martedì 2 settembre 2008

Chi è Emilio Riva?

Lo leggiamo on-line:

...Emilio Riva E’ il re italiano dell’acciaio. Non è sconosciuto alla giustizia, che lo ha condannato per il reato di inquinamento della Ilva Siderurgica prima a Genova e ora a Taranto. Inoltre nel 2006 veniva riconosciuto colpevole di frode processuale e tentata violenza privata nei confronti di numerosi dipendenti di Taranto. Pene mai scontate grazie ai vari indulti e sconti. Il suo metodo di lavoro è la privatizzazione dei guadagni e la socializzazione delle perdite: In una lettera al Governo del 14 dicembre Emilio Riva avverte che l'eventuale riduzione delle emissioni di anidride carbonica comporterebbe "la necessità di fermare parte significativa degli impianti in uso. Il personale - afferma - colpito da tali riduzioni non potrebbe essere inferiore, anche nell'ipotesi più conservativa, alle quattromila unità"... (fonte politicamentecorretto)

... Per il Corriere della Sera la vicenda umana ed industriale di Riva è sembrata incarnare il sogno americano di chi, iniziando col raccogliere ferro nella metà degli anni 50 per le varie fonderie della sua terra, è diventato oggi uno dei primi dieci produttori mondiali del settore, vantando tra i suoi primati, di cui va oltremodo orgoglioso, un prodotto per dipendente pari a 410 mila euro. I salari dei suoi operai sono infatti i più bassi d'Europa ed incidono molto meno del 20% sui costi generali dell'azienda, mentre i livelli di inquinamento ambientale sono i più alti ed in gran parte fuori dai limiti imposti dalle leggi continentali. Queste due condizioni, fondamentali per la sua concorrenza vittoriosa in Europa e per i suoi grandi guadagni, sono però un peso per lo Stato e la collettività, costrette ogni anno a pagare, per questa ed altre aziende, multe salate per le varie infrazioni da loro commesse ed una rilevante percentuale del Pil nazionale per malattie professionali, ambientali ed infortuni da esse causate. Perciò tali presupposti vincenti sono costruiti in gran parte dalla nostra città o meglio a nostre spese. Il Cavaliere d'acciaio non sarebbe tale senza l'intervento dello Stato italiano, che prima gli ha regalato l'industria siderurgica nazionale e poi gli ha consentito, con il suo aiuto decisivo, di rimuovere, con prepensionamenti di massa, l'intera maestranza abbassandone i costi, garantendogli livelli alti di inquinamento e consentendogli, quindi, un'originale delocalizzazione dell'impianto siderurgico di Taranto. L'antica cattedrale nel deserto è diventata con Riva una straordinaria macchina di profitto.

Oggi l'industriale, contraddicendo quanto sempre da lui affermato, va oltre l'acciaio e si imbarca nell'avventura, anch'essa garantita dallo Stato, di Alitalia. Un'operazione che segue a ruota lo stravolgimento del testo unico in materia di sicurezza, che prevede meno sanzioni per i datori di impiego, e l'accentramento degli istituti del ministero dell'Ambiente con l'azzeramento di tutte le autorizzazioni a produrre: ambedue manovre fondamentali per il prosieguo dell'attuale modello di attività del manager dell'acciaio. Riva è l'espressione tutta italiana di un capitalismo assistito, storicamente determinatosi nel secolo scorso, ripresentato da un governo che è la manifestazione diretta, come altri mai prima, dei poteri forti dell'economia nostrana. D'altronde come è potuto, l'altro Cavaliere, diventare il quinto uomo più ricco del mondo scalando dieci posizioni della graduatoria nei quindici anni in cui febbrilmente si è affaccendato in politica? Una ascesa che sicuramente in America, ove tanti guardano con interesse ed ammirazione tutto ciò, non sarebbe stata possibile! Lì le leggi sul conflitto di interesse, le norme dell'antitrust e quelle che hanno condannato grandi aziende a colossali risarcimenti di popolazioni danneggiate da danni ambientali, non l'avrebbero permesso. Riva, inoltre, afferma spesso che la politica non gli è mai interessata, ma è stato il primo finanziatore di Forza Italia ed anche, perché le ruote vanno in ogni modo unte, di un ministro del passato governo del centrosinistra. I dati per legge sono resi pubblici ogni anno.

