Presentato, questa mattina, un esposto in Procura da parte di Angelo Bonelli e dal gruppo dei Verdi-Taranto Respira.
Ottobre 2014: la farsa di Taranto s’iscrive in questo lasso di tempo. Il suo epilogo è segnato dallo scorrere lento di due inutili anni. L’alfa e l’omega degli impegni disattesi, del tutto cambi perché nulla cambi. Il 26 luglio del 2012: una data spartiacque, si sperava. L’appuntamento con la storia a lungo atteso. L’avvio di una nuova era. I Riva e il sottobosco di un potere locale denudato, putrido e osceno tanto nelle sue fattezze quanto nei suoi propositi, messi con le spalle al muro. Gli impianti della grande industria posti sotto sequestro perché inconciliabili con un’idea moderna di vita. Il lavoro eroico e sobrio di un magistrato lontano dal narcisismo insopportabile di certe procure. Tutto sembrava volgere al meglio. E, invece, niente. La fabbrica dell’acciaio più scadente d’Europa continua a sputare veleni e a farsi beffa del diritto. Gioca a ridicolizzare la sofferenza umana. Semina morte e malattie con la complicità di uno Stato connivente. Senza alcun alibi, ormai. Trasferitosi alla Leopolda e appeso agli slogan di una politica che si nutre di avanspettacolo e siparietti kitsch. Nonostante 3 Governi, 2 commissari straordinari, 7 decreti salva-Ilva e una sentenza della Corte costituzionale, Taranto resta la pietra dello scandalo di un Paese fantozziano. Troppo brutto per essere vero o, forse, troppo vero per essere ascrivibile alle categorie del brutto.
L’esposto presentato questa mattina in
Procura da Angelo Bonelli, e dal gruppo dei Verdi - Taranto Respira, è
l’estremo tentativo di ricongiungere un barlume di verità con la storia
recente di una città sempre più zona franca della decenza. Cinque i
punti su cui si regge il dossier elaborato dalle forze ecologiste e
consegnato agli organi inquirenti: mancata attuazione delle prescrizioni
Aia; analisi aggiornata del progetto sanitario “Sentieri”;
considerazioni sulla perdurante assenza di un Piano industriale
elaborato dal Governo che seguisse quello ambientale; parere motivato da
parte dell’Unione Europea sulle infrazioni ambientali compiute dallo
Stato italiano in relazione alla vicenda Ilva; sentenza n° 85 della
Corte costituzionale. I cinque angoli di un immaginario pentagono della
vergogna e delle impunità diffuse. Il monitoraggio in continuo sulla
qualità dell’aria respirata dai tarantini mai partito. Eppure, questa
specifica attività, rappresentava uno dei punti qualificanti della nuova
Aia. L’aumento del 54% delle patologie tumorali rispetto alla media
pugliese nel biennio 2008-2010 che configura una chiara ed
inequivocabile reiterazione del reato. La mancata attuazione del Piano
industriale che, come previsto dal decreto 61 del 2013, seguisse dopo
trenta giorni quello ambientale pena l’attribuzione di reati civili e
penali in capo ai commissari straordinari (prima Bondi e dopo Gnudi). E,
ancora: il procedimento d’infrazione, predisposto dalla Commissione
europea contro l’Italia, corroborato da una condotta omicida seguita
dall’azienda – e dalle istituzioni preposte - contro la popolazione
inerme assieme alla non corrispondenza tra la sentenza della Consulta e i
lavori di bonifica che sarebbero dovuti partire all’interno dello
stabilimento siderurgico.
Non manca niente per gridare al colpo di Stato. C’è di tutto e di più in
questa sporca vicenda di gattopardi e pregiudicati. Una sospensione
silente della civiltà giuridica. Un vulnus democratico la cui
violenza omertosa non ha eguali nel resto del Paese. Lo scivolamento di
un'intera città nel cono d’ombra dell’indeterminatezza. L’alfa e l’omega
di Taranto, per l’appunto: emblema di un’Italia data in subappalto a
buffoni e ciarlatani. (Cosmopolismedia)
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