mercoledì 15 ottobre 2014

Non per gloria ma per denaro

Ilva, parti lese all'attacco pronta la richiesta danni da venti miliardi di euro

Venti miliardi di euro è il risarcimento che le 280 parti lese nel procedimento stanno per chiedere agli imputati del processo "Ambiente svenduto" che domani tornerà in aula a Taranto dopo il via libera della Cassazione. Il Comune di Taranto ha già annunciato che è pronto a presentare una richiesta di risarcimento danni da dieci miliardi. Nei prossimi giorni la formalizzeranno anche Provincia e Regione che, pur avendo i vertici imputati nel procedimento (dall'ex presidente Gianni Florido al Governatore Nichi Vendola), hanno deciso la costituzione di parte civile. C'è poi la partita dei 242 proprietari di casa del Tamburi assediate dalle polveri minarli.
Domani a Milano ci sarà uno snodo fondamentale della vicenda: il giudice dovrà decidere se permettere al commissario Piero Gnudi di utilizzare il miliardo e 800milioni sequestrati ai Riva per motivi fiscali. Gnudi ha infatti chiesto di usarli per il funzionamento dell'azienda, a partire dalla realizzazione delle opere di ambientalizzazione. Intanto la situazione patrimoniale è ballerina: le casse sono vuote e già a novembre, se le banche non sbloccano la seconda tranche del prestito ponte l'azienda andrà fortemente in sofferenza. Anche per questo si continuano a battere altre piste. Domani dovrebbe esserci un incontro con il ceo di China Development Bank da cui potrebbe svilupparsi un'offerta alternativa. Ieri intanto il commissario straordinario Gnudi, accompagnato dal subcommissario, Corrado Carrubba, ha incontrato a Taranto il prefetto Umberto Guidato e il sindaco Ippazio Stefàno per aggiornarli sul lavoro svolto negli ultimi mesi. Gnudi, dicono dall'Ilva, ha ribadito "il fermo impegno a proseguire nel piano di risanamento ambientale, visto che a oggi, Ilva ha ottemperato a circa il 75 per cento delle prescrizioni Aia".
Chi pagherà? Certo non l'eventuale nuova proprietà. Che al momento resta però sempre un'incognita. In pole posistion continua essere la multinazionale ArcelorMittal. Il principale azionista del gruppo è l'indiano Mittal ma il 46 per cento del fatturato è conseguito in Europa e il 37 per cento in America: nel 2013 sono stati i primi produttori al mondi di acciaio con 91,2 milioni di tonnellate quasi doppiano i giapponesi di Nippon Steel. Anche per questo in un primo momento si era pensato che, per limiti imposti dall'Antitrust, non potessero acquisire Ilva. Ma il problema oggi sembra risolto. Sul tavolo però restano alcuni nodi, primo tra tutti quello del costo dell'operazione. Domani a Milano ci sarà uno snodo fondamentale della vicenda: il giudice dovrà decidere se permettere al commissario Piero Gnudi di utilizzare il miliardo e 800milioni sequestrati ai Riva per motivi fiscali. Gnudi ha infatti chiesto di usarli per il funzionamento dell'azienda, a partire dalla realizzazione delle opere di ambientalizzazione. Se arrivasse un sì, arriverebbe una garanzia enorme per i futuri acquirenti e anche per le banche che devono sbloccare la seconda tranche del prestito ponte. Il prezzo d'acquisto dell'Ilva, dunque, salirebbe. Con un no invece la situazione sarebbe molto più complicata, perché dal prezzo d'acquisto dovrebbero venire anche le risorse per il risanamento. Arcelor sul punto è stata chiara: non ha nessuna intenzione di pagare le bonifiche del pregresso. Mentre si impegna a garantire per il futuro. Stesso discorso vale per il discorso occupazionale: i sei milioni di tonnellate attuali sono troppo bassi per mantenere questa forza lavoro. Se si arriva agli ot- to, previsti comunque dall'Aia, la situazione diventa diversa. Insomma tutti punti che si chiariranno soltanto domani dopo la decisione del giudice di Milano.
Intanto Gnudi però tira la cinghia. La situazione patrimoniale è ballerina: le casse sono vuote e già a novembre, se le banche non sbloccano la seconda tranche del prestito ponte (i tre istituti sono Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare) l'azienda andrà fortemente in sofferenza. Anche per questo si continuano a battere altre piste. Domani dovrebbe esserci un incontro con il ceo di China Development Bank da cui potrebbe svilupparsi un'offerta alternativa. Mentre resta da capire il ruolo dei Riva. Se da Milano arrivasse un no alla richiesta di Gnudi di utilizzare il denaro sequestrato, la famiglia italiana rientrerebbe nella partita. Non è un caso che si è mossa Mediobanca forte dell'appoggio di un gruppo di investitori stranieri.
Ieri intanto il commissario straordinario Gnudi, accompagnato dal subcommissario, Corrado Carrubba, ha incontrato a Taranto il prefetto Umberto Guidato e il sindaco Ippazio Stefàno per aggiornarli sul lavoro svolto negli ultimi mesi. Gnudi, dicono dall'Ilva, ha ribadito "il fermo impegno a proseguire nel piano di risanamento ambientale, visto che a oggi, Ilva ha ottemperato a circa il 75 per cento delle prescrizioni Aia, di recupero dell'efficienza produttiva e commerciale e di reperimento delle risorse finanziarie a supporto del raggiungimento di questi obiettivi".
  (Rep)

