo vigileremo, perché come abbiamo tutelato i siderurgici tuteliamo anche i lavoratori del pubblico impiego". (Rep)
Ilva, dieci anni dopo allo stesso punto
Vincenzo Ferraro si affaccia nella sala gremita, per mano porta il figlio. «È un giorno di lavoro per tutti, non sapevo a chi lasciarlo...e speriamo mi porti anche un po’ di fortuna». C’era Vincenzo, che all’Ilva lavora dal 2003, ma non c’era il piccolo quando, era il 2005, si diede inizio a una rivoluzione che non è mai stata.Dieci anni dopo alla sala Chiamata del porto la scena si ripete, solo che le proporzioni sono più ampie: 460 coinvolti allora, 765 oggi. E solo una manciata dovrebbe declinare l’offerta. Suddivisi in scaglioni da duecento si presentano ai banchetti allestiti a tempo di record dal Comune. Recitano il proprio nome e cognome, snocciolano specializzazioni e inclinazioni. Una selezione per centinaia, che precede l’entrata in servizio, lunedì prossimo.
Fa male agli operai per primi sapere che l’Ilva è ancora più o meno allo stato in cui era una decennio fa. E che sono di nuovo i lavori socialmente utili la strada, l’ unica, per avere ancora un reddito e per tenere assieme il cuore rabberciato della grande fabbrica. «È un’opportunità per cui ringraziamo Dio - sospira Ferraro - ma di certo non siamo tranquilli. Non è una soluzione definitiva, ci stiamo mettendo toppe su toppe. Ora bene o male possiamo andare avanti, ma fino a quando potrà continuare?».
L’accordo chiuso in extremis l’altro ieri in Regione, dopo un estenuante tira e molla con i ministeri e a poche ore dalla scadenza dei contratti di solidarietà, una tagliola che avrebbe lasciato senza reddito 1.450 lavoratori, dà una nuova protezione con un misto di ammortizzatori sociali: cassa integrazione - ordinaria e straordinaria - più un contributo specifico dell’azienda per coprire i 70 giorni tra la fine di maggio e il 10 agosto. Poi, a ottobre, la possibilità di riattivare i contratti di solidarietà.
Quello che l’intesa salva-reddito non dà è una prospettiva di lavoro, nei binari tracciati nel 2005, quando si decise la chiusura degli altoforni e la riconversione delle sconfinate aree delle acciaierie. Prima di consentire agli operai di riprendere a fare ciò per cui sono stati assunti, qui e oggi, si tratta di mettersi in fila ai dodici banchetti allestiti dal Comune. Per registrarsi e ottenere l’integrazione al reddito, portandolo al livello della “solidarietà”, che sarà finanziata con parte dei fondi delle bonifiche e della riqualificazione di Cornigliano, anche queste non ancora terminate.
In fila dalle 8 di mattina alle quattro del pomeriggio c’è tutto un mondo. Ci sono ragazzi che la fabbrica l’hanno vista ben poco, incastrati in un’eterna sospensione. Figli degli anni Ottanta, impiegati e operai che già ci sono passati. Marina Chini all’Ilva ci lavora da 39 anni: «Ho svolto già lavori da bibliotecaria per il Comune. Cosa è cambiato?». Anche, Luisa Gallo, direttore dello Sviluppo economico di Tursi, uno dei dirigenti a seguire le operazioni, lo ricorda: «Non è la prima volta - spiega - questa volta verrà privilegiato il ponente cittadino». Manutenzione del verde, ripristino di edifici municipali, pulizia di rivi o della città: i compiti saranno questi.
«I lavoratori sono soddisfatti, ma la partita non è finita, anzi sta iniziando ora - dice Armando Palombo, rsu della Fiom Cgil - è importante che si garantiscano reddito e occupazione, ma dev’essere chiaro che non siamo uno dei 160 tavoli di crisi che ci sono in Italia». L’Ilva faccia storia a se, dicono tutti alla Chiamata. E chissà come andrà a finire. (SecoloXIX)
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