Riva fa ricorso contro Piano ambientale
La Riva Fire deposita al Tar del
Lazio il ricorso contro il Piano ambientale dell'Ilva. Per i legali
dello stabilimento ci sarebbero vizi di costituzionalità e sarebbe stato
imposto all'impresa. Duro il commento del presidente della Commissione
Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, Ermete Realacci: "E'
sconcertante questo ricorso. Segno che la ‘famiglia dell’acciaio’ non
ha proprio capito cosa è successo e cosa è necessario fare". Bonelli,
(Verdi ): "Sconcertante è il ruolo del Governo nella vicenda Ilva"
Ennesima mossa non del tutto
imprevedibile da parte della Riva Fire che ha depositato al Tar del
Lazio, nell’ultimo giorno in scadenza, il ricorso contro il piano
ambientale dell’Ilva. Nel ricorso sarebbero espressi dubbi sulla
legittimità del piano, che secondo gli azionisti di Riva Fire, sarebbe
stato imposto all’impresa, indicando tempi e modi di realizzazione
nonché additandone le tecnologie. Nel piano ambientale sarebbe prevista
inoltre la conversione degli impianti al preridotto, sul quale lo stesso
Governo aveva palesato dubbi. Emergerebbero inoltre vizi di
costituzionalità e contrasto alle norme del diritto comunitario.
Impugnati anche gli atti relativi al piano ambientale e dunque le misure
che hanno portato al commissariamento dello stabilimento. Il presunto
gap risiederebbe dunque tra gli scopi prefissi all’interno del piano e
le modalità con cui esso concretamente potrà realizzarsi. Oltre a ciò
obiezioni sono state sollevate anche in merito alla libertà di
iniziativa economica indicando obiettivi e metodi per il suo
conseguimento.
“Sconcertante il ricorso dei Riva contro
il piano ambientale dell’Ilva.- ha commentato Ermete Realacci,
presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della
Camera,- Segno che la ‘famiglia dell’acciaio’ non ha proprio capito
cosa è successo e cosa è necessario fare. E’ evidente, infatti, che il
rilancio dell’acciaieria di Taranto non può che partire dal risanamento
ambientale. Di più la piena attuazione del piano ambientale- prosegue- è
strettamente connessa al rilancio produttivo dell’azienda. Come ho
avuto modo di dire in altre occasioni non è pensabile alcuna soluzione
di innovazione e futuro produttivo per l’Ilva se vengono disattesi gli
impegni sul risanamento ambientale, condizione necessaria per dare un
domani all’impianto: simul stabunt, simul cadent. In questo quadro-
conclude Realacci- la conferma del sub-commissario Ronchi sarebbe un
importante elemento di garanzia che si voglia procedere al risanamento
ambientale dell’azienda”.
Anche
il leader dei Verdi, Angelo Bonelli condanna la posizione del gruppo
siderurgico, ma soprattutto stigmatizza il ruolo del Governo nella
vicenda Ilva, Rispondendo alle affermazioni del presidente della
Commissione Ambiente, Ermete Realacci spiega: "Nella decisione dei Riva
di ricorrere conto il piano ambientale – spiega l’ambientalista- non c'è
nulla di sconcertante è un'azione coerente con quello che hanno sempre
fatto a Taranto con l'Ilva. Di sconcertante per me è stato il ruolo del
parlamento che con ben 4 decreti salva Ilva ha fermato l'azione
dell'autorità giudiziaria che non consiste solo nel perseguire i reati
ma anche che questi vengano portati ad ulteriori conseguenze per
impedire che la salute sia danneggiata.
"I
Riva – prosegue Bonelli- sostengono che la libertà di iniziativa
economica sia stata compressa, ma nessuno si è posto il problema di chi
tutela il diritto alla vita che a Taranto è compromesso come confermano i
drammatici dati sulla mortalità, specialmente tra i bambini. E mentre
si parla di ilva sempre a Taranto il ministro Guidi sollecita
approvazione progetto Tempa Rossa dell'ENI che porterà ad un aumento
dell'inquinamento prodotto dalla raffineria del 12%. La verità –
conclude- è che si sta condannando Taranto ad un futuro carico sempre
più di veleni mentre il governo non vuole prendere la strada della
conversione di questo modello industriale come accaduto a Bilbao, alla
Ruhr o a Pittsburgh. (Cosmopolismedia)
«È scandaloso che i Riva tentino in tutti i modi e ancora una volta di opporsi al risanamento ambientale dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ma soprattutto è vergognoso che si oppongano a una delle misure che consideravamo con più favore fra quelle contenute nel Piano Ambientale e cioè l'adozione del preridotto». È questo il commento di Stefano Ciafani, Francesco Tarantini e Lunetta Franco, rispettivamente vice presidente nazionale di Legambiente, presidente di Legambiente Puglia e presidente del Circolo Legambiente di Taranto, in seguito al ricorso della Riva Fire depositato al Tar del Lazio contro il Piano Ambientale dell'Ilva.
