martedì 7 ottobre 2014

Fare chiarezza


Ilva, operaio ucciso da tumore: 10 imputati 

In dieci sott’accusa per il decesso di un operaio che lavorava nel reparto Mof dell’Ilva. Sono stati incriminati dal procuratore aggiunto della Repubblica Pietro Argentino, che ha chiesto il processo per ex dirigenti della ex Italsider e della società Ilva Spa, che operarono in qualità di direttori di stabilimento, e per due medici.
Si tratta di Gian Battista Spallanzani di 86 anni, Sergio Noce di 79, Attilio Angelini di 76, Girolamo Morsillo di 81, Francesco Chindemi di 70, Nicola Muni di 80, Ettore Mario Salvatore di 68, Luigi Capogrosso di 59, che compaiono nel procedimento come responsabili di stabilimento. E poi di Giancarlo Negri di 73 anni e di Luciano Greco di 59, in qualità di medici che operavano nello stabilimento.
Secondo le accuse formulate dal dottor Argentino, nelle rispettive qualità e in concorso fra loro, avrebbero caginato il decesso di Nicola Bozza, dipendente della società siderurgica dall’ottobre 1969 al gennaio 2004, per «carcinoma gastrico con metastasi polmonari, epatiche e linfonodali».
Il procedimento, basato sui risultati di consulenze tecnico-scientifiche, si è tradotto nella contestazione a carico dei dieci imputati sula base dei tispettivi compiti.
Agli ex direttori di stabilimento è imputato i fatto di aver omesso di informare e istruire il lavoratore sul rischio dell’amianto presente negli ambienti di lavoro; di informarlo circa la necessità dell’uso dei dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie e di fornirgli i dispositivi adeguati.
Quanto ai medici, l’accusa formulata dalla procura è di aver omesso di pretendere l’osservanza degli obblighi previsti dalla normativa. In sostanza, sulla base di queste omissioni, tutti avrebbero concorso affinchè il lavoratore operasse all’interno del reparto Mof, inizialmente come manovratore ferroviario e poi come locomotorista ferroviario.
Proprio in quel reparto, secondo le conclusioni dell’inchiesta della procura della Repubblica, vi sarebbero stati notevoli rischi derivanti dalla esposizione alle fibre di amianto. E ciò, in maniera particolare, dal momento che soprattutto in quel reparto non sarebbe mai stata effettuata una bonifica dei materiali che contenevano l’amianto.
In virtù di questa situazione, il dipendente - all’oscuro dei rischi che correva nell’espletamento dell’attività lavorativa - avrebbe contratto la malattia che lo aveva portato alla morte nel novembre del 2007.
Il procedimento aperto dal dottor Argentino, che sarà esaminato dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale, costituisce un’appendice alla maxi-inchiesta sfociata nel processo celebrato dal tribunale monocratico (giudice dottor Simone Orazio) e conclusosi con la condanna di dirigenti della società a partecipazione statale Italsider e della società privata Ilva.
In quella circostanza, grazie anche alle perizie provenienti dal procedimento «Ambiente svenduto» (ancora all’esame del gup Vilma Gilli), sarebbe stata acclarata la responsabilità della esposizione alle fibre di amianto, presente in moltissimi materiali che arricchivano i reparti del siderugico, nelle malattie e nei decessi che colpirono decine e decine di dipendenti dell’area siderurgica.(Quotidiano)

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