Forse non hanno ascoltato bene o per niente le intercettazioni tra la sindacalista Daniela Fumarola della Cisl tarantina e Archinà (da cui si faceva dettare la linea su come Fim dovesse gestire le elezioni dei delegati sindacali dentro l’Ilva) oppure sebbene consapevoli sono semplicemente indifferenti a ciò che gli succede intorno, o piuttosto sono complici di un sistema di potere che le tante inchieste hanno fino ad oggi svelato.
Alle elezioni per il rinnovo delle Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu)e
dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) dello
stabilimento Ilva di Taranto, gli operai che nel 2010 avevano scelto la Cisl - Fim hanno ribadito, nonostante tutto, il loro voto facendo della Fim il secondo sindacato in Ilva.
La Uilm si conferma invece primo sindacato con 41 seggi seppur con un leggero calo registrato rispetto alle passate elezioni.
La novità è invece rappresentata dall'exploit dell'Usb che ha preso quota e consensi tutto a svantaggio della FIOM. Sfiduciati, o male rappresentati? certo è che gran parte degli operai che un tempo votavano la Fiom oggi sono passati a votare USB. Il sindacato metalmeccanico della CGIL dovrebbe a questo punto porsi una serie di questioni a partire dal segretario della Fiom Cgil di Taranto Rosario Rappa.
Rappa oggi cerca di individuare le ragioni di questa sconfitta considerando "necessario che la Fiom avvii un'ampia riflessione a tutti i livelli
dell'organizzazione, dagli organismi nazionali a quelli territoriali,
coinvolgendo i delegati eletti e gli iscritti, aprendo una fase di
profonda discussione sia nel rapporto con la fabbrica e i lavoratori,
sia con la citta' e la sua popolazione"(Adnkronos).
Se non è riuscita ad avviare un minimo di confronto e dialogo con gli
operai come un sindacato di sinistra avrebbe dovuto fare, la Fiom di Taranto ha
fallito nel rapportarsi con la città. In effetti non lo ha mai fatto. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Hanno votato 9.187 addetti pari 80,61%
degli aventi diritto. La Uilm ha ottenuto 41 seggi (48,80% dei
consensi), la Fim 24 (28,57%), l'Unione sindacale di base 12 seggi
(14,28%), la Fiom 7 seggi (pari ad 8,39%) - corriere del mezzogiorno
"Avevamo ragione, oggi gli oltre 11.000 lavoratori dell'Ilva hanno la
possibilita' di scegliere le proprie rappresentanze sindacali. A chi in
questi giorni ha chiesto, inneggiando alla democrazia, il rinvio delle
elezioni, la risposta e' stata una buona affluenza ai seggi dei
lavoratori Ilva che evidentemente come abbiamo sempre sostenuto hanno
voglia di impegnarsi per il risanamento ambientale, la sicurezza sui
posti di lavoro e le garanzie occupazionali". Lo afferma il
rappresentante legale provinciale dell'Unione sindacale di Base di
Taranto, Francesco Rizzo, a proposito dei risultati delle elezioni delle
Rsu all'Ilva che vedono il sindacato autonomo all'esordio raggiungere
il 20% dei voti.
L'Usb Lavoro Privato, precisa che "l'attuale Rsu, eletta a maggio
2010, e' scaduta da tempo e non puo' essere tollerato un ulteriore
rinvio; dal 2012 il panorama sindacale all'interno dello Stabilimento si
e' profondamente modificato con la presenza ed il consolidamento di
altre organizzazioni sindacali, a cominciare da Usb". Per l'Unione
sindacale di Base c'e' "la necessita' improcrastinabile di ridare la
parola ai lavoratori che hanno il sacrosanto diritto ad eleggere
nuovamente i propri rappresentanti sindacali nello stabilimento, visto
che l'azienda sta attraversando una situazione estremamente difficile a
causa non solo delle vicende giudiziarie ma anche di una dirigenza
responsabile di quanto accaduto ed oggi assolutamente inadeguata; non a
caso, come Usb sin dalla scadenza naturale a maggio 2013 abbiamo
attivato le procedure per il rinnovo della Rsu, riscontrando la
contrarieta' delle altre organizzazioni".
Rizzo ribadisce che la Usb "da sempre si e' opposta ad accordi e
meccanismi elettorali che prevedono la riserva di 1/3 dei seggi alle
organizzazioni sindacali sottoscrittrici dei contratti nazionali e dei
quali, tuttavia, tutte le sigle confederali hanno goduto per circa 20
anni. Cio' detto, riteniamo comunque che non ci si puo' trincerare
dietro aspetti tecnico-procedurali per rimandare 'sine die' un momento
importante di partecipazione diretta dei lavoratori. Pertanto, prendendo
spunto proprio dalle affermazioni della Fiom a sostegno delle proprie
tesi - afferma - chiediamo a Fim e Uilm di formalizzare la propria
rinuncia alla riserva della citata quota del 33% e conseguentemente alla
Fiom di ritirare il ricorso presentato, in modo da sgombrare il campo
da qualsiasi 'sospetto impedimento'. Sarebbe questo un concreto ed
inequivocabile segnale di disponibilita' - conclude rizzo - sicuramente
apprezzato dai lavoratori".(Adnkronos)
sabato 30 novembre 2013
venerdì 29 novembre 2013
Alla corte di "re" Archinà
LE INTERCETTAZIONI. DALL’AMICIZIA CON CLINI ALLE RACCOMANDAZIONI DI VENDOLA: COSÌ FUNZIONAVA IL SISTEMA ILVA
Nessuno può dirsi innocente di fronte ai veleni dell’Ilva. Nel triangolo Taranto- Roma-Milano, tutto e tutti hanno avuto un prezzo. Non necessariamente economico. Tutto e tutti ne sono irrimediabilmente rimasti sporcati e dunque prigionieri. Nei trentuno faldoni di atti e nelle 50mila intercettazioni telefoniche dell’inchiesta della Procura di Taranto depositati in questi giorni e di cui Repubblica è in possesso, è la prova documentale che il Sistema Riva e il capitalismo di relazioni di cui è stato espressione hanno appestato, insieme all’aria, all’acqua, al suolo di Taranto, il tessuto connettivo della politica, della pubblica amministrazione, dei controlli a tutela dell’ambiente e della salute. A Girolamo Archinà, il Rasputin dei Riva, l’ex onnipotente capo delle relazioni esterne Ilva da qualche giorno tornato libero dopo un anno e mezzo di carcere, si sono genuflessi nel tempo segretari di partito, ministri della Repubblica, arcivescovi, sindacalisti, giornalisti. Ascoltarne la voce chioccia al telefono mentre blandisce, lusinga, minaccia i suoi interlocutori, dà la misura di quanto estesa, profonda e antica fosse la rete che ha consentito di collocare l’acciaieria in uno stato di eccezione permanente.
A DESTRA E A SINISTRA
Il cuore e il portafoglio dei Riva battono a destra. Da sempre. Dagli anni 2004-2006. È di 575mila euro il finanziamento a Forza Italia, di 10mila quello a Maurizio Gasparri e di 35mila quello all’ex governatore della Puglia e poi ministro Raffaele Fitto. Uomo cui la famiglia è particolarmente grata per aver ritirato, il giorno prima della (unica) sentenza di condanna, la costituzione di parte civile della Regione nei confronti dell’Ilva, consentendo un risparmio di qualche milione di euro. Ma il capitalismo di relazioni impone di scommettere anche sui cavalli di altra sponda.
«Bersani? Si sentono tutte le settimane», assicura Archinà a chi lo avvisa di un interesse dell’allora segretario del Pd ad un contatto con la famiglia Riva (che per altro ne ha finanziato la campagna elettorale del 2006 con 98 mila euro). Quel Pd, il cui deputato Ludovico Vico eletto a Taranto, è telecomandato come un uomo azienda. E anche con il governatore della Regione, Nichi Vendola, che pure sarà l’unico alla fine a battezzare due leggi contro i fumi dell’Ilva, è un salamelecco di “auguri sinceri” per le feste comandate, attestati di stima. Non solo nella telefonata ormai nota in cui si ghigna della protervia nell’azzittire un giornalista petulante e per la quale Vendola ha fatto pubblicamente ammenda. Ma anche in un’altra conversazione in cui Archinà si offre di fare da “mezzano” per un incontro tra il governatore e l’allora presidente di Confindustria Marcegaglia («Così diamo uno scossone al centro-destra»), cogliendo l’occasione per sollecitare un intervento «caro ai Riva» sulle nomine all’autorità portuale di Taranto. Non esattamente il core business dell’acciaieria.
«Apriamo gli occhi sull’autorità portuale di Taranto», dice Archinà a Vendola. Che risponde: «L’ammiraglio va bene. Non è un ladro. E’ una persona sobria e seria. Siccome è di destra, ho detto al ministro: “È uno vostro, ma è una persona per bene. Niente da eccepire». Ma il problema di Archinà non è «l’ammiraglio». È impedire la nomina di tale Russo, «sponsorizzato dal traditore Michele Conte». «Lei lo sa — insiste con il governatore — che Conte è passato coordinatore cittadino del Pdl?». Vendola conviene: «Michele Conte, mamma mia. Uno raccomandato da tutti. Dalle organizzazioni per la liberazione della Palestina ai gruppi comunisti estremisti. Noi abbiamo il potere di fare bene, ma il ministro ha quello di fare le scelte. Comunque grazie di questa informazione».