«I Riva - aggiungono Ciafani, Tarantini e Franco - contestano proprio quella misura che abbatterebbe in modo sostanziale le emissioni inquinanti,
ostacolando la già precaria gestione commissariale che tenta di
affrontare una situazione complicata per la quale non si riesce ancora a
trovare una definitiva via di uscita. È da irresponsabili fare ricorso
al Tar in un momento delicato come quello in corso. Ci auguriamo -
concludono - che il Tar rigetti il ricorso dei Riva e riconfermi
piuttosto il Piano Ambientale». (Alternativasostenibile)
E il governo che fa?
Aiuta Riva e la sua combriccola a passarla ancora più liscia!
«Bisogna correre verso un’Italia più sicura e sostenibile sotto il profilo ambientale». Con la smania di cambiare verso all’Italia e dare un’accelerazione al Paese, sarà meglio fare attenzione che la corsa non porti verso il burrone dell’irreparabile. Nonostante l’ottimismo del ministro Gian Luca Galletti - che ha ribattezzato “Ambiente protetto” la parte di sua competenza del decreto Competitività - a spulciare fra le pieghe del provvedimento il nome scelto sembra infatti quanto meno eccessivo. Se non del tutto fuori luogo, come denunciano numerosi comitati e associazioni ecologiste.
SITI MILITARI
Il punto più controverso riguarda i siti militari (circa 50 mila ettari in tutta Italia), inquinati da metalli pesanti e a volte - come mostra il caso del poligono di Quirra in Sardegna, di cui l’Espresso si è occupato più volte - anche da sostanze radioattive come l’ uranio impoverito . Per risolvere il problema delle bonifiche, assai impegnative dal punto di vista economico, il decreto del governo pare aver escogitato un modo semplice e veloce: equiparare i valori consentiti a quelli delle aree industriali. In questo modo, pur interessando coste, boschi e zone di macchia mediterranea (come a Capo Teulada in Sardegna, o a Monte Romano nel Lazio) i livelli di inquinamento tollerati potranno essere notevolmente più alti rispetto ad aree verdi o residenziali.
Il decreto Competitività prevede la possibilità di aumentare gli
scarichi in mare degli stabilimenti industriali e prevede nuove tabelle
per la contaminazione delle aree militari. Alzando fino a 100 volte i
limiti di alcune sostanze cancerogene o pericolose per la salute. «Un
colpo di spugna vergognoso sulle bonifiche» denunciano le associazioni
ecologiste
SILENZIO ASSENSO
Il decreto prevede anche una semplificazione per le bonifiche dei siti privati a opera dei proprietari, responsabili dell’inquinamento. Perno di questa procedura è il meccanismo del silenzio-assenso, introdotto in via sperimentale fino al 31 dicembre 2017. Chi vorrà bonificare un’area potrà autocertificare i dati di partenza - così da consentire allo Stato di non spendere denaro nello studio preliminare - e terminato l’intervento dovrà inviare all’Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) i risultati delle operazioni. Gli uffici avranno però solo 45 giorni di tempo per approvarli. “Decorso inutilmente il termine, il piano di caratterizzazione si intende approvato” recita il decreto.
Ovvero, se le Agenzie non faranno in tempo a rispondere (come può accadere a causa delle ampie dimensioni o solo dell’eccessiva mole di lavoro), la bonifica sarà comunque data per buona. E il sito potrà essere utilizzato in base alla nuova destinazione d’uso prevista.
E il governo che fa?
Aiuta Riva e la sua combriccola a passarla ancora più liscia!
«Bisogna correre verso un’Italia più sicura e sostenibile sotto il profilo ambientale». Con la smania di cambiare verso all’Italia e dare un’accelerazione al Paese, sarà meglio fare attenzione che la corsa non porti verso il burrone dell’irreparabile. Nonostante l’ottimismo del ministro Gian Luca Galletti - che ha ribattezzato “Ambiente protetto” la parte di sua competenza del decreto Competitività - a spulciare fra le pieghe del provvedimento il nome scelto sembra infatti quanto meno eccessivo. Se non del tutto fuori luogo, come denunciano numerosi comitati e associazioni ecologiste.
