Libera: "preoccupati per illegalità diffusa e ramificata"
L'operazione Alias, condotta nelle scorse ore dalle forze
dell'ordine, riaccende i riflettori su un tema troppo spesso sottovalutato:
l'infiltrazione dei gruppi criminali nelle attività economiche, politiche e
sociali cittadine.
Il coordinamento tarantino di "Libera: associazioni,
nomi e numeri contro le mafie", accanto al plauso per gli agenti di
Polizia che hanno arrestato i presunti appartenenti al clan criminale, esprime
la più profonda preoccupazione per le situazioni di illegalità diffusa.
Le recenti indagini hanno accertato quanto il potere
malavitoso fosse ramificato e radicato in città. Accanto alla violenza
criminale più efferata sono tanti i comportamenti mafiosi che tutti i giorni si
verificano.
Racket, usura, spaccio di sostanze stupefacenti,
raccomandazioni sono solo alcuni dei fenomeni con cui i gruppi di potere
malavitosi marcano la loro influenza sul territorio.
È necessario sviluppare una questione morale che interessi
tutti i settori del vivere in comunità, in particolare la politica.
La legalità non può essere considerata un intralcio ma
costituisce un fattore indispensabile per lo sviluppo del Paese. Soprattutto in
un momento delicato come questo "Libera" Taranto invita all'attuazione,
da parte del mondo politico ed istituzionale, di provvedimenti che incentivino
il rispetto delle regole e garantiscano i diritti fondamentali delle persone.
Il coordinamento ionico chiede, inoltre, all'amministrazione
comunale di eliminare quelle situazioni di illegalità che ancora persistono,
che la trasparenza caratterizzi gli atti amministrativi e che si proceda a gare
pubbliche soprattutto in quei casi in cui i contratti o convenzioni sono
scaduti o prorogati da anni. Così sarà possibile creare quegli anticorpi
indispensabili per combattere l'illegalità, la corruzione, le mafie.
Libera, infine, auspica il superamento del muro di omertà e
la piena collaborazione tra cittadini e forze dell'ordine per garantire i
criminali alla giustizia.
Luca Caretta - Addetto stampa Libera Taranto
Chi c'è tra gli arresti "eccellenti"?
Fabrizio Pomes, presidente CORDA FRATRES Soc. Coop. Sociale a r.l.
concessionaria del
Centro Sportivo Magna Grecia. Ex segretario provinciale del nuovo Psi,
poi sostenitore del centrodestra, infine promotore della lista “La
Puglia per Vendola/PSI” e a sostegno della rielezione di Ezio Stefàno, nel
2012.
CORDA FRATRES gestisce "e.MOTIVA.mente", affidatogli dal comune con “procedura abbreviata” il primo Laboratorio Urbano di Grottaglie, finanziato da Bollenti Spiriti, Regione Puglia.Grottaglie, sito in Via Mastropaolo Corrado 125, inaugurato il 19 dicembre 2009.
CORDA FRATRES gestisce anche il laboratorio urbano “The Factory Urban Lab Mottola, finanziato nell’ambito del bando regionale Bollenti Spiriti ed inaugurato lo scorso 18 dicembre 2010, nell’ex caserma dei Carabinieri.
Blitz antimafia a Taranto scacco ai clan, 52 arresti «Il boss ordinò omicidio»
Tra i 52 arrestati dalla Squadra mobile di Taranto nell’ambito di un
inchiesta coordinata dalla Dda di Lecce c'è anche Nicola De Vitis, già
condannato il via definitiva a 25 anni di reclusione per l’omicidio di
Cosima Ceci, la madre dei Modeo, il clan che ha imperversato nella
provincia jonica pugliese tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi
degli anni Novanta.