“IL NOSTRO AMICO CORRADO”
Non c’è ente locale o ministero dove Archinà e i Riva non possano arrivare. Dovenon si inciampi in «un amico». Come all’Ambiente, dove Corrado Clini, allora direttore generale e futuro ministro del governo Monti, architetto dell’Aia che assicurerà la sopravvivenza dell’acciaieria, viene rappresentato come uomo a disposizione. «Stamattina ho visto per altri motivi il nostro amico Corrado — confida ad Archinà tale Ivo Allegrini del Cnr — Nel casino che adesso praticamente sta investendo il ministero dell’Ambiente, ho praticamente un’opportunità. A Corrado hanno dato la delega che danno pure ad altri direttori generali no! Allora mi ha detto: “Fatemi una nota del casino che sta succedendo giù a Taranto, poiché nel limite del possibile io cerco di rimettere le cose in sesto». Una solerzia che troverebbe spiegazione — per quanto si ascolta in una seconda telefonata tra Allegrini e Archinà — in qualcosa che «sta a cuore a Clini in Brasile» e per la quale «è necessario un passaggio con i Riva».
QUEL LIBRO CON RAVASI
Già, nel Sistema Riva niente si fa per niente. Anche con gli uomini di Chiesa. Come quando don Marco dell’Arcivescovado di Taranto bussa a quattrini per la presentazione di un libro cui presenzierà Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per i Beni culturali. «Su cosa mi devo sbilanciare?», chiede Archinà. «La sponsorizzazione totale costerà 25mila — fa di conto don Marco — E l’impresa Garibaldi ha detto che vuole contribuire per 7-8 mila. Va bene?». Naturalmente va bene. Come vanno bene i sette assegni da 15mila euro l’uno staccati alla Curia e all’Arcivescovo Monsignor Benigno Papa per rendere più liete le feste comandate e far tacere sui veleni dell’acciaieria.
IL RAGAZZO BRUNO DI AVETRANA
Del resto, per i Riva comprarsi le indulgenze sembra facile quasi quanto scegliersi i sindacalisti. E per giunta, Archinà non deve neppure chiedere. «Senti Girolamo — gli spiega al telefono Daniela Fumarola della Cisl — siccome io sto lavorando sul nuovo gruppo dirigente della Fim, mi fai sapere qualcosa rispetto al ragazzo, al delegato nostro alla Rsu, aspetta come si chiama.. quello di Avetrana.. ora mi salta il nome.. un ragazzo bruno con gli occhi neri, è giovane.. Io ce l’ho sempre a mente perché è una cosa che ti devo chiedere e ora mi è sfuggito il suo cognome. Praticamente io devo fornire indicazioni anche alla segreteria nazionale suchi puntare per il dopo Lazzaro».
UN REGALO DI GOVERNO
Non deve sorprendere, allora, che anche dati per politicamente e industrialmente morti, i Riva continuino a incassare i dividendi del loro sistema di relazioni. Ancora oggi e con un nuovo governo. È diventata recentemente legge dello Stato il decreto voluto dai ministro del governo Monti, Balduzzi (sanità) e Clini (Ambiente) sulla valutazione del danno sanitario per i cittadini di Taranto. Norme che, di fatto, di qui al 2017, lasceranno che i cittadini di Taranto, soprattutto gli abitanti del quartiere Tamburi, continuino ad ammalarsi di cancro senza che questo obblighi l’Ilva a modificare il proprio livello di emissioni. Il governo ha infatti accettato di congelare la valutazione del possibile danno sanitario alla popolazione basandosi sulle rilevazioni dei veleni liberati dall’Ilva in questa fase di produzione limitata. Peccato che, già da oggi, l’azienda sia autorizzata ad aumentare la sua produzione fino a 8 milioni di tonnellate di acciaio. Dice Giorgio Assennato, direttore generale dell’Arpa Puglia, «Il Rompicoglioni», come lo aveva battezzato Fabio Riva: «È un omicidio di Stato. Identico, nella sostanza, a quello già autorizzato dal ministro Prestigiacomo nel 2011». Contro la legge, Assennato e la Regione hanno presentato ricorso. E non sono gli unici a pensarla così. Un dirigente del ministero dell’Ambiente, in una recente riunione con l’Arpa, ha riassunto così il senso dell’ultimo regalo ai Riva: «È come quell’uomo che si getta dalla cima di un grattacielo alto cento metri e che, arrivato al sesto piano, dice: “Fino a qui, tutto bene”».(giacomosalerno)
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Ecco il sistema Riva, il capitalismo di relazioni che uccide l'Italia
Nessuno è innocente di fronte ai veleni dell'Ilva. Nel triangolo Taranto-Roma-Milano, tutto e tutti hanno avuto un prezzo. Non necessariamente economico. Tutto e tutti ne sono irrimediabilmente rimasti sporcati e dunque prigionieri. Nei 31 faldoni di atti e nelle 50mila intercettazioni telefoniche dell'inchiesta della Procura di Taranto depositati in questi giorni e di cui Repubblica è in possesso, c'è la prova documentale che il Sistema Riva e il capitalismo di relazioni di cui è stato espressione hanno appestato, insieme all'aria, all'acqua, al suolo di Taranto, il tessuto connettivo della politica, della pubblica amministrazione, dei controlli a tutela dell'ambiente e della salute.giovedì 28 novembre 2013
La mummia lancia bende (a salve?) contro il padrone
Ilva usata come bancomat – Bondi chiede ai Riva un risarcimento di 500 milioni
Enrico Bondi, commissario straordinario dell’Ilva, ha presentato al Tribunale di Milano una richiesta di risarcimento nei confronti della famiglia Riva, quantificando in quasi 500 milioni di euro le risorse che la società capogruppo, Riva Fire, avrebbe sottratto all’Ilva a partire dalla seconda metà degli anni ’90. La notizia è stata riportata dal Sole 24 Ore. Secondo il commissario nominato dal governo, tramite Riva Fire la famiglia proprietaria dell’acciaieria avrebbe sottratto all’Ilva risorse attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”.
“L’accusa è giuridicamente pesante e infamante - scrive Paola Bricco sull’inserto Imprese e territori del Sole – per diciassette anni – dal 1995 – l’Ilva è stata usata dai Riva come un bancomat. In linguaggio giuridico Riva Fire – come società – e i Riva – in quanto amministratori della capogruppo e in alcuni casi anche dell’Ilva – avrebbero attuato un esercizio abusivo delle attivita’ di direzione e di coordinamento della controllata che ha come attivita’ principale l’acciaieria di Taranto, violando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. In pratica i Riva avrebbero distolto dall’Ilva soldi veri, che adesso Bondi e i suoi collaboratori quantificano in poco meno di mezzo miliardo di euro, trasferendo negli anni questa cifra in Riva Fire attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”, stipulato fra le due societa’ nel 1999.
L’Ilva, società eminentemente manifatturiera, non disponeva di tutte le competenze, tecniche e nel rapporto con il mercato, per funzionare bene. Dunque, per diciassette anni ha acquisito questi servizi dalla controllante, Riva Fire, pagando dei prezzi che ora vengono ritenuti non corretti. Questo accordo infra-gruppo risulta in continuita’ con un altro contratto, risalente al 1995, anno della privatizzazione con cui l’Iri cedette alla famiglia milanese un pezzo di Italsider. Ieri l’Ilva ha depositato la richiesta di risarcimento nella sezione specializzata in diritto dell’impresa del Tribunale di Milano, guidata dal magistrato Marianna Galiotto. La richiesta e’ stata formulata in via autonoma dall’Ilva nell’ambito di un giudizio civile promosso dalla Valbruna Nederland (la famiglia Amenduni, socia di minoranza di Ilva), che non era per nulla persuasa dei flussi di denaro in uscita dalla controllata verso la capogruppo.
Bondi, assistito dall’avvocato Giuseppe Lombardi e dal professor Lotario Dittrich, muove pesantemente contro i Riva, dopo avere compiuto verifiche sulla non congruita’ dei meccanismi finanziari e industriali congegnati da questi ultimi. E, nel farlo, si appoggia a una relazione tecnica predisposta da PricewaterhouseCoopers Advisory. La richiesta di risarcimento danni viene rivolta a quasi tutto l’albero genealogico dei Riva: Fabio Arturo (latitante in Inghilterra, a Londra il 14 gennaio prossimo l’ultima udienza per l’estradizione), Nicola (ultimo presidente dell’Ilva, prima di Bruno Ferrante), Angelo Massimo, Claudio, Daniele, Emilio Massimo, il fondatore Emilio e il fratello Cesare Federico, per i quali oggi, proprio a Milano, si tiene la prima udienza preliminare per evasione fiscale”. (inchiostroverde)
Enrico Bondi, commissario straordinario dell’Ilva, ha presentato al Tribunale di Milano una richiesta di risarcimento nei confronti della famiglia Riva, quantificando in quasi 500 milioni di euro le risorse che la società capogruppo, Riva Fire, avrebbe sottratto all’Ilva a partire dalla seconda metà degli anni ’90. La notizia è stata riportata dal Sole 24 Ore. Secondo il commissario nominato dal governo, tramite Riva Fire la famiglia proprietaria dell’acciaieria avrebbe sottratto all’Ilva risorse attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”.