Ilva, riprende il processo Gnudi rivuole 1,2 miliardi. E da Bruxelles nuove accuse

Archiviata la decisione della Cassazione che ha confermato Taranto quale sede processuale, bocciando l’istanza di rimessione avanzata dai legali di una quindicina di imputati per far trasferire il processo a Potenza, domani comincerà ad entrare nel vivo l’udienza preliminare a carico dei vertici dell’Ilva, di politici, amministratori e funzionari di enti e ministeri per il disastro ambientale che sarebbe stato provocato dallo stabilimento siderurgico nella poco meno che ventennale gestione privata della famiglia Riva.
Alla sbarra ci sono 52 imputati (formalmente 53, ma l’ex patron dell’Ilva, Emilio Riva, è morto il 30 aprile scorso), ovvero 49 persone e tre società, vale a dire Ilva spa, Riva Fire (la holding del gruppo che controlla Ilva) e Riva Forni Elettrici. Tutti gli imputati sono in stato di libertà ad eccezione di Fabio Riva, all’epoca dei fatti contestati vice presidente di Riva Fire, che è in libertà su cauzione a Londra e destinatario di due ordinanze di custodia cautelare in carcere, la prima per il procedimento di Taranto e la seconda emessa dal gip del tribunale di Milano per un’altra vicenda giudiziaria.
Tra i politici imputati c'è anche il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in riferimento ad una vicenda legata all’Arpa Puglia. In tutto sono 286 le persone offese indicate dalla Procura nella richiesta di rinvio a giudizio, tra le quali i ministeri dell’Ambiente e della Salute, il Comune e la Provincia di Taranto e la Regione Puglia. L’udienza di domani si concentrerà sulle richieste di costituzione di parte civile e di risarcimento danni, che si preannunciano miliardarie, sulle quali dovrà pronunciarsi il gup Vilma Gilli.
Per l’Ilva sarà un fine settimana complesso che potrebbe incidere anche sul futuro del gruppo. Venerdì prossimo, 17 ottobre, dinanzi al gip del tribunale di Milano Fabrizio D’Arcangelo si terrà infatti l’udienza sull'istanza depositata dal commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, per 'sbloccarè e trasferire nelle casse del gruppo la somma di 1,2 miliardi di euro fatta sequestrare alla famiglia Riva dalla magistratura milanese nel maggio del 2013 nell’ambito di un’inchiesta su una presunta truffa ai danni dello Stato e un presunto trasferimento fittizio di beni proprio dalle casse dell’Ilva verso altri lidi. La richiesta di Gnudi si basa sulla nuova normativa che prevede l’utilizzo dei fondi sequestrati anche in procedimenti diversi da quello per reati ambientali, in modo da poterli utilizzare per risanare gli impianti dello stabilimento tarantino.
Proprio ieri Gnudi, accompagnato dal subcommissario, Corrado Carrubba, ha incontrato a Taranto il prefetto, Umberto Guidato, e il sindaco Ippazio Stefàno per aggiornarli sul lavoro svolto negli ultimi mesi, dopo aver compiuto un sopralluogo in fabbrica. Lo sblocco di quella ingente somma di denaro potrebbe rappresentare una bocca d’ossigeno decisiva per le sorti del colosso d’acciaio.
Ma il caso Ilva torna a far parlare di sè anche a Bruxelles. La Commissione europea ha deciso di inviare alle autorità italiane un parere motivato, seconda fase della procedura d’infrazione già aperta a suo tempo, perchè non avrebbe fatto abbastanza per garantire il rispetto degli impegni assunti dall’Ilva. "In realtà, abbiamo approvato una Aia che è una delle più avanzate che esiste al mondo. La stiamo attuando, e mi sono anche un pò meravigliato che ci sia ancora questa procedura di infrazione", dice il Commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi: "andremo a Bruxelles a cercare di chiarire la nostra posizione", ha aggiunto.
L'apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia per l'Ilva di Taranto risale al settembre 2013. Dello scorso aprile è invece l’invio di una lettera di messa in mora complementare in cui si ipotizzava la sospensione dell’attività dello stabilimento. Nella stessa lettera venivano contestate alle autorità italiane ulteriori violazioni di norme ambientali, in particolare di alcuni articoli della direttiva sulle emissioni industriali (Ied) e di quella Seveso. L’Italia ha risposto ai rilievi di Bruxelles il 26 giugno, ma le risposte non devono aver convinto il commissario Ue all’ambiente Janez Potocnik.
"La soluzione del problema è trovare un nuovo azionista", ribadisce Gnudi, in audizione al Senato. "Abbiamo in corso le trattative, in data room sono in tre. Indubbiamente la trattativa in cui siamo più avanti è quella con ArcelorMittal", poi "ci sono Jindal e Arvedi", conferma. "Non è una cosa di breve periodo: è una trattativa complicata, e come tale ci vuole tempo". In data room oggi "tutti partner industriali", ma "c'è anche un fondo che ha chiesto di entrare, e lo faremo entrare". (GdM)

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