La Repubblica ha parlato dell'Ici non pagata al comune più dissestato d'Italia. Saranno gli enti preposti e la magistratura ad occuparsene, ma nei fatti egli è divenuto, quindici anni fa, proprietario di una fabbrica grande più del doppio della città ed ha, sin dal suo insediamento, modificato, ridotto, accentrato edifici, eliminando persino le strutture che gli operai delle ditte usavano come spogliatoi (basta andare davanti agli ingressi a loro riservati, ancora oggi, per vederne molti entrare ed uscire in tuta e scarpe da lavoro: tanti si spogliano e rivestono nelle loro macchine). Una palazzina, quella del LAF, allora realmente inutile, fu utilizzata per altro scopo, il mobbing, e divenne la più famosa d'Italia. L'organizzazione del lavoro, curata con scrupolo scientifico, è del tipo anni 50, gerarchizzata e supportata da una struttura parallela dispendiosa ma utile agli interessi della proprietà. Le sue società hanno sede al nord ed è lì che le tasse sono pagate.

La vicenda Alitalia, simile in tutto a quella dell'Ilva, ex Italsider, di quindici anni fa, merita, però, una considerazione più generale. In pratica si avvia a terminare con essa il quasi completo disimpegno dello Stato in economia e si realizza il fallimento di quel tentativo di "Programmazione statale dell'economia italiana" che, da sinistra, si cercò di rendere democratica in ottemperanza al dettato costituzionale e che è stata un banco di prova per il ruolo nazionale del movimento operaio degli anni sessanta e settanta. I costi degli investimenti allora furono addossati alla collettività nazionale come oggi lo sono i debiti e le dismissioni: il rischio per il capitalismo nostrano, privo di alcuna dignità, sarebbe stato sempre, in questi casi, nullo. Una vicenda iniziata trenta anni fa con l'Alfa, anch'essa regalata alla famiglia Agnelli, e proseguita con Telecom e Italsider, e destinata forse a ripetersi in futuro con Fincantieri ed altri comparti. Peculiarità tutta italiana è, quindi, questo nostro capitalismo, assistito oggi come nel passato lontano, che usa il Mezzogiorno come territorio da colonizzare e dal quale attingere energie vitali per le imprese del nord, necessario per il mercato nazionale delle merci e dei voti elettorali oltre che per individuare siti ove scaricare rifiuti industriali con la connivenza decisiva di alcuni poteri locali sottomessi e malavitosi. Con il federalismo prospettato o mascherato tutto sarà reso difficile ma anche più chiaro. Si riapre, nei termini in parte solo diversi dal passato ma politicamente simili, una Questione Meridionale che si lega, nel caso di Taranto, a quella ambientale e occupazionale. Un impianto come questo tarantino, sorto, con tutte le storture visibili nel luogo e nella sua dimensione, per lenire l'allora grande arretratezza economica del territorio, può solo essere collocato in un'area economicamente e socialmente depressa (sembra essercene uno simile in un paese orientale). E' stata questa, anche per Taranto, la condizione fondamentale per avere un'area a caldo con un impatto devastante per le persone e le cose. Riva non ha alcun interesse ad interagire con la nostra città, il mercato con le sue regole e la sua convenienza deve determinare tutto; egli ha solo agevolato, ovviamente considerandolo un investimento, assunzioni di giovani dei Tamburi (quartiere a ridosso della grande fabbrica) rispetto agli altri in gran parte provenienti da altri paesi della nostra e di altre province. Lavora, con i suoi fiduciari del luogo, sulla sua immagine di imprenditore vincente atto a garantirci il futuro occupazionale, eppure i nuovi assunti da anni sono precari ed attinti, secondo le sue esigenze, tra coloro che animano l'esercito di riserva del luogo, rigorosamente instabili nel lavoro, di fatto gli indesiderati nei reparti ghetto. Questo ricatto è stato e resta per lui l'arma vincente. Il ruolo decisivo del suo impero lo gioca, però, l'area a caldo di Taranto. Essa rappresenta la fortuna del suo gruppo, il suo punto forte, ma anche quello debole. Infatti una lotta che imponga il rispetto della legalità che ci chiede l'Europa, anche per una leale concorrenza tra i suoi gruppi, il potere determinante delle Istituzioni cittadine e della Regione alla concessione dell'autorizzazione a produrre, le amministrazioni comunali, provinciali e regionali oggi ancora di uguale segno politico, possono determinare la svolta indispensabile. Al cronoprogramma presentato dall'Ilva -una panna montata, l' hanno definito nel convegno- ne va contrapposto uno identico di tipo politico, ma con tempi più brevi visto le imminenti scadenze elettorali. L'area a caldo deve attenersi da subito ai parametri europei, pena la riduzione della marcia degli impianti per rientrarci. Nel 2011 Riva tornerà in possesso di tutti i gas di recupero del ciclo integrale per poterli utilizzare per la sua centrale elettrica o per altre soluzioni in cantiere. Si tratta di un investimento previsto di settecento milioni di euro (pari a quello con cui ha acquistato l'intera siderurgia pubblica), mentre gli scarti industriali nel loro utilizzo otterrebbero, guarda caso, i benefici statali riservati all'uso delle energie alternative. Un grande affare perchè questi sono legati alla produzione di acciaio che si vuole nel futuro sempre più cospicua. E' questa la reale posta in gioco... (fonte aprileonline)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