“L’accusa è giuridicamente pesante e infamante - scrive Paola Bricco sull’inserto Imprese e territori del Sole – per diciassette anni – dal 1995 – l’Ilva è stata usata dai Riva come un bancomat. In linguaggio giuridico Riva Fire – come società – e i Riva – in quanto amministratori della capogruppo e in alcuni casi anche dell’Ilva – avrebbero attuato un esercizio abusivo delle attivita’ di direzione e di coordinamento della controllata che ha come attivita’ principale l’acciaieria di Taranto, violando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. In pratica i Riva avrebbero distolto dall’Ilva soldi veri, che adesso Bondi e i suoi collaboratori quantificano in poco meno di mezzo miliardo di euro, trasferendo negli anni questa cifra in Riva Fire attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”, stipulato fra le due societa’ nel 1999.
L’Ilva, società eminentemente manifatturiera, non disponeva di tutte le competenze, tecniche e nel rapporto con il mercato, per funzionare bene. Dunque, per diciassette anni ha acquisito questi servizi dalla controllante, Riva Fire, pagando dei prezzi che ora vengono ritenuti non corretti. Questo accordo infra-gruppo risulta in continuita’ con un altro contratto, risalente al 1995, anno della privatizzazione con cui l’Iri cedette alla famiglia milanese un pezzo di Italsider. Ieri l’Ilva ha depositato la richiesta di risarcimento nella sezione specializzata in diritto dell’impresa del Tribunale di Milano, guidata dal magistrato Marianna Galiotto. La richiesta e’ stata formulata in via autonoma dall’Ilva nell’ambito di un giudizio civile promosso dalla Valbruna Nederland (la famiglia Amenduni, socia di minoranza di Ilva), che non era per nulla persuasa dei flussi di denaro in uscita dalla controllata verso la capogruppo.
Bondi, assistito dall’avvocato Giuseppe Lombardi e dal professor Lotario Dittrich, muove pesantemente contro i Riva, dopo avere compiuto verifiche sulla non congruita’ dei meccanismi finanziari e industriali congegnati da questi ultimi. E, nel farlo, si appoggia a una relazione tecnica predisposta da PricewaterhouseCoopers Advisory. La richiesta di risarcimento danni viene rivolta a quasi tutto l’albero genealogico dei Riva: Fabio Arturo (latitante in Inghilterra, a Londra il 14 gennaio prossimo l’ultima udienza per l’estradizione), Nicola (ultimo presidente dell’Ilva, prima di Bruno Ferrante), Angelo Massimo, Claudio, Daniele, Emilio Massimo, il fondatore Emilio e il fratello Cesare Federico, per i quali oggi, proprio a Milano, si tiene la prima udienza preliminare per evasione fiscale”. (inchiostroverde)
Tempi biblici nonostante la puzza sotto il naso
L’ARPA certifica: la puzza proviene dalla discarica “Vergine”!
E’ stato diffuso,
qualche giorno fa, il monitoraggio dell’ARPA relativo alla discarica per
rifiuti speciali non pericolosi denominata “Vergine S.p.A.” situata a circa due
chilometri dal centro abitato di Lizzano. Il monitoraggio si riferisce al
periodo compreso tra il 17 giugno ed il 23 luglio 2013 ed è stato effettuato
attraverso due centraline poste, una nei pressi della scuola elementare “A.
Frank”, l’altra nei pressi della discarica che hanno monitorato essenzialmente l’acido
solfidrico. I controlli furono chiesti a
gran voce agli inizi del marzo scorso dai genitori degli alunni delle scuole
elementari di Lizzano poiché i cattivi
odori, avvertibili soprattutto durante le ore notturne in tutto il centro
abitato lizzanese che si riteneva
provenissero dalla discarica “Vergine”, si concentravano nelle aule, arrecando
soprattutto nei bambini, evidenti disturbi alla loro salute: bruciore agli
occhi, alla gola, nausea, vomito.
Nacque allora un comitato
spontaneo per la salvaguardia del diritto alla salute, composto dai genitori
degli alunni, da cittadini, dall’Associazione AttivaLizzano. A seguito di ciò, durante
un incontro sul tema che si tenne
nell’aula consiliare di Lizzano, alla presenza del Sindaco Dario Macripò, del
Dirigente scolastico Filippo Coppola, dell’Assessore provinciale all’Ambiente Giampiero
Mancarelli e della Dirigente dell’ARPA Maria Spartera, fu promesso alla
cittadinanza che sarebbe stato effettuato un monitoraggio dell’aria per individuare
la provenienza della puzza.
Il monitoraggio
ha ulteriormente accertato con strumenti scientifici ciò che i nostri nasi e il
buon senso ci avevano sempre suggerito. A Lizzano la puzza c’è, fa male, e
proviene dalla discarica “Vergine S.p.A.”.
I risultati del
monitoraggio rappresentano un importante passo avanti per i cittadini di
Lizzano e mettono in luce, in modo evidente, la faziosità di quanti in questi
anni hanno sostenuto che la puzza provenisse da altre fonti.
Infatti dalla
relazione risulta che: “alla luce delle
osservazioni riportate, si può affermare che i risultati ottenuti confermano le
indicazioni già avute in passato riguardo all’influenza delle attività di
discarica rispetto alle segnalazioni di molestia olfattiva presso l’abitato di
Lizzano”.
E ciò malgrado che: “ in merito ai dati di conferimento dei rifiuti in discarica trasmessi
dal gestore, si è rilevata una riduzione dei quantitativi conferiti
nell’anno 2012 e nei mesi precedenti di alcune tipologie di rifiuti caratterizzati
da un odore "molesto" e che possono liberare nell' aria composti
odorigeni.
Ed inoltre l’ARPA
afferma che: “ le concentrazioni rilevate durante il monitoraggio, e l’odore
associato, sebbene non siano causa di effetti tossici in senso stretto, possono essere responsabili di disturbi
reversibili alla salute e, comunque, di effetti negativi per la qualità della
vita della popolazione esposta”.
A fronte di tali
risultati nessuna istituzione può sottrarsi alle proprie responsabilità e
pertanto chiediamo al Comune di Lizzano, al Comune di Taranto, alla Provincia e
alla Regione Puglia di porre fine all’attività di questo ecomostro.
AttivaLizzano
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Validi tecnici fiduciari dell'Ilva?
...lo spettro di Liberti aleggia sulle eccellenze scientifiche...
Ilva – Assegnato al politecnico di Torino un progetto di verifica della mappatura delle sostanze inquinanti
Il Commissario Straordinario ILVA SpA, nell’alveo delle iniziative aziendali afferenti i temi della Salute Sicurezza e Ambiente per lo Stabilimento di Taranto, ha assegnato al Dipartimento di Ingegneria Ambientale del Politecnico di Torino un’attività di consulenza per la valutazione e dell’aggiornamento del “Piano di Monitoraggio Ambientale”, con lo scopo di revisionare e validare l’attuale mappatura delle sostanze inquinanti collegate alle attività produttive dello Stabilimento. A tale attività farà seguito il progetto di bio-monitoraggio della forza lavoro che sarà affidato ad una primaria struttura sanitaria accreditata a livello nazionale. (Ilva)
Ilva – Assegnato al politecnico di Torino un progetto di verifica della mappatura delle sostanze inquinanti
Il Commissario Straordinario ILVA SpA, nell’alveo delle iniziative aziendali afferenti i temi della Salute Sicurezza e Ambiente per lo Stabilimento di Taranto, ha assegnato al Dipartimento di Ingegneria Ambientale del Politecnico di Torino un’attività di consulenza per la valutazione e dell’aggiornamento del “Piano di Monitoraggio Ambientale”, con lo scopo di revisionare e validare l’attuale mappatura delle sostanze inquinanti collegate alle attività produttive dello Stabilimento. A tale attività farà seguito il progetto di bio-monitoraggio della forza lavoro che sarà affidato ad una primaria struttura sanitaria accreditata a livello nazionale. (Ilva)
Sacri crismi o crimini?
Ilva, commemorazione per operaio morto un anno fa
Giovedì 28 novembre, in occasione del primo anniversario della morte di Francesco Zaccaria, il 29enne operaio dell'Ilva rimasto intrappolato all'interno della cabina di una gru caduta in mare al passaggio di un tornado, si svolgerà una cerimonia commemorativa.
Alle ore 10.15 si muoverà dalla capitaneria di porto un'imbarcazione con
i familiari dell'operaio, accompagnata dall'arcivescovo di Taranto
Filippo Santoro e dal cappellano dell'Ilva, padre Nicola Preziuso.
Raggiunto il luogo in cui cadde la gru, alle ore 10.45, ci sarà la benedizione e il lancio di una corona da parte della famiglia Zaccaria. Il 29enne fu recuperato tre giorni dopo l'incidente dai sommozzatori dei Vigili del fuoco all'interno della cabina della gru, ricoperta da un grosso strato di fango, a 24 metri di profondità.(Rassegna)
Giovedì 28 novembre, in occasione del primo anniversario della morte di Francesco Zaccaria, il 29enne operaio dell'Ilva rimasto intrappolato all'interno della cabina di una gru caduta in mare al passaggio di un tornado, si svolgerà una cerimonia commemorativa.