De Vitis, che era in regime di semilibertà dopo aver scontato 18 anni di carcere, ora viene accusato di essere il mandante dell’omicidio di Tonino Santagato, di 57 anni, ucciso il 29 maggio del 2013 in via Mazzini, per il quale sono stati condannati a 30 anni di reclusione con il rito abbreviato i fratelli Giovanni e Salvatore Pascalicchio. La vittima fu raggiunta da cinque colpi di pistola perchè avrebbe cercato di impedire ai due fratelli di vendere le cozze in una zona situata nei pressi della sua abitazione.
Oggi l’ordinanza è stata notificata anche al pregiudicato Salvatore Scarcia, di Policoro (Matera), ritenuto responsabile della detenzione finalizzata allo spaccio di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.
I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce Alcide Maritati su richiesta del pubblico ministero Alessio Coccioli.
L'operazione, ribattezzata Alias, riguarda presunti appartenenti a organizzazioni legate ai clan D'Oronzo - De Vitis accusate di associazione mafiosa, traffico di droga, omicidio, estorsione, rapina e detenzione di armi.
Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile, hanno accertato che il gruppo criminale operava su Taranto con forti articolazioni a Verona e Sassari. Attualmente solo due persone risultano irreperibili.
Il Capo della Polizia, Prefetto Alessandro Pansa, ha telefonato al Questore di Taranto complimentandosi con le donne e gli uomini della Polizia di Stato impegnati nell’attività investigativa che ha portato all’esecuzione di 52 misure cautelari nei confronti di appartenenti al clan D’Oronzo-De Vitis, ringraziando anche personalmente il Procuratore della Dda di Lecce Cataldo Motta.
COSì I CLAN SI RIORGANIZZAVANO
Il clan De Vitis-D’Oronzo, protagonista alla fine degli anni Ottanta di una sanguinosa guerra di mala contro il gruppo capeggiato dai fratelli Riccardo e Gianfranco Modeo, si stava riorganizzando per tornare a gestire le attività illecite, in particolare le estorsioni e il traffico di droga, nella città di Taranto.
Lo hanno sottolineato nel corso di una conferenza stampa il procuratore della Dda di Lecce, Cataldo Motta, il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Mandoi e il questore di Taranto, Enzo Mangini, che hanno illustrato i particolari dell’inchiesta che ha portato all’emissione di 52 ordinanze di custodia cautelare (49 in carcere e tre ai domiciliari), 50 delle quali già eseguite.
All’appello mancano due indagati, uno dei quali si trova attualmente in Inghilterra, l’altro risiede a Verona. Tra le persone arrestate ci sono diverse vecchie conoscenze delle forze dell’ordine, a cominciare dal boss Orlando D’Oronzo (soprannominato 'Fratello grandè), che si trovava in soggiorno obbligato in Sardegna, e da Nicola De Vitis (soprannominato 'Fratello piccolò), scarcerato dopo una condanna per omicidio e sottoposto al regime di semilibertà nella città di Verona.
Sono loro, secondo gli inquirenti, che avevano ripreso i fili dell’organizzazione un tempo gestita da Antonio Modeo, detto il Messicano, e Salvatore De Vitis, in contrapposizione al clan Modeo. Ma il sodalizio criminoso, oltre a rigenerarsi, aveva cambiato anche 'immaginè. L’obiettivo era quello di mantenere un profilo basso, senza episodi eclatanti, per “allontanare - ha spiegato Mandoi – l'indignazione sociale verso il fenomeno mafioso”.
L'IMPRENDITORE IN AFFARI COL COMUNE
Tra le persone arrestate nell’inchiesta che ha sgominato il clan D’Oronzo-De Vitis c'è l'imprenditore Fabrizio Pomes, già presidente del Centro sportivo Magna Grecia ed ex segretario provinciale del nuovo Psi, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Secondo gli inquirenti, Pomes avrebbe fiancheggiato l’organizzazione capeggiata dal boss Orlando D’Oronzo, creando per la gestione della struttura comunale cooperative di cui facevano parte anche due pregiudicati condannati per associazione mafiosa. La gara d’appalto fu bloccata e trasformata in proroga del servizio.
