giovedì 28 novembre 2013

La mummia lancia bende (a salve?) contro il padrone

Ilva usata come bancomat – Bondi chiede ai Riva un risarcimento di 500 milioni


Enrico Bondi, commissario straordinario dell’Ilva, ha presentato al Tribunale di Milano una richiesta di risarcimento nei confronti della famiglia Riva, quantificando in quasi 500 milioni di euro le risorse che la società capogruppo, Riva Fire, avrebbe sottratto all’Ilva a partire dalla seconda metà degli anni ’90. La notizia è stata riportata dal Sole 24 Ore. Secondo il commissario nominato dal governo, tramite Riva Fire la famiglia proprietaria dell’acciaieria avrebbe sottratto all’Ilva risorse attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”.
L’accusa è giuridicamente pesante e  infamante -  scrive Paola Bricco sull’inserto Imprese e territori del Sole – per diciassette anni – dal 1995 – l’Ilva è stata usata dai Riva come un bancomat. In linguaggio giuridico Riva Fire – come società – e i Riva – in quanto amministratori della capogruppo e in alcuni casi anche dell’Ilva – avrebbero attuato un esercizio abusivo delle attivita’ di direzione e di coordinamento della controllata che ha come attivita’ principale l’acciaieria di Taranto, violando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. In pratica i Riva avrebbero distolto dall’Ilva soldi veri, che adesso Bondi e i suoi collaboratori quantificano in poco meno di mezzo miliardo di euro, trasferendo negli anni questa cifra in Riva Fire attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”, stipulato fra le due societa’ nel 1999.
L’Ilva, società eminentemente manifatturiera, non disponeva di tutte le competenze, tecniche e nel rapporto con il mercato, per funzionare bene. Dunque, per diciassette anni ha acquisito questi servizi dalla controllante, Riva Fire, pagando dei prezzi che ora vengono ritenuti non corretti. Questo accordo infra-gruppo risulta in continuita’ con un altro contratto, risalente al 1995, anno della privatizzazione con cui l’Iri cedette alla famiglia milanese un pezzo di Italsider. Ieri l’Ilva ha depositato la richiesta di risarcimento nella sezione specializzata in diritto dell’impresa del Tribunale di Milano, guidata dal magistrato Marianna Galiotto. La richiesta e’ stata formulata in via autonoma dall’Ilva nell’ambito di un giudizio civile promosso dalla Valbruna Nederland (la famiglia Amenduni, socia di minoranza di Ilva), che non era per nulla persuasa dei flussi di denaro in uscita dalla controllata verso la capogruppo.
Bondi, assistito dall’avvocato Giuseppe Lombardi e dal professor Lotario Dittrich, muove pesantemente contro i Riva, dopo avere compiuto verifiche sulla non congruita’ dei meccanismi finanziari e industriali congegnati da questi ultimi. E, nel farlo, si appoggia a una relazione tecnica predisposta da PricewaterhouseCoopers Advisory. La richiesta di risarcimento danni viene rivolta a quasi tutto l’albero genealogico dei Riva: Fabio Arturo (latitante in Inghilterra, a Londra il 14 gennaio prossimo l’ultima udienza per l’estradizione), Nicola (ultimo presidente dell’Ilva, prima di Bruno Ferrante), Angelo Massimo, Claudio, Daniele, Emilio Massimo, il fondatore Emilio e il fratello Cesare Federico, per i quali oggi, proprio a Milano, si tiene la prima udienza preliminare per evasione fiscale”. (inchiostroverde)

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