Raggiunto il luogo in cui cadde la gru, alle ore 10.45, ci sarà la benedizione e il lancio di una corona da parte della famiglia Zaccaria. Il 29enne fu recuperato tre giorni dopo l'incidente dai sommozzatori dei Vigili del fuoco all'interno della cabina della gru, ricoperta da un grosso strato di fango, a 24 metri di profondità.(Rassegna)
mercoledì 27 novembre 2013
Slopping d'autore
27 novembre 2013 - foto di Gioin Uein |
La storia di Alessandro: giovanissimo che gridava "Noi vogliamo aria pulita"
La storia di Alessandro Rebuzzi nell'articolo di Parallelo 41, di Mariateresa Belardo.
Respiro. Vita. Dal primo istante all’ultimo. Respiro. Vita. Come per i battiti del cuore, e per le altre funzioni vitali, diamo per scontato che è così che debba essere, fino a quando non si ascolta una storia di respiro negato, e ci si rende conto che anche il diritto all’aria può essere, a volte, negato.
Ci sono, in diverse parti d’Italia, altre Terre dei fuochi, con problematiche diverse dalle nostre eppure tanto simili nelle conseguenze. A Taranto, per esempio, c’è il più importante stabilimento italiano dell’Ilva, il principale complesso industriale per la produzione di acciaio.
Nel 2012, a carico dei dirigenti dell’Ilva, sono state ipotizzate le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Particolarmente inquinanti le polveri sottili emesse, che fungono da veicolanti dei gas nocivi.
Sempre nel 2012, a Taranto, è morto Alessandro Rebuzzi, il guerriero coraggioso. Alessandro era nato con una malattia genetica grave, la fibrosi cistica. Una malattia che colpisce e danneggia, in particolare, l’apparato respiratorio e digerente; grazie ai progressi realizzati dalla medicina oggi l’aspettativa di vita è arrivata a superare i quarant’anni. Alessandro aveva 16 anni, e la sfortuna di essere nato a Taranto, nei pressi dell’Ilva, per cui respirare l’aria della sua città, e le sue polveri sottili, lo esponeva, continuamente, al rischio di contrarre nuove infezioni per lui letali, e per questo motivo ha avuto bisogno di essere curato con una terapia particolare, che viene effettuata solo in ospedali specializzati del nord Italia.
A scadenza quindicinale, quindi, per sedici anni, è stato curato a Verona, nell’ospedale di Borgo Trento, da un medico contro il quale adesso pende una denuncia penale, che i genitori di Alessandro hanno presentato per presunte gravi negligenze professionali.
Quando ci ha parlato di Alessandro, suo padre, Aurelio Rebuzzi, aveva la voce rotta dal pianto. Un padre coraggio, come le nostre mamme. Noi di Parallelo41 lo abbiamo incontrato durante la presentazione del libro di Pino Aprile, “Il Sud puzza”, quando i comitati ambientalisti di tutto il sud d’Italia si erano riuniti ad Orta di Atella. Aurelio reggeva, in alto, la gigantografia di Alessandro, sulla quale campeggiava la frase “Voglio respirare ad occhi chiusi”.
“La stessa foto – ci racconta Aurelio – è sulla scrivania della dottoressa Anna Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari di Taranto che ha firmato l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo dello stabilimento Ilva”.
Alessandro era un ambientalista convinto, ha lottato, ogni volta che la malattia glielo consentiva, manifestando in prima linea. C’è una foto che lo ritrae durante la manifestazione organizzata davanti al tribunale di Taranto, a sostegno del giudice Todisco, a conclusione dell’ incidente probatorio contro il gruppo Riva, amministratore dell’Ilva. Alessandro era rientrato il giorno prima da Verona, ma davanti alle proteste del padre affinché non si affaticasse, con il sorriso che lo accompagnava sempre aveva risposto: “È la mia battaglia per respirare aria pulita, non posso aspettare che qualcun altro la combatta per me”.
Questa non è una storia di morte, ma una storia di speranza: Alessandro amava ripetere la frase di Papa Giovanni Paolo II “prendete la vostra vita e fatene un capolavoro”. La sua vita, anche se breve, è stata intensa e piena di significato: oggi a Taranto il guerriero coraggioso è un esempio, e il padre sta creando una fondazione per la cura della fibrosi cistica, a cui sarà destinato anche l’eventuale risarcimento a cui sarà condannato il medico che lo curava, per la cui negligenza Alessandro, pur essendo stato ritenuto idoneo, non ha potuto essere sottoposto al trapianto dei polmoni.
Respiro. Vita. Dal primo istante all’ultimo. Respiro. Vita. Come per i battiti del cuore, e per le altre funzioni vitali, diamo per scontato che è così che debba essere, fino a quando non si ascolta una storia di respiro negato, e ci si rende conto che anche il diritto all’aria può essere, a volte, negato.
Ci sono, in diverse parti d’Italia, altre Terre dei fuochi, con problematiche diverse dalle nostre eppure tanto simili nelle conseguenze. A Taranto, per esempio, c’è il più importante stabilimento italiano dell’Ilva, il principale complesso industriale per la produzione di acciaio.
Nel 2012, a carico dei dirigenti dell’Ilva, sono state ipotizzate le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Particolarmente inquinanti le polveri sottili emesse, che fungono da veicolanti dei gas nocivi.
Sempre nel 2012, a Taranto, è morto Alessandro Rebuzzi, il guerriero coraggioso. Alessandro era nato con una malattia genetica grave, la fibrosi cistica. Una malattia che colpisce e danneggia, in particolare, l’apparato respiratorio e digerente; grazie ai progressi realizzati dalla medicina oggi l’aspettativa di vita è arrivata a superare i quarant’anni. Alessandro aveva 16 anni, e la sfortuna di essere nato a Taranto, nei pressi dell’Ilva, per cui respirare l’aria della sua città, e le sue polveri sottili, lo esponeva, continuamente, al rischio di contrarre nuove infezioni per lui letali, e per questo motivo ha avuto bisogno di essere curato con una terapia particolare, che viene effettuata solo in ospedali specializzati del nord Italia.
A scadenza quindicinale, quindi, per sedici anni, è stato curato a Verona, nell’ospedale di Borgo Trento, da un medico contro il quale adesso pende una denuncia penale, che i genitori di Alessandro hanno presentato per presunte gravi negligenze professionali.
Quando ci ha parlato di Alessandro, suo padre, Aurelio Rebuzzi, aveva la voce rotta dal pianto. Un padre coraggio, come le nostre mamme. Noi di Parallelo41 lo abbiamo incontrato durante la presentazione del libro di Pino Aprile, “Il Sud puzza”, quando i comitati ambientalisti di tutto il sud d’Italia si erano riuniti ad Orta di Atella. Aurelio reggeva, in alto, la gigantografia di Alessandro, sulla quale campeggiava la frase “Voglio respirare ad occhi chiusi”.
“La stessa foto – ci racconta Aurelio – è sulla scrivania della dottoressa Anna Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari di Taranto che ha firmato l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo dello stabilimento Ilva”.
Alessandro era un ambientalista convinto, ha lottato, ogni volta che la malattia glielo consentiva, manifestando in prima linea. C’è una foto che lo ritrae durante la manifestazione organizzata davanti al tribunale di Taranto, a sostegno del giudice Todisco, a conclusione dell’ incidente probatorio contro il gruppo Riva, amministratore dell’Ilva. Alessandro era rientrato il giorno prima da Verona, ma davanti alle proteste del padre affinché non si affaticasse, con il sorriso che lo accompagnava sempre aveva risposto: “È la mia battaglia per respirare aria pulita, non posso aspettare che qualcun altro la combatta per me”.
Questa non è una storia di morte, ma una storia di speranza: Alessandro amava ripetere la frase di Papa Giovanni Paolo II “prendete la vostra vita e fatene un capolavoro”. La sua vita, anche se breve, è stata intensa e piena di significato: oggi a Taranto il guerriero coraggioso è un esempio, e il padre sta creando una fondazione per la cura della fibrosi cistica, a cui sarà destinato anche l’eventuale risarcimento a cui sarà condannato il medico che lo curava, per la cui negligenza Alessandro, pur essendo stato ritenuto idoneo, non ha potuto essere sottoposto al trapianto dei polmoni.
martedì 26 novembre 2013
Verde o marrone? Per i sindacati sempre bellissima!
Una gigantesa scatola di acciaio per contenere le polveri dell'Ilva
Ecco i progetti per la copertura dei parchi minerali dell'Ilva di Taranto. Le foto di come saranno le strutture che dovrebbero salvare la popolazione dalle polveri nocive del siderurgico sono state presentate dalla dirigenza dell'Ilva ai segretari territoriali e provinciali di Fim, Fiom e Uilm di Taranto. Un investimento da oltre 100 milioni di euro per i progetti - per la copertura del parco del gruppo Cimolai di Pordenone e per i parchi della loppa (sottoprodotto del ciclo di produzione della ghisa, del valore di 35,8 milioni) assegnato alle aziende Somir (capofila), Semat e Bedeschi - illustrati ai rappresentanti sindacali dai responsabili del personale e delle relazioni istituzionali dell'Ilva, Enrico Martino e Domenico Liurgo, in un incontro svoltosi stamani per fare il punto sullo stato di attuazione dei lavori previsti nell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata all'Ilva nell'ottobre 2012.
