La lezione di Foggia
Fabbriche dei veleni, condanna e maxi risarcimento per la Italcementi Spa. Sentenza storica del Tribunale di Foggia
Condanna e risarcimento milionario per la
Italcementi Spa. Proprio nella terra dell’Ilva di Taranto, dell’eterna
contesa tra il diritto alla salute e quello al lavoro, a soccombere è un
colosso dell’industria italiana, il quinto produttore mondiale di
cemento. È una sentenza storica quella del Tribunale di Foggia (sezione
lavoro), pronunciata dal giudice Andrea Basta, che ha
riconosciuto il nesso di casualità tra il lavoro svolto ed il tumore che
ha stroncato la vita di un lavoratore foggiano 17 anni fa. Per i legali
della società, il decesso sarebbe stato determinato dal fatto che “il
lavoratore fosse un forte fumatore”. Ma le perizie hanno dimostrato ben altro, a cominciare dalle sostanze inquinanti presenti negli stabilimenti. A rendere giustizia ai familiari, lo studio del dottor Gerardo Cela,
medico legale specialista in medicina del lavoro, il quale ha accertato
che “il lavoratore versava in buone condizioni di salute sino al 1984;
iniziava a presentare delle obiettive alterazioni relative all’apparato
respiratorio, riscontrate nelle visite effettuate nel 1984, nel 1990 e
nel 1991 presso l’istituto di Medicina del lavoro dell’Università di
Bari; ‘decedeva per neoplasia polmonare maligna (microcitoma) con
metastasi ai linfonodi peripancreatici”. Per il consulente giudiziale,
dunque, “l’esposizione alla inalazione di sostanze nocive per l’apparato
respiratorio nell’ambiente di lavoro, durata circa 25 anni, provocava
prima l’insorgenza di una affezione cronica broncopolmonare e poi
l’evoluzione di detta broncopatia verso la neoplasia”. Rapporto di
causa-effetto e condanna, con relativo risarcimento per oltre 2 milioni di euro ai familiari.
2 visite mediche in 15 anni, nonostante i “veleni”
“Biossido di silicio e cromo, usato
come colorante del cemento e cancerogeno”. Le motivazioni della
decisione del Tribunale di Foggia sono perentorie, al contrario delle
dichiarazioni dei direttori degli stabilimenti di Guardiaregia, Salerno,
Trento, secondo cui i dipendenti avevano tutti “le mascherine
protettive”, escludendo la “natura nociva delle polveri
presenti nell’ambiente di lavoro”. Tesi confermata dal medico legale
della Italcementi, che ha sottolineato l’esistenza di “impianti di
depolverizzazione ed abbattimento delle polveri nel periodo 1984-1989,
ed il regolare assoggettamento dei dipendenti a visite mediche annuali”.
Per il giudice, però, le cose non stavano esattamente in questi
termini. A maggior ragione in virtù dell’accordo sottoscritto dalla
Italcementi con il Ministero del Lavoro a Roma, sul personale “esposto a
rischi con frequenza annuale e di affidare agli istituti universitari
l’individuazione dei rischi”. L’accordo impegnava l’azienda a “procedere
alle valutazioni ambientali sulla presenza di inquinanti, tra cui
polveri, nei rispetti dei limiti dell’American Conferenze of
Governamental Industrial Hygienists, a raccogliere i risultati delle
rilevazioni in un registro istituito presso ciascuno stabilimento”.
Ciononostante, stando alla documentazione prodotta agli atti, “se dal
1990 in poi la cadenza annuale è rispettata, non risulta eseguita alcuna
visita dal 1973 al 1983 e dal 1986 al 1989; dal 1973 al 1989 risultano
eseguite 2 visite mediche in su un arco temporale pari a circa 16 anni”.
Deve essere per questo che, qualche mese fa, secondo quanto riferito a
l’Immediato, gli avvocati della Italcementi avrebbero proposto ai
parenti una transazione di “50mila euro” per chiudere il caso. Una cifra
ritenuta “offensiva della dignità e della memoria di chi ha perso la
vita per il lavoro”.
Lavoro, “maledetto” lavoro
Nella pronuncia del Tribunale, la contesa è
stata forte sull’effettiva mansione svolta dal lavoratore. Sì perché
secondo la Italcementi si sarebbe occupato delle dell’attività “dello
stivatore, dunque addetto a caricare i sacchi di cemento sui camion”;
mentre per la famiglia ricorrente in giudizio, faceva l’ “insaccatore”.
In ogni caso, tuttavia, vista la documentazione prodotta dalla Spa, il
giudice ha ritenuto di dover valutare come “potenzialmente nocivo”
l’ambiente di lavoro. “A fronte di un ambiente di lavoro potenzialmente
nocivo – scrive il dottor Basta nella pronuncia – che la parte
resistente (Italcementi) si era impegnata a monitorare e non ha
monitorato, o non ha comunque provato di aver monitorato, non vi è
alcuna possibilità di affermare che le misure di sicurezza indicate dai
testimoni fossero idonee a scongiurare i rischi esistenti”. Per di più,
la società di Bergamo, per controbattere alla perizia del consulente, ha
prodotto alcuni documenti sulla “sicurezza dei cementi comuni” del
2011, ma che non hanno attinenza con tutto il periodo precedente. Anche
per questo il Tribunale di Foggia, in primo grado, ha reso giustizia alla famiglia.
Aprendo al contempo uno scenario spaventoso: quanti lavoratori alle
dipendenze del colosso italiano del cemento nello stesso periodo
potrebbero aver attraversato le stesse vicende cristallizzate nella
sentenza? (Immediato)
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