giovedì 10 luglio 2014

6-0 cappotto!

Pronto nuovo decreto per l'Ilva prestito ponte e sblocco risorse

Il giorno del sesto decreto salva-Ilva potrebbe essere oggi. Alle 10 è stato convocato il Consiglio dei Ministri, per tutta la giornata di ieri si sono susseguiti incontri a Palazzo Chigi per mettere a punto la proposta partorita dal ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi e dal commissario del siderurgico Piero Gnudi (che della Guidi era consigliere fino alla nomina alla guida dell’Ilva). «È tutto pronto» ha detto Gnudi, lasciando ieri sera il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. Ma cosa sia pronto lo si saprà con precisione soltanto stamattina.
Stando ad alcune indiscrezioni, l’esecutivo starebbe lavorando - pur tra mille dubbi espressi dai tecnici della Giustizia e della presidenza del Consiglio - ad una modifica alla legge 89/2013 (quella che nel giugno dell’anno scorso dispose il commissariamento dell’azienda di Taranto) e alla 6/2014 (più nota come Ilva-Terra dei fuochi). Il decreto è imperniato sul riconoscimento della prededucibilità dei crediti, ovvero i finanziamenti che sarebbero garantiti dalle banche (300-350 milioni di euro) per garantire la continuità aziendale, finanziamenti che con la prededucibilità sarebbero i primi a essere pagati in caso di liquidazione dell’attivo. Nel decreto, poi, ci dovrebbero essere la nomina di Edo Ronchi a commissario ambientale, dopo che Ronchi per un anno è stato sub commissario dell’Ilva, e un meccanismo legislativo in grado di far usare alla struttura commissariale il miliardo e 800 milioni sequestrati alla famiglia Riva - per reati valutari e fiscali che nulla c’entrano con i reati ambientali imputati per l’Ilva - dalla Procura di Milano.
Su questo punto, come rivelato ieri dalla «Gazzetta», si è consumata la rottura tra Claudio Riva, divenuto presidente della holding di famiglia dopo la morte del padre Emilio, e il governo, oltre che con il commissario Gnudi. Su questo punto, in realtà, si addensano i dubbi di giuristi e tecnici, ed è uno dei punti fondanti del ricorso presentato al Tar del Lazio da Riva Fire.
Il governo potrebbe intervenire sul meccanismo di reperimento delle risorse per l’Ilva varato dall’esecutivo Letta, che prevedeva prima l’aumento di capitale destinato agli azionisti (appunto, i Riva), poi in caso di mancata sottoscrizione la ricerca di nuovi soci; quindi, l’utilizzo dei soldi bloccati a Milano. Ora, invece, si punta a utilizzare subito i milioni sequestrati a Milano, prescidendo dall’aumento di capitale. Una vera e propria dichiarazione di guerra contro la famiglia Riva, oltre che un azzardo giuridico - chissà quanto calcolato - perché sarebbero usati soldi sequestrati in assenza di una condanna non solo definitiva, ma perfino di primo grado. Un unicum nella procedura penale italiana.
Sullo sfondo, quasi come fosse una questione minimale, resta il sequestro degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva, sequestro attenuato dalla facoltà d’uso concessa dal governo Letta nel dicembre del 2012 ma sequestro pur sempre finalizzato alla confisca in caso di condanna degli imputati nel processo «Ambiente svenduto» pendente dinanzi al gup del tribunale di Taranto.
Quel sequestro - contro il quale la famiglia Riva misteriosamente non fece ricorso in Cassazione, facendolo così diventare definitivo - ipoteca il futuro della fabbrica di Taranto e ovviamente vieta ogni possibile cambio di proprietà. Non solo. Quel sequestro viene attentamente monitorato dal gip Patrizia Todisco, firmataria del provvedimento, come dimostrano i recenti accessi effettuati dai custodi giudiziari guidati dall’ing. Barbara Valenzano.
Perché se la questione finanziaria resta prioritaria, perfino la Consulta, pur bocciando il ricorso presentato dalla Procura di Taranto, disse, un anno fa, che senza il rispetto delle prescrizioni ambientali quegli impianti vanno chiusi. E forse proprio temendo la stretta della magistratura, i legali di Gnudi hanno chiesto al gip Patrizia Todisco di poter essere avvisati in anticipo delle ispezioni.

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