"Dalle parole - ha dichiarato il segretario provinciale della Fim Cisl, Mimmo Panarelli - si passa ai fatti. L'azienda ci ha presentato il progetto dei parchi primari con la fotografia dell'opera e il progetto dei parchi della loppa. Inoltre la ditta alla quale sono stati assegnati i lavori per i quattro parchi secondari Omo, Calcare e Agglomerato nord e sud, ha precisato di essere già nelle condizioni di realizzare le opere, ma mancano le autorizzazioni del Comune". Il vero problema, osserva Panarelli, "è quello di velocizzare le autorizzazioni perché il rischio è che si allunghino i tempi per intoppi di natura burocratica".
Per i parchi primari, il gruppo Cimolai "ha scritto nella relazione che, una volta ricevute le autorizzazioni, necessita di 20 mesi per realizzare l'opera". Dall'incontro odierno, riferiscono sempre i sindacati, è emerso che l'Ilva ha chiesto ai ministeri competenti anche pareri e autorizzazioni per l'impatto visivo e ambientale che determina la copertura dei parchi. "Era necessario - spiega il segretario della Fim - perché parliamo di un'opera mastodontica: 700 metri di lunghezza, 264 di larghezza e 80 di altezza".
I dirigenti Ilva Martino e Liurgo, al cui fianco c'erano due ingegneri che si occupano degli interventi previsti dall'Aia, secondo quanto riferiscono i sindacati, non hanno fatto alcun riferimento alla copertura finanziaria. "Problemi - ha concluso Panarelli - non ce ne dovrebbero essere. Il commissario Bondi sta facendo tutto quello che deve fare e il discorso delle risorse è legato al piano industriale che dovrebbe essere presentato entro fine dicembre. Non pongono tanta attenzione alle risorse quanto alle autorizzazioni".
I lavori dovrebbero esaurirsi in poco più di due anni. Il cantiere sarà aperto dopo il rilascio delle autorizzazioni amministrative, che dovrebbero arrivare entro tre mesi. Poi sarà avviata la costruzione della mastodontica copertura nella quale saranno impiegate 33mila tonnellate di acciaio, in larga parte prodotte dallo stesso stabilimento tarantino. Un intervento imponente che si è aggiudicato il gruppo leader a livello mondiale attualmente è impegnato nella realizzazione dell'Hub del World Trade Center, nel raddoppio delle paratie del canale di Panama e nella costruzione dello stadio di Brasilia in vista dei campionati mondiali di calcio. (RepBa)
La commessa – che ottempera alle prescrizioni A.i.a. - è stata assegnata con procedura di gara a Bedeschi spa, Semat srl e Somin srl, raccolte in A.T.I.
ILVA annuncia che in data odierna è stato assegnato l’incarico per la costruzione della copertura del parco loppa – sottoprodotto del ciclo di produzione della ghisa – situato all'interno dello stabilimento di Taranto. La realizzazione dell’opera avviene in ottemperanza alle prescrizioni previste dall'Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.).
La commessa, del valore di 35,8 milioni di euro, è stata assegnata tramite una procedura di gara avviata dal Commissario Straordinario dell’ILVA. Le società aggiudicatrici sono la Bedeschi S.p.A., la Semat S.r.l. e la Somin S.r.l. che si sono raccolte in Associazione Temporanea d’Impresa (A.T.I.) per partecipare alla realizzazione del progetto. Le tre aziende sono società con grande esperienza, anche a livello internazionale, rispettivamente nel settore della costruzione di macchinari per la movimentazione di materiali, di opere edili complesse e di attrezzature meccaniche e strutture metalliche.
Oltre alla copertura, le aziende forniranno anche i servizi ausiliari e le macchine di movimentazione che permettono lo spostamento della loppa. La loppa d’altoforno viene stoccata nel parco per essere poi rivenduta da ILVA alle industrie del cemento, grazie alla possibilità del prodotto di essere impiegato in campo edilizio.
La copertura del parco avrà dimensioni di 280 metri di lunghezza, 98 metri di larghezza e un’altezza di circa 35 metri. Il deposito si estenderà quindi su una superficie di oltre 26.000 mq per una capacità di accumulo di 230.000 tonnellate.
I lavori avranno inizio una volta ricevute le necessarie autorizzazioni amministrative.
Con il conferimento di questo incarico, sono stati assegnati gli ordini per 7 su 8 dei parchi coperti da realizzare: Omogeneizzato, Agglomerato Sud e Nord, Calcare 1 e 2, Minerale, Loppa. Per quanto riguarda il parco Fossili/coke il progetto è in fase di stesura avanzata. (Manduriaoggi)
PeaceLink e Fondo Antidiossina informano le istituzioni EU della grave situazione attuale di Taranto
Antonia Battaglia, Alessandro Marescotti, Fabio Matacchiera (Peacelink e Fondo Antidiossina)
Antonia Battaglia, Alessandro Marescotti, Fabio Matacchiera (Peacelink e Fondo Antidiossina)
PeaceLink e Fondo Antidiossina informano le istituzioni EU della grave situazione attuale di Taranto
in allegato foto e video
video: http://youtu.be/3kX5xH4jYag (link)In relazioni agli ultimi preoccupanti eventi di questi ultimi giorni, PeaceLink e Fondo Antidiossina hanno comunicato stamane alla Commissione Europea ed al Parlamento Europeo che la situazione all'ILVA di Taranto e di conseguenza in città resta particolarmente grave.
PeaceLink e Fondo Antidiossina invitano le autorità italiane a prendere posizione rispetto a questi eventi fuori norma e preoccupanti, in particolare il Ministero della Salute il cui silenzio, in una vicenda che tocca direttamente la salute di tutti i cittadini di Taranto, rimane inspiegabile.
Invitiamo inoltre le istituzioni europee a considerare la piena gravità degli eventi che continuano a susseguirsi a Taranto e di cui cittadini e lavoratori pagano direttamente pesantissime conseguenze sulla propria salute.
Tavoli coperti di polveri
Ilva: incontri a Roma su nuova legge, a Taranto azienda-sindacati
Doppio incontro oggi sull'Ilva a Roma e a Taranto. Nella capitale, alla presidenza del Consiglio, ci sara' un confronto tra gestione commissariale dell'Ilva ed esponenti di Palazzo Chigi e dei ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico sul testo della nuova legge sulla quale si e' cominciato a lavorare gia' giovedi' scorso. L'incontro dovrebbe essere conclusivo in vista del varo del provvedimento da parte del Consiglio dei ministri. A Taranto, invece, l'azienda incontra i sindacati metalmeccanici per un punto aggiornato sullo stato di avanzamento dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia).
Soluzione quasi definita su bonifica e procedure di Valutazione di impatto ambientale, sono ancora da perfezionare, invece, sulla gestione del periodo transitorio e sull'uso nel risanamento dello stabilimento dei soldi che la magistratura ha sequestrato nei mesi scorsi al gruppo Riva nell'ambito dell'inchiesta giudiziaria per disastro ambientale: si presenta cosi' il "cantiere" della nuova legge per l'Ilva a pochi giorni dall'avvio, dopo che il commissario dell'azienda Enrico Bondi e il sub commissario Edo Ronchi hanno sollecitato il Governo a intervenire per rimuovere una serie di criticita' persistenti, paventando, in caso contrario, le loro dimissioni dall'incarico. Sia per la bonifica sia per la Valutazione di impatto ambientale, il percorso tracciato dal nuovo provvedimento riduce tempi e procedure e cosi' anche per i permessi edilizi che spettano agli enti locali. In particolare, per la Valutazione di impatto ambientale che andra' rilasciata per la copertura dei parchi minerali grandi, i tempi sono stati "compattati" da 120 a 90 giorni. Per i parchi minerali piccoli, invece, il ministero dell'Ambiente starebbe per escludere l'assoggettabilita' alla Via. A richiedere quest'ultima pronuncia e' stato il Comune di Taranto, il quale ha gia' avuto modo di esaminare la copertura dei parchi minori nelle conferenze di servizio svoltasi il 18 settembre e il 30 ottobre.
Inoltre, per la gestione del periodo transitorio, partendo da quanto afferma la legge 89/2013 sul commissariamento che parla di "progressiva" adozione dell'Aia sino all'adozione del piano ambientale e del successivo piano industriale, si fisserebbe un valore percentuale sul quale far misurare all'Ispra, delegato ai controlli, lo stato di avanzamento e di attuazione delle prescrizioni.
Infine l'incontro di oggi alle 11 tra sindacati metalmeccanici e Ilva a Taranto rientra nel ciclo dei confronti periodici che le parti hanno sull'Aia. L'azienda presentera' gli ultimi lavori cantierizzati nonche' l'acquisto delle ultime attrezzature tra cui i nuovi filtri, per un costo complessivo di 60 milioni di euro, per l'ulteriore abbattimento della diossina dai camini della fabbrica. (AGI).
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Ilva, il governo tratta coi russi arriva il decreto salva-acciaio
Arriva il decreto salva Ilva e forse arrivano anche i russi. A 24 ore dal ritorno in libertà dell'ex capo delle relazioni istituzionali del siderurgico, Girolamo Archinà, le novità per il gigante tarantino oggi potrebbero giungere da due fronti: Roma e Trieste. Mentre nella capitale si deciderà sul decreto salva Ilva, nel capoluogo friulano prenderà il via il vertice intergovernativo Italia-Russia, alla presenza del presidente Vladimir Putin. In questa sede si capirà se esiste un concreto interesse russo a investire nell'Ilva, così come presagito dal consigliere per gli affari economici e internazionali del presidente del Consiglio, Fabrizio Pagani. Nei giorni scorsi era stato il presidente della commissione bilancio, Francesco Boccia, ad auspicare l'aiuto delle banche russe su Taranto.