Il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, illustrando i dettagli dell’inchiesta, ha censurato anche il comportamento dell’amministrazione comunale che ha consentito la gestione alla cooperativa riferita a Pomes, non procedendo ai dovuti accertamenti e nonostante “episodi di morosità”.
Il clan D’Oronzo-De Vitis era tornato particolarmente attivo nel campo delle estorsioni e aveva preso di mira grosse attività commerciali come il negozio 'Lord’e la 'Ferramenta Perronè. Gli inquirenti hanno accennato anche all’installazione di pannelli fotovoltaici da parte di una impresa del Nord che aveva chiesto indicazioni ("Chi comanda a Taranto"? è un passo della conversazione intercettata) a un avvocato per affidare il servizio di guardiania (poi assegnato a persone vicine al clan), ricevendo inizialmente una indicazione sbagliata.
De Vitis, che era in regime di semilibertà dopo aver scontato 18 anni di carcere, ora viene accusato di essere il mandante dell’omicidio di Tonino Santagato, di 57 anni, ucciso il 29 maggio del 2013 in via Mazzini, per il quale sono stati condannati a 30 anni di reclusione con il rito abbreviato i fratelli Giovanni e Salvatore Pascalicchio. La vittima fu raggiunta da cinque colpi di pistola perchè avrebbe cercato di impedire ai due fratelli di vendere le cozze in una zona situata nei pressi della sua abitazione.
Oggi l’ordinanza è stata notificata anche al pregiudicato Salvatore Scarcia, di Policoro (Matera), ritenuto responsabile della detenzione finalizzata allo spaccio di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.
I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce Alcide Maritati su richiesta del pubblico ministero Alessio Coccioli.
L'operazione, ribattezzata Alias, riguarda presunti appartenenti a organizzazioni legate ai clan D'Oronzo - De Vitis accusate di associazione mafiosa, traffico di droga, omicidio, estorsione, rapina e detenzione di armi.
Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile, hanno accertato che il gruppo criminale operava su Taranto con forti articolazioni a Verona e Sassari. Attualmente solo due persone risultano irreperibili.
Il Capo della Polizia, Prefetto Alessandro Pansa, ha telefonato al Questore di Taranto complimentandosi con le donne e gli uomini della Polizia di Stato impegnati nell’attività investigativa che ha portato all’esecuzione di 52 misure cautelari nei confronti di appartenenti al clan D’Oronzo-De Vitis, ringraziando anche personalmente il Procuratore della Dda di Lecce Cataldo Motta.
COSì I CLAN SI RIORGANIZZAVANO
Il clan De Vitis-D’Oronzo, protagonista alla fine degli anni Ottanta di una sanguinosa guerra di mala contro il gruppo capeggiato dai fratelli Riccardo e Gianfranco Modeo, si stava riorganizzando per tornare a gestire le attività illecite, in particolare le estorsioni e il traffico di droga, nella città di Taranto.
Lo hanno sottolineato nel corso di una conferenza stampa il procuratore della Dda di Lecce, Cataldo Motta, il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Mandoi e il questore di Taranto, Enzo Mangini, che hanno illustrato i particolari dell’inchiesta che ha portato all’emissione di 52 ordinanze di custodia cautelare (49 in carcere e tre ai domiciliari), 50 delle quali già eseguite.
All’appello mancano due indagati, uno dei quali si trova attualmente in Inghilterra, l’altro risiede a Verona. Tra le persone arrestate ci sono diverse vecchie conoscenze delle forze dell’ordine, a cominciare dal boss Orlando D’Oronzo (soprannominato 'Fratello grandè), che si trovava in soggiorno obbligato in Sardegna, e da Nicola De Vitis (soprannominato 'Fratello piccolò), scarcerato dopo una condanna per omicidio e sottoposto al regime di semilibertà nella città di Verona.