SITI MILITARI
Il punto più controverso riguarda i siti militari (circa 50 mila ettari in tutta Italia), inquinati da metalli pesanti e a volte - come mostra il caso del poligono di Quirra in Sardegna, di cui l’Espresso si è occupato più volte - anche da sostanze radioattive come l’ uranio impoverito . Per risolvere il problema delle bonifiche, assai impegnative dal punto di vista economico, il decreto del governo pare aver escogitato un modo semplice e veloce: equiparare i valori consentiti a quelli delle aree industriali. In questo modo, pur interessando coste, boschi e zone di macchia mediterranea (come a Capo Teulada in Sardegna, o a Monte Romano nel Lazio) i livelli di inquinamento tollerati potranno essere notevolmente più alti rispetto ad aree verdi o residenziali.
Siti inquinati, alzati per decreto i limiti delle sostanze pericolose
SILENZIO ASSENSO
Il decreto prevede anche una semplificazione per le bonifiche dei siti privati a opera dei proprietari, responsabili dell’inquinamento. Perno di questa procedura è il meccanismo del silenzio-assenso, introdotto in via sperimentale fino al 31 dicembre 2017. Chi vorrà bonificare un’area potrà autocertificare i dati di partenza - così da consentire allo Stato di non spendere denaro nello studio preliminare - e terminato l’intervento dovrà inviare all’Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) i risultati delle operazioni. Gli uffici avranno però solo 45 giorni di tempo per approvarli. “Decorso inutilmente il termine, il piano di caratterizzazione si intende approvato” recita il decreto.
Ovvero, se le Agenzie non faranno in tempo a rispondere (come può accadere a causa delle ampie dimensioni o solo dell’eccessiva mole di lavoro), la bonifica sarà comunque data per buona. E il sito potrà essere utilizzato in base alla nuova destinazione d’uso prevista.
ZONE MILITARI
All’articolo 13, comma 5, si legge infatti che per le zone militari “si
applicano le concentrazioni di soglia di contaminazione di cui alla
Tabella 1, colonna b, dell’allegato 5, alla Parte IV, Titolo V” del
Codice dell’Ambiente. In questo modo, solo per citare qualche esempio,
lo stagno potrà avere un concentrazione nel suolo fino a 350 volte superiore, mentre potranno essere centuplicati i valori dei cianuri (da 1 a 100 mg/kg), così come il benzopirene o la sommatoria dei composti policiclici aromatici (etilbenzene, stirene, toluene e xilene). I fluoruri, anziché essere contenuti entro i 100 mg, potranno arrivare fino a 2000 mg per chilogrammo, ovvero 20 volte in più. Come il benzene, che rappresenta
uno dei 113 agenti cancerogeni più pericolosi
in base alla classificazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca
sul cancro.
Disposizioni, quelle relative alle aree militari, che tuttavia non appaiono nel comunicato stampa né nella presentazione concepita dal dicastero dell’Ambiente per illustrare il provvedimento. «È un evidente regalo al ministero della Difesa, che in questo modo potrà evitare di intervenire sui numerosi siti di propria competenza» attacca il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli.
SCARICHI IN MARE
Novità in vista anche per gli scarichi in mare di “solidi sospesi totali”, con cui si indicano le sostanze non disciolte presenti nelle acque di scarico. A essere beneficiata sarà tutta una serie di impianti industriali di grandi dimensioni come acciaierie, centrali elettriche e a carbone, cementifici, raffinerie, ma anche stabilimenti chimici, rigassificatori e inceneritori. “In tal caso - prevede il decreto - le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione”.
Tradotto: più si produce e più alto sarà il quantitativo che potrà essere scaricato in mare rispetto a quanto previsto attualmente dal Codice dell’Ambiente. Un aspetto particolarmente sentito dalle aziende, come mostra la vicenda della Solvay, l’azienda chimica belga che nei mesi scorsi ha patteggiato una multa proprio per aver sforato per anni i limiti imposti allo stabilimento di Rosignano (Livorno).
«È la solita scorciatoia all’italiana, perché il nostro sistema produttivo non vuole pagare quel che dovrebbe per risanare le aree che ha inquinato» commenta Augusto De Sanctis, del Coordinamento nazionale siti contaminati, realtà che raduna una quarantina di comitati e associazioni attive sul tema delle bonifiche. «Si cerca di chiudere “la stagione dei veleni” privatizzando le operazioni per risparmiare. Ma è solo un colpo di spugna vergognoso: alzare i limiti di contaminazione non vuol dire risolvere i problemi ma solo nascondere polvere sotto il tappeto».