Ma quello di oggi potrebbe essere il giorno decisivo anche per l'accordo sul nuovo decreto salva Ilva, il quarto dall'inizio dei guai giudiziari per il gigante del siderurgico. I tecnici e i dirigenti della presidenza del Consiglio e dei ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico si sono ritrovati ieri mattina insieme ai commissari dell'Ilva per valutare la messa a punto della nuova legge. Tre gli obiettivi principali che dovrebbero essere contenuti nel decreto Salva Ilva: accelerare le procedure di autorizzazione degli enti locali per i lavori di risanamento attraverso la creazione di una commissione unica per il rilascio delle pratiche, sbloccare l'uso dei soldi sequestrati al gruppo Riva (circa un miliardo di euro) nella bonifica ed evitare di accollare sulla gestione dei commissari, subentrati nel giugno scorso ai privati, le sanzioni amministrative relative ai ritardi dei Riva. L'accordo sul provvedimento è questione di ore.
Entro domani la legge, un decreto o un emendamento, potrebbe andare al vaglio del Consiglio dei ministri. Intanto non si placano le polemiche dopo la diffusione di un nuovo video sulle emissioni di fumo causate da un incendio all'interno della fabbrica. Peacelink e Fondo Antidiossina invitano le autorità italiane "a prendere posizione rispetto a questi eventi fuori norma e preoccupanti". (RepBa)
lunedì 25 novembre 2013
Passaggio di cetrioli...
Cassa depositi e prestiti «Pronti a bonifica Ilva ma solo se colpevoli»
«La gestione pubblica dell’Ilva è terminata nell’aprile del 1995, dunque va esclusa una responsabilità della gestione Iri per il disastro ambientale in corso nella città». La Cassa Depositi e Prestiti, azionista unica di Fintecna, società che ha ereditato funzioni e oneri del gruppo Iri, scrive alla Gazzetta per replicare alla lettera del commissario straordinario dell’Ilva Enrico Bondi sull’enorme discarica abusiva, per oltre 300mila tonnellate di rifiuti speciali, anche pericolosi, ubicata nell’area nord dello stabilimento siderurgico, in località Leucaspide.Bondi lo scorso 8 novembre ha scritto al ministero dell’Am - biente, all’Ispra, all’Arpa e alla Procura della Repubblica, segnalando la «contaminazione riscontrata in alcuni campioni di suolo relativi a un’area definita durante le attività di approfondimento analitico sviluppate per l’analisi di rischio sito-specifica» e che «è stata rilevata la presenza di rifiuti per una profondità di circa 10 metri e l’estensione di circa 3 ettari, in un’area incolta con presenza di numerosi alberi, posta al confine nord delle aree di proprietà, prossima alla gravina Leucaspide nel territorio del Comune di Statte». Fatta la segnalazione, Bondi si è tirato fuori da ogni e qualsiasi responsabilità, e con lui anche tutta la famiglia Riva, scrivendo che «tale area, mai utilizzata da Ilva spa dal subentro alla gestione Iri (colosso di Stato poi smantellato) nel 1995, risulta invece essere stata esclusivamente dell’Iri dal 1970». Il commissario straordinario fa riferimento, in particolare, alla clausola di garanzia ambientale contenuta nel contratto con il quale la famiglia Riva acquisì l’I l va dall’Iri, aggiungendo di aver scritto a Fintecnica, società che ha ereditato gli oneri del’Iri, sollecitando l’interven - to di tale società riguardo la responsabilità della realizzazione e dei costi della bonifica. Fintecna fu costituita il 16 luglio 1993 con il compito di ristrutturare le attività dei settori delle costruzioni, dell'ingegneria civile e impiantistica facenti capo all’Iri ed è controllata al 100% da Cassa Depositi e Prestiti la quale è a sua volta controllata con una partecipazione del 70% dal Ministero dell'Economia mentre il restante 30% è posseduto da un nutrito gruppo di fondazioni di origine bancaria. «La consapevolezza che i danni non possono che essere riconducibili al perdurante esercizio da parte del gruppo Riva dell’attività industriale nel sito di Taranto, ha indotto Fintecna - scrive Cassa Depositi e Prestiti alla Gazzetta - a contestare la richiesta da parte di Ilva e della controllante Riva Fire spa di una manleva da richieste di risarcimento provenienti da soggetti terzi». Nello specifico, «per quanto riguarda in particolare l’a re a sita nel Comune di Statte di 530mila metri quadri, a fronte di una richiesta, sia pur tardiva (gennaio 2011), da parte di Ilva di retrocessione in quanto - come già evidenziato da parte della stessa Ilva - area da un lato di “sospetta contaminazione storica”, dall’altro “margi - nale e contermine all’at t u a l e conformazione del sito siderurgico di Taranto…” Fintecna ha manifestato già nel novembre 2011 la propria disponibilità alla bonifica del sito con manleva dei relativi oneri. Il tutto – ovviamente – dopo verifica che il sito non sia stato utilizzato dal Gruppo Riva successivamente alla sottoscrizione del contratto del 16.3.1995. Questa disponibilità trova capienza nei fondi costituiti presso Fintecna». Cassa Depositi e Prestiti, insomma, si dice pronta a far fronte agli oneri necessari per bonificare l’area in questione ma prima dovrà essere provata l’estraneità del gruppo Riva. Una mano chiarificatrice potrebbe giungere dal ministro per l’Ambiente Andrea Orlando a cui l’altro giorno ha scritto l’ex assessore provinciale Giampiero Mancarelli, suo collega di partito (Pd), per sollecitare un intervento da parte del ministero e delle sue strutture ispettive allo scopo di accertare la quantità di rifiuti smaltiti illegamente, la loro qualità e se vi siano in corso pericoli attuali di inquinamento della falda. (GdM)
Mastino a spasso
Ilva, scadono termini di custodia Girolamo Archinà torna libero
Il gip del Tribunale di Taranto ha rimesso in libertà l'ex responsabile Rapporti istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà, per il quale domani scadevano i termini di custodia cautelare. Archinà, uno dei principali indagati nell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell'Ilva, era stato arrestato il 26 novembre 2012 finendo in carcere ed era agli arresti domiciliari. E' accusato di associazione per delinquere, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzione in atti giudiziari e altri reati. (Rep)
domenica 24 novembre 2013
Ricchi e tristi da far pena!
Ilva, Fabio Riva: il gip Todisco? Il peggio che poteva capitarci
Stralci di telefonate di Fabio Riva, il vicepresidente di Riva Fire latitante a Londra dal 26 novembre del 2012, da quando cioè i militari delle Fiamme Gialle bussarono - inutilmente - alla sua abitazione milanese per notificargli una ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, al falso, all’abuso d’ufficio e alla corruzione.
Intercettato dai finanzieri del gruppo di Taranto dal 13 aprile del 2010 al 9 novembre dello stesso anno, Fabio Riva riempie il relativo brogliaccio con 8392 file tra telefonate e sms. Gli unici due politici con i quali dialoga spesso sono il deputato Pdl Pietro Franzoso (scomparso tragicamente due anni fa) e il presidente della Provincia Gianni Florido (Pd), indagato per concussione nell’inchiesta «Ambiente svenduto» in quanto avrebbe fatto pressioni su due dirigenti dell’ente per convincerli, non riuscendoci, ad autorizzare due discariche chieste dall’Ilva, gli stessi impianti per i quali peraltro è giunto nelle settimane scorse il via libera del Governo Letta prima e del Parlamento poi.
Con il governatore Nichi Vendola, anch’egli destinatario dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dalla Procura di Taranto, Fabio Riva scambia solo due innocui sms il 21 luglio del 2010, a ridosso di una riunione tecnica convocata a Roma, sms con i quali Fabio Riva chiede al governatore di potergli parlare, dopo aver provato inutilmente a telefonargli, ottenendo per risposta un rinvio di 24 ore. Il vicepresidente di Riva Fire dialoga, invece, spesso al telefono con altri tre indagati dell’inchiesta sul disastro ambientale: l’avvocato amministrativista Fabio Perli, il responsabile delle pubbliche relazioni Girolamo Archinà e il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso.
Il periodo di fuoco è quello che parte da giugno 2010, con la notifica della richiesta di incidente probatorio sulle emissioni del siderurgico, l’inizio della fine per la gestione Riva. La notifica giunge nei giorni resi complicati dall’emergenza benzoapirene, il potente cancerogeno sprigionato dalle cokerie dell’Ilva che viene rilevato in quantità oltre la norme al quartiere Tamburi, una emergenza superata il 13 agosto di quell’anno, con un decreto del governo Berlusconi che spostò al 2013 il termine imposto alle aziende per ridurre le emissioni di benzoapirene.(GdM)
sabato 23 novembre 2013
Bondi il genio: spacca e appioppa!