l'ilva deve chiudere! riva torni da dove è venuto!
prima del tumore ai polmoni con la sua diossina, riva ci ha trasmesso il cancro al cervello.
di chi è la colpa per tutto quello che fà alla popolazione? é dei tarantini che senza dignità sono prigionieri del ricatto ocupazionale, dell'immobilismo, dell'assistenzialismo, del parassitivismo, del passivismo. A che prezzo si fanno calpestare la propria dignità, oltre che avere gli operai trattati come schiavi? tutto ciò a nessun prezzo, riva non paga neanche le tasse. possibile che nel 2008 non ci sia una alternativa all'ilva, e non si possa convertire l'industria dell'acciaio con altri tipi di insediamenti industriali? dal cancro al cervello che riva ci regala, si potrà guarire se ci sarà la volontà. quando i tarantini lo vorranno e saranno degni del loro lontano passato?
è possibile che non si sveglino?
antonello

Anonimo ha detto...

«Nella cordata Alitalia la presenza di Emilio Riva, ottantenne re dell’acciaio italiano, ha destato parecchia sorpresa. Certamente nella sua carriera le frequentazioni con Berlusconi, cene elettorali comprese, non sono mancate.

Forse, però, non bastano i buoni rapporti con il premier per spiegare l’ingresso in Alitalia per uno che, come lui, non ha mai sopportato di dover mediare le proprie scelte con quelle di altri soci. E non ha mai partecipato a nessuna operazione finanziaria. Nelle ultime settimane la maggiore acciaieria del suo gruppo, l’Ilva di Taranto, si è ritrovata però di fronte a un problema la cui soluzione dipenderà dalle decisioni dal governo.

La Regione Puglia ha reso note le rilevazioni sulle emissioni di diossina dello stabilimento. Troppo alte, ha sentenziato il presidente Nichi Vendola, affermando che se non ci saranno investimenti per ridurle non darà il benestare nell’ambito della procedura di autorizzazione ambientale in corso. Il parere della Regione, però, non è vincolante. Il via libera definitivo spetta al governo. E il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo si è già incontrata con i vertici dell’Ilva per rassicurarli.

A Ferragosto la sorpresa: in una lettera agli uffici regionali, il ministero ha contestato la bontà delle misurazioni degli inquinanti. L’Ilva non chiuderà».

L’Espresso