Sono loro, secondo gli inquirenti, che avevano ripreso i fili dell’organizzazione un tempo gestita da Antonio Modeo, detto il Messicano, e Salvatore De Vitis, in contrapposizione al clan Modeo. Ma il sodalizio criminoso, oltre a rigenerarsi, aveva cambiato anche 'immaginè. L’obiettivo era quello di mantenere un profilo basso, senza episodi eclatanti, per “allontanare - ha spiegato Mandoi – l'indignazione sociale verso il fenomeno mafioso”.
L'IMPRENDITORE IN AFFARI COL COMUNE
Tra le persone arrestate nell’inchiesta che ha sgominato il clan D’Oronzo-De Vitis c'è l'imprenditore Fabrizio Pomes, già presidente del Centro sportivo Magna Grecia ed ex segretario provinciale del nuovo Psi, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Secondo gli inquirenti, Pomes avrebbe fiancheggiato l’organizzazione capeggiata dal boss Orlando D’Oronzo, creando per la gestione della struttura comunale cooperative di cui facevano parte anche due pregiudicati condannati per associazione mafiosa. La gara d’appalto fu bloccata e trasformata in proroga del servizio.
Il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, illustrando i dettagli dell’inchiesta, ha censurato anche il comportamento dell’amministrazione comunale che ha consentito la gestione alla cooperativa riferita a Pomes, non procedendo ai dovuti accertamenti e nonostante “episodi di morosità”.
Il clan D’Oronzo-De Vitis era tornato particolarmente attivo nel campo delle estorsioni e aveva preso di mira grosse attività commerciali come il negozio 'Lord’e la 'Ferramenta Perronè. Gli inquirenti hanno accennato anche all’installazione di pannelli fotovoltaici da parte di una impresa del Nord che aveva chiesto indicazioni ("Chi comanda a Taranto"? è un passo della conversazione intercettata) a un avvocato per affidare il servizio di guardiania (poi assegnato a persone vicine al clan), ricevendo inizialmente una indicazione sbagliata.
I RAPPORTI CON IL SASSARESE
Gli uomini della Questura di Sassari, su delega dei colleghi di Taranto, hanno arrestato Sandro Soru, 32 anni, di Porto Torres. L’accusa nei suoi confronti è di traffico di sostanze stupefacenti. L’uomo era entrato in rapporti con D’Oronzo circa due anni fa, quando quest’ultimo si trovava in regime di sorvegliato speciale con l’obbligo di soggiorno nella città turritana.
Soru e d’Oronzo, che erano colleghi come dipendenti di un’azienda privata, avevano stretto amicizia, ma le intercettazioni a disposizione degli inquirenti rivelerebbero il coinvolgimento del portotorrese nel traffico di droga.
Nell’ambito della stessa inchiesta è stato arrestato dalla Questura di Milano anche Manuel Soru, fratello di Sandro, ospite di una comunità di recupero in Lombardia.
GLI ARRESTI NEL VERONESE
Sono stati dieci, sui 52 provvedimenti complessivi, gli arresti eseguiti a Verona e provincia nell’ambito dell’operazione antimafia partita da Taranto e coordinata dalla Dda di Lecce. Le persone portate in carcere dalla squadra mobile scaligera sono accusate, a vario titolo, di reati contro il patrimonio, porto abusivo di armi, detenzione e traffico di droga.
Alcuni degli arrestati, ha spiegato il capo della 'mobilè, Roberto Della Rocca, erano incensurati ed avevano un regolare lavoro. Tra i vari episodi significativi imputati all’organizzazione criminale, c'è una doppia tentata rapina ad una gioielleria di Verona, il 30 novembre 2013 e il 22 febbraio 2013; nel secondo caso il titolare reagì sparando e ferendo uno dei due banditi, mentre l'altro rimase intrappolato all’interno della porta di sicurezza del negozio. Punto di riferimento dei capoclan sul territorio veronese sarebbe stato Gaetano Ricciardi, 41 anni, residente a Verona, che però è stato arrestato a Taranto.
I dieci arrestati a Verona o in provincia sono Sergio Cagali, 60 anni, di Verona; i fratelli brindisini Davide e Graziano Forti, 35 e 42 anni, residenti a Isola della Scala e Verona; Mahmoud Gabsi, 29 anni, Bladimir Josè Polo Oduver Polo, colombiano, 38 anni, Fabio Raimondi, bresciano, 35 anni, residente a Villafranca, Moreno Rigondanzo, 36 anni, Giorgio Saponaro, brindisino, 32 anni, residente a Buttapietra, Riccardo Vallin, veronese 44enne, residente a Zevio (Verona), Gaetano Ziccardi, 39 anni, napoletano, residente a Valeggio sul Mincio. L'obiettivo del ramo 'veronesè dell’organizzazione mafiosa era sostanzialmente quello di raccogliere sempre più denaro, e radicarsi in un territorio economicamente forte come quello scaligero. (GdM)
Motta censura il Comune. Concorso esterno in associazione mafiosa per Fabrizio Pomes
Tra le persone arrestate nell’inchiesta che ha sgominato il clan D’Oronzo-De Vitis c’è l’imprenditore Fabrizio Pomes, già presidente del Centro Sportivo Magna Grecia ed ex segretario provinciale del nuovo Psi, negli ultimi tempi vicino alla lista Puglia per Vendola, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni.Secondo gli inquirenti, Pomes avrebbe fiancheggiato l’organizzazione capeggiata dal boss Orlando D’Oronzo, creando per la gestione della struttura comunale cooperative di cui facevano parte anche due pregiudicati condannati per associazione mafiosa. La gara d’appalto fu bloccata e trasformata in proroga del servizio. Pomes, commentando l’assegnazione alla coop Falanto di un appalto comunale per la pulizia di giardini sottolinea che “è stata posta la prima pietra”, poi dice a D’Oronzo “che la coop deve assumere purtroppo 35 operai della vecchia ditta incaricata che sono ‘teste calde’”. D’Oronzo risponde “tu digli a chi è intestata la coop e poi vediamo se sono teste calde”.
Il Procuratore di Lecce, Cataldo Motta, illustrando i dettagli dell’inchiesta, ha censurato anche il comportamento dell’amministrazione comunale, che ha consentito la gestione alla cooperativa riferita a Pomes, non procedendo ai dovuti accertamenti e nonostante “episodi di morosità”.
Il clan D’Oronzo-De Vitis era tornato particolarmente attivo nel campo delle estorsioni ed aveva preso di mira grosse attività commerciali come il negozio “Lord” e la “Ferramenta Perrone”.
Gli inquirenti hanno accennato anche all’installazione di pannelli fotovoltaici da parte di un’impresa del nord che aveva chiesto indicazioni (“chi comanda a Taranto?” è un passo della conversazione intercettata) ad un avvocato per affidare il servizio di guadiania (poi assegnato a persone vicine al clan) ricevendo inizialmente una indicazione sbagliata. Nell’ordinanza si legge “che gli interessi economici dell’associazione diretta dal suo De Vitis D’Oronzo in stretta correlazione con gli ambienti della pubblica amministrazione siano ancora esistenti ed anzi in progressiva ascesa è dimostrato anche dal gravissimo, recentissimo episodio che ha visto l’intimidazione di un rappresentante locale della pubblica amministrazione posta in essere sulla pubblica via (nella zona vecchia di Taranto) da un gruppo di quattro persone che hanno invitato caldamente il consigliere comunale a non mancare al prossimo consiglio comunale nel quale sarebbero stati affrontati argomenti che interessavano D’Oronzo”.
A questo episodio ha fatto seguito la presenza nell’aula consiliare il 23 giugno 2014 nel corso del consiglio, di Michele De Vitis (fratello di Nicola e marito del consigliere Castellaneta). (Tasera)
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