Comito: “Tagliare l’Ilva per svenderla la ricetta (sbagliata) di Bondi”
Un’Ilva
più piccola, su misura dei gruppi imprenditoriali interessati ad
acquistarla alla scadenza del commissariamento – alcuni dei quali già si
sono fatti avanti. Questo è lo sbocco che Vincenzo Comito, docente di
Finanza Aziendale all’Università di Urbino, intravede come esito della
strategia di Bondi e dei suoi referenti politici. Di recente Comito ha
curato (insieme a Riccardo Colombo) il più completo studio economico
realizzato finora su Ilva e gruppo Riva (L’Ilva di Taranto e cosa farne,
Edizioni dell’Asino, 2013). Con lui abbiamo voluto scandagliare le
prospettive (e i rischi) che si aprono di fronte al più grande gruppo
siderurgico del paese, allo stabilimento di Taranto e ai suoi
lavoratori.
Per il risanamento dello stabilimento di Taranto occorreranno diversi miliardi. Al momento
pare che in buona parte saranno attinti attraverso l’accensione di
nuovi prestiti. Come lei e Colombo avete rilevato, tuttavia, questo
rischia di provocare l’esplosione dell’indebitamento della società. La
strategia perseguita da Bondi è sostenibile?
La domanda è più complessa di quanto
sembri. Partiamo dal punto fondamentale: quanti soldi servono per il
risanamento ambientale? Nella nostra stima si parlava di 3,5/4 miliardi
di Euro, prospettando il risanamento dello stabilimento così com’è,
senza una significativa contrazione di capacità produttiva. Adesso
sembra che Bondi stia lavorando a un’operazione del tutto diversa: lui
stima la ristrutturazione ambientale in 1,5/1,8 miliardi di Euro.
Secondo noi perché ha in mente un sostanziale ridimensionamento dello
stabilimento. A questo ridimensionamento è collegato l’interesse che
sembrano manifestare alcuni imprenditori italiani che non avrebbero le
risorse per rilevare l’Ilva così com’è, né per finanziare i costi del
risanamento. Ma ridimensionando l’Ilva noi come Italia ridimensioniamo
la nostra presenza nel settore e rischiamo di scomparire in un mercato
nel quale vanno affermandosi grandi complessi mondiali.
A questo proposito, nelle scorse
settimane si è affacciata l’ipotesi di una cordata di imprenditori
italiani disposti ad acquisire Ilva alla fine del periodo di
commissariamento. Se ne è fatto promotore, dalle colonne di Repubblica,
Beniamino Gavio e la prospettiva è stata rilanciata dal segretario
generale della UILM, Rocco Palombella [Corriere del Giorno, 21/11/2013,
p. 7]. La ritiene un’ipotesi credibile?
Gavio come imprenditore del settore
siderurgico non lo vedo assolutamente. Siamo sempre nel film già visto
dei “capitani coraggiosi”, che sappiamo come finisce. Si era parlato
anche di qualche imprenditore italiano dell’acciaio, ma il punto è
sempre lo stesso: l’affare potrebbe andare in porto solo se Ilva avesse
una scala ridotta rispetto a quella attuale. Per acquisire e gestire
Ilva così com’è ci vorrebbero infatti tali risorse finanziarie e
manageriali e un tale potere di mercato che oggi in Italia più nessuno è
in grado di garantire.
Lei invece quale opzione propone?
Una parziale nazionalizzazione
dell’azienda – e nella sostanza ci siamo, per via dei sequestri ordinati
dalla Magistratura –, che dovrebbe essere l’antefatto per la ricerca di
un grande partner straniero – presumibilmente asiatico – in grado di
dare una prospettiva globale a Ilva, tutelando i livelli occupazionali e
la permanenza degli impianti. In Francia in questo momento si sta
parlando di una soluzione analoga per la Peugeot: nel capitale della
società entrerebbe al 30% lo Stato francese e al 30% un’azienda cinese
del settore. E’ esattamente questo il modello che suggerisco per Ilva.
Quando si parla di nazionalizzazione
in genere si deve far fronte con due ordini di obiezioni: 1) lo Stato
non ha le risorse; 2) l’Europa non lo permetterebbe. Si può rispondere a
tali questioni?
Anzitutto, l’azienda ha subito il
sequestro di buona parte degli impianti e di 8 miliardi di Euro. Non so
dal punto di vista giuridico come si possa passare alla confisca, ma
sostanzialmente Ilva potrebbe essere già dello Stato. Per quanto
riguarda gli investimenti, non è vero che non ci sono risorse: questo è
il solito alibi per non fare cose necessarie. Le risorse per cancellare
l’IMU invece le hanno trovate. Lo Stato potrebbe agire sia direttamente,
tramite il bilancio pubblico, sia attraverso Cassa Depositi e Prestiti.
Riguardo all’Europa, non c’è nessuna direttiva che impedisca di avere
imprese pubbliche. Di sicuro ci sarebbero burocrati di Bruxelles che non
la prenderebbero bene, ma l’esito della partita dipenderebbe dal modo
in cui i nostri rappresentanti li affronterebbero.
Qualche giorno fa l’ASSOFERMET, associazione dei commercianti di prodotti siderurgici, ha dichiarato
che, se Taranto chiudesse, si avrebbe un significativo rincaro dei
prezzi di quei beni. Tale affermazione richiama l’annosa questione della
sovracapacità produttiva che affligge la siderurgia a livello globale.
Alla luce di questo ci si potrebbe domandare: c’è ancora posto per Ilva
nel mercato dell’acciaio?
Il mercato non è un’entità astratta. Lo
spazio ce lo si conquista con le risorse manageriali e finanziarie, con
la capacità di fare investimenti e di costruire rapporti con i
consumatori. Il mercato siderurgico sicuramente sta attraversando una
fase molto critica, ma ci sono sempre spazi per chi è capace. Bisogna
poi sgomberare il campo da un altro mito: che la siderurgia sia un
settore da paesi del terzo mondo. Basti guardare al caso della Germania,
che continua ad essere il primo produttore europeo: le sue imprese –
Thyssen Krupp su tutte – conservano quote di mercato importanti. Di
contro, la siderurgia italiana – a causa delle crisi che hanno investito
Taranto, Piombino, Terni e altre realtà minori – rischia di scomparire. (Siderlandia)
Sweet in the dust!
All'ombra dell'Ilva il concorso mondiale del miele bio
Torna il Premio internazionale BiolMiel, riservato ai migliori mieli biologici. La settima edizione del concorso - dopo le precedenti svoltesi in Sicilia, in Calabria, in Argentina e in Emilia Romagna - approda in Puglia, dal 5 al 7 dicembre a Bari e Taranto.
Organizzato da CiBI - Consorzio Italiano per il Biologico e dal Cra-Api, il Centro di ricerca e divulgazione sull'apicoltura, il BiolMiel (www.biolmiel.it) prevede nei primi due giorni gli assaggi e le valutazioni, a Bari, in Camera di Commercio, da parte della giuria costituita da esperti di vari Paesi europei (dall'Italia alla Spagna, dalla Germania alla Croazia e alla Slovenia).
Conclusione sabato 7 a Taranto, all'Oratorio Murialdo del rione Tamburi: oggi quartiere emblema della lotta ambientale, quaranta anni fa al centro di un'area fortemente vocata all'apicoltura. Nella masseria Lariccia, a pochi metri dall'oratorio, padre Nicola Prezioso del Cem Murialdo, in prima linea per la difesa dei valori etici e ambientali del territorio, evidenzia ad esempio l'esistenza di un antico torchio utilizzato per l'estrazione del miele dai favi.
Torna il Premio internazionale BiolMiel, riservato ai migliori mieli biologici. La settima edizione del concorso - dopo le precedenti svoltesi in Sicilia, in Calabria, in Argentina e in Emilia Romagna - approda in Puglia, dal 5 al 7 dicembre a Bari e Taranto.
Organizzato da CiBI - Consorzio Italiano per il Biologico e dal Cra-Api, il Centro di ricerca e divulgazione sull'apicoltura, il BiolMiel (www.biolmiel.it) prevede nei primi due giorni gli assaggi e le valutazioni, a Bari, in Camera di Commercio, da parte della giuria costituita da esperti di vari Paesi europei (dall'Italia alla Spagna, dalla Germania alla Croazia e alla Slovenia).
Conclusione sabato 7 a Taranto, all'Oratorio Murialdo del rione Tamburi: oggi quartiere emblema della lotta ambientale, quaranta anni fa al centro di un'area fortemente vocata all'apicoltura. Nella masseria Lariccia, a pochi metri dall'oratorio, padre Nicola Prezioso del Cem Murialdo, in prima linea per la difesa dei valori etici e ambientali del territorio, evidenzia ad esempio l'esistenza di un antico torchio utilizzato per l'estrazione del miele dai favi.
Niente sconti! E ricorso contro il Decreto bis!
Pessimo titolista: l'articolo dice il contrario!
«Rimodulare i tempi dell’Autorizzazione integrata ambientale e pensare a ulteriori adeguamenti non previsti dall’Aia». A sorpresa, ma non troppo, alza il tiro il sub-commissario dell’Ilva Edo Ronchi soffermandosi sul disperato bisogno di tempo dello stabilimento siderurgico per tenere insieme ambiente, salute e lavoro. Non è facile il cammino della nuova legge per tirar fuori le acciaierie dalla strettoia creatasi con i ritardi nei lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. Ad ammettere le difficoltà formali (e sostanziali) lo stesso Ronchi, ieri al lavoro con i tecnici del ministero dell’Ambiente nella ricerca del percorso normativo più idoneo a incardinare le regole in fase di elaborazione.
