Accise sull'energia evase dall'Ilva, pm Taranto chiede processo per Nicola Riva
Un nuovo processo è stato chiesto dalla Procura di Taranto a carico di Nicola Riva, presidente dell'Ilva da metà 2010 a metà 2012. L'accusa che gli viene mossa è quella di presunta evasione per non aver pagato le accise rinvenienti dalla produzione di energia con la centrale elettrica dello stabilimento siderurgico di Taranto che l'Ilva anni addietro ha acquisito da Edison. Sette milioni di euro è la somma oggetto di contestazione nell'inchiesta aperta dal pm Enrico Bruschi. A monte c'è un accertamento eseguito dall'Agenzia delle Dogane. Il processo era stato chiesto anche per Emilio Riva, ma l'ex presidente dell'Ilva, padre di Nicola, è morto ad aprile scorso estinguendo anche il reato. Emilio Riva, infatti, ha guidato l'Ilva sino a metà 2010. Poi è subentrato il figlio, al quale è seguito Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano, a poche settimane dalla deflagrazione dell'inchiesta giudiziaria di Taranto, quella che a fine luglio 2012 ha visto fra gli altri arrestare (ai domiciliari) gli stessi Emilio e Nicola Riva. Quest'ultimo è anche coinvolto nel processo “madre” di Taranto relativo al disastro ambientale del siderurgico. Per Nicola Riva, il fratello Fabio e altre 47 persone, la Procura ha chiesto al gup il rinvio a giudizio (la relativa udienza è in corso). Per Nicola e Fabio Riva l'accusa è associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale.La centrale elettricha dell'Ilva ha una funzione importante. Recupera il gas prodotto dall'attività di altiforni e acciaierie e lo trasforma in energia che poi serve ad alimentare l'area a freddo dello stabilimento. La centrale, strutturata con i blocchi 2 e 3, fa capo ad una società ad hoc, Taranto Energia, con un centinaio di dipendenti, controllata dalla stessa Ilva. Nei mesi scorsi, a distanza ravvicinata, c'è stato per due volte un guasto ad uno dei componenti della centrale. Questo ha spinto l'azienda a ridurre l'attività di altiforni e acciaierie e a ricorrere ai contratti di solidarietà per il personale resosi inattivo (un centinaio circa gli addetti interessati). Il rallentamento è scattato per evitare danni all'ambiente. Se altiforni e acciaierie avessero continuato a produrre con lo standard normale, il gas delle lavorazioni non trasformato in energia dalla centrale a causa del guasto, sarebbe finito in atmosfera come emissione. E così sia la gestione di Enrico Bondi che quella di Piero Gnudi (i guasti hanno interessato i periodi di entrambi i commissari) decisero di far decelerare l'area a caldo. Più prolungata la seconda fermata, con strascichi per l'altoforno 2 durati sino alle scorse settimane.
L'impatto di quanto avvenuto alla centrale è richiamato anche nella prima relazione sull'andamento di gestione di Gnudi quando, riferendosi alla forzata riduzione di produzione di luglio e agosto, dice che nel periodo giugno-agosto ci sono state vendite per soli 1,3 milioni di tonnellate con un calo del 20 per cento sul trimestre precedente, marzo-maggio, e del 19 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2013. L'effetto combinato della riduzione delle vendite e dei costi sostenuti per la centrale (l'Ilva dice infatti di aver affrontato “un significativo ma indispensabile sforzo manutentivo”), “hanno conseguentemente aggravato le difficoltà finanziarie che abbiamo riscontrato all'inizio del nuovo periodo di gestione” scrive Gnudi, tant'è che il pagamento degli stipendi ai dipendenti è avvenuto “grazie alle cessioni di certificati di CO2” e comunque è stato necessario far slittare di un mese, da luglio ad agosto, l'erogazione di uno dei premi contrattuali al personale. (Sole24h)
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