CARA BONIFICA
Che le bonifiche rappresentino un aspetto assai “caldo” è indubbio: il decreto 91 è il quarto intervento su questo fronte in poco più di un anno. All’inizio del 2013 (governo Monti) l’allora ministro Corrado Clini portò i Sin (Siti di interesse nazionale, ovvero i più inquinati e pericolosi per la salute) da 57 a 39, affidandone 18 alla competenza delle Regioni. «Non hanno le caratteristiche per essere classificati di interesse nazionale» spiegò, lasciando intendere che lì la situazione era meno grave. Peccato che nella lista ci fosse anche la Terra dei fuochi, dove la situazione si è invece rivelata talmente compromessa da richiedere un intervento legislativo ad hoc.
Il decreto del Fare (governo Letta) previde inizialmente che le bonifiche potessero essere compiute “ove economicamente possibile”. Una circostanza già prevista, pochi mesi prima, anche dal decreto Semplificazione di Monti . In entrambi i casi, però, le proteste hanno evitato un simile scenario.
Il “Destinazione Italia”, dal canto suo, in un primo momento prevedeva una sorta di condono, con contributi pubblici erogati anche per finanziare le bonifiche (che devono essere a carico del responsabile dell’inquinamento). E solo in seguito, dopo nuove proteste, i fondi sono stati destinati unicamente alla riconversione industriale. Adesso, da ultimo, l’“Ambiente protetto” del governo Renzi.(L'Espresso)
Disposizioni, quelle relative alle aree militari, che tuttavia non appaiono nel comunicato stampa né nella presentazione concepita dal dicastero dell’Ambiente per illustrare il provvedimento. «È un evidente regalo al ministero della Difesa, che in questo modo potrà evitare di intervenire sui numerosi siti di propria competenza» attacca il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli.
SCARICHI IN MARE
Novità in vista anche per gli scarichi in mare di “solidi sospesi totali”, con cui si indicano le sostanze non disciolte presenti nelle acque di scarico. A essere beneficiata sarà tutta una serie di impianti industriali di grandi dimensioni come acciaierie, centrali elettriche e a carbone, cementifici, raffinerie, ma anche stabilimenti chimici, rigassificatori e inceneritori. “In tal caso - prevede il decreto - le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione”.
Tradotto: più si produce e più alto sarà il quantitativo che potrà essere scaricato in mare rispetto a quanto previsto attualmente dal Codice dell’Ambiente. Un aspetto particolarmente sentito dalle aziende, come mostra la vicenda della Solvay, l’azienda chimica belga che nei mesi scorsi ha patteggiato una multa proprio per aver sforato per anni i limiti imposti allo stabilimento di Rosignano (Livorno).
«È la solita scorciatoia all’italiana, perché il nostro sistema produttivo non vuole pagare quel che dovrebbe per risanare le aree che ha inquinato» commenta Augusto De Sanctis, del Coordinamento nazionale siti contaminati, realtà che raduna una quarantina di comitati e associazioni attive sul tema delle bonifiche. «Si cerca di chiudere “la stagione dei veleni” privatizzando le operazioni per risparmiare. Ma è solo un colpo di spugna vergognoso: alzare i limiti di contaminazione non vuol dire risolvere i problemi ma solo nascondere polvere sotto il tappeto».
CARA BONIFICA
Che le bonifiche rappresentino un aspetto assai “caldo” è indubbio: il decreto 91 è il quarto intervento su questo fronte in poco più di un anno. All’inizio del 2013 (governo Monti) l’allora ministro Corrado Clini portò i Sin (Siti di interesse nazionale, ovvero i più inquinati e pericolosi per la salute) da 57 a 39, affidandone 18 alla competenza delle Regioni. «Non hanno le caratteristiche per essere classificati di interesse nazionale» spiegò, lasciando intendere che lì la situazione era meno grave. Peccato che nella lista ci fosse anche la Terra dei fuochi, dove la situazione si è invece rivelata talmente compromessa da richiedere un intervento legislativo ad hoc.
Il decreto del Fare (governo Letta) previde inizialmente che le bonifiche potessero essere compiute “ove economicamente possibile”. Una circostanza già prevista, pochi mesi prima, anche dal decreto Semplificazione di Monti . In entrambi i casi, però, le proteste hanno evitato un simile scenario.
Il “Destinazione Italia”, dal canto suo, in un primo momento prevedeva una sorta di condono, con contributi pubblici erogati anche per finanziare le bonifiche (che devono essere a carico del responsabile dell’inquinamento). E solo in seguito, dopo nuove proteste, i fondi sono stati destinati unicamente alla riconversione industriale. Adesso, da ultimo, l’“Ambiente protetto” del governo Renzi.(L'Espresso)
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