Se l’esigenza prioritaria è «rimodulare i tempi dell’Autorizzazione integrata ambientale» occorre un provvedimento «forte». Almeno così fa capire il sub-commissario dell’Ilva. Tuttavia questo appare «piuttosto complesso» nel suo confezionamento. «Con procedure ordinarie non è possibile - sottolinea Ronchi - rispettare i tempi». Una dichiarazione che fa riferimento all’Aia, ma con un pizzico di malizia, potrebbe sovrapporsi a quella sulla complessità della nascente legge (o decreto che sia). Un nuovo testo legislativo, l’ennesimo, con carattere d’urgenza, per consentire all’Ilva di procedere speditamente e recuperare il tempo perduto nella ristrutturazione degli impianti.
L’esigenza di tempi «supplementari» per l’Aia, non è stata manifestata dallo stesso Ronchi, insieme al commissario straordinario Enrico Bondi, con la stessa nettezza giovedì scorso, durante la riunione a Palazzo Chigi insieme ai rappresentanti del governo. «Nel commissariamento - ricorda il sub-commissario dopo il vertice ministeriale di ieri - ci sono due direttrici: la continuità produttiva e il risanamento ambientale; entrambe devono essere garantiti ». Confermato il ragionamento portato all’attenzione della presidenza del Consiglio, ma ieri è spuntata la postilla della richiesta di proroga all’Autorizzazione integrata ambientale (ora oggetto, da più parti, di molti ripensamenti).
Il cammino delle regole da scrivere (come scriverle, visto che devono armonizzarsi con la legge «salva-Ilva» e in quale contenitore normativo inserirle) riuscirà a rispettare i tempi che gli stessi vertici dell’Ilva auspicavano dopo la riunione a Palazzo Chigi? Riuscirà il decreto a vedere la luce martedì prossimo nel nuovo Consiglio dei ministri? Resta da chiarire la vicenda del miliardo e 900 milioni di euro sequestrati dalla magistratura e che appare arduo sbloccare per legge. L’Ilva vuol rientrarne in possesso al fine di realizzare l’Aia e pensare a ulteriori interventi contro l’inquinamento, come ha dichiarato Ronchi due giorni fa alla “Gazzetta”, con uno scarto rispetto alla «rimodulazione dei tempi dell’Aia» richiesta ieri. Nel frattempo, parlando di inquinamento, il leader di Peacelink Alessandro Marescotti ha inviato una nota al direttore dell'Arpa, Giorgio Assennato, segnalando nuovi valori alti di inquinanti (gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici) in un quartiere cittadino.
Le misurazioni sono state effettuate dallo stesso Marescotti con un analizzatore portatile. Infine il Tar del Lazio ha accolto, in prima istanza, il ricorso presentato dagli ambientalisti di «Taranto Futura» contro i decreti sull’Ilva emanati dal governo. Ora il ministero dell’Ambiente dovrà depositare al Tribunale amministrativo regionale una relazione documentata sui rilievi mossi dagli ambientalisti - la violazione della Convenzione di Aahrus e del principio di precauzione - entro quaranata giorni. Successivamente il Tar deciderà se accogliere o meno la richiesta di sospensione dei decreti.
Fulvio Colucci - GdM
Ilva, l'obiettivo è allargare il mandato dell'Aia. Lunedì giorno decisivo per la nuova legge sblocca cantieri
«La nuova legge sull'Ilva, oltre a confermare la rimodulazione dei tempi dell'Autorizzazione integrata ambientale, dovrà anche consentirci di affrontare quello che l'Aia di ottobre 2012 non ha previsto: gestione dei rifiuti e delle acque di prima pioggia, sporgenti dell'area portuale, smaltimento delle traversine ferroviarie e dei pneumatici accatastati nelle aree dello stabilimento siderurgico». Il sub commissario dell'Ilva, Edo Ronchi, vuole «allargare» il mandato dell'Aia per dare un segnale sul piano del risanamento dell'acciaieria.
Nuovo decreto sull'Ilva. Stop alle sanzioni e sblocco dei soldi sequestrati
«Rimodulare i tempi dell’Autorizzazione integrata ambientale e pensare a ulteriori adeguamenti non previsti dall’Aia». A sorpresa, ma non troppo, alza il tiro il sub-commissario dell’Ilva Edo Ronchi soffermandosi sul disperato bisogno di tempo dello stabilimento siderurgico per tenere insieme ambiente, salute e lavoro. Non è facile il cammino della nuova legge per tirar fuori le acciaierie dalla strettoia creatasi con i ritardi nei lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. Ad ammettere le difficoltà formali (e sostanziali) lo stesso Ronchi, ieri al lavoro con i tecnici del ministero dell’Ambiente nella ricerca del percorso normativo più idoneo a incardinare le regole in fase di elaborazione.
Se l’esigenza prioritaria è «rimodulare i tempi dell’Autorizzazione integrata ambientale» occorre un provvedimento «forte». Almeno così fa capire il sub-commissario dell’Ilva. Tuttavia questo appare «piuttosto complesso» nel suo confezionamento. «Con procedure ordinarie non è possibile - sottolinea Ronchi - rispettare i tempi». Una dichiarazione che fa riferimento all’Aia, ma con un pizzico di malizia, potrebbe sovrapporsi a quella sulla complessità della nascente legge (o decreto che sia). Un nuovo testo legislativo, l’ennesimo, con carattere d’urgenza, per consentire all’Ilva di procedere speditamente e recuperare il tempo perduto nella ristrutturazione degli impianti.
L’esigenza di tempi «supplementari» per l’Aia, non è stata manifestata dallo stesso Ronchi, insieme al commissario straordinario Enrico Bondi, con la stessa nettezza giovedì scorso, durante la riunione a Palazzo Chigi insieme ai rappresentanti del governo. «Nel commissariamento - ricorda il sub-commissario dopo il vertice ministeriale di ieri - ci sono due direttrici: la continuità produttiva e il risanamento ambientale; entrambe devono essere garantiti ». Confermato il ragionamento portato all’attenzione della presidenza del Consiglio, ma ieri è spuntata la postilla della richiesta di proroga all’Autorizzazione integrata ambientale (ora oggetto, da più parti, di molti ripensamenti).
Il cammino delle regole da scrivere (come scriverle, visto che devono armonizzarsi con la legge «salva-Ilva» e in quale contenitore normativo inserirle) riuscirà a rispettare i tempi che gli stessi vertici dell’Ilva auspicavano dopo la riunione a Palazzo Chigi? Riuscirà il decreto a vedere la luce martedì prossimo nel nuovo Consiglio dei ministri? Resta da chiarire la vicenda del miliardo e 900 milioni di euro sequestrati dalla magistratura e che appare arduo sbloccare per legge. L’Ilva vuol rientrarne in possesso al fine di realizzare l’Aia e pensare a ulteriori interventi contro l’inquinamento, come ha dichiarato Ronchi due giorni fa alla “Gazzetta”, con uno scarto rispetto alla «rimodulazione dei tempi dell’Aia» richiesta ieri. Nel frattempo, parlando di inquinamento, il leader di Peacelink Alessandro Marescotti ha inviato una nota al direttore dell'Arpa, Giorgio Assennato, segnalando nuovi valori alti di inquinanti (gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici) in un quartiere cittadino.
Le misurazioni sono state effettuate dallo stesso Marescotti con un analizzatore portatile. Infine il Tar del Lazio ha accolto, in prima istanza, il ricorso presentato dagli ambientalisti di «Taranto Futura» contro i decreti sull’Ilva emanati dal governo. Ora il ministero dell’Ambiente dovrà depositare al Tribunale amministrativo regionale una relazione documentata sui rilievi mossi dagli ambientalisti - la violazione della Convenzione di Aahrus e del principio di precauzione - entro quaranata giorni. Successivamente il Tar deciderà se accogliere o meno la richiesta di sospensione dei decreti.
Fulvio Colucci - GdM
Ilva, l'obiettivo è allargare il mandato dell'Aia. Lunedì giorno decisivo per la nuova legge sblocca cantieri
«La nuova legge sull'Ilva, oltre a confermare la rimodulazione dei tempi dell'Autorizzazione integrata ambientale, dovrà anche consentirci di affrontare quello che l'Aia di ottobre 2012 non ha previsto: gestione dei rifiuti e delle acque di prima pioggia, sporgenti dell'area portuale, smaltimento delle traversine ferroviarie e dei pneumatici accatastati nelle aree dello stabilimento siderurgico». Il sub commissario dell'Ilva, Edo Ronchi, vuole «allargare» il mandato dell'Aia per dare un segnale sul piano del risanamento dell'acciaieria.
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L'AIA da sola è INACCETTABILE per l'Arpa!
«Arpa tutt’altro che morbida L’Aia non cancellerà i rischi»
«Ho giurato sulle ceneri di mio padre che non ci metterò mai più piede.
Ho dedicato la mia intera vita professionale all’igiene industriale e ai
problemi tra i lavoratori e nella popolazione legati alla pervasività
della presenza industriale a Taranto. Venire accusato di aver
ammorbidito gli esiti dei campionamenti ambientali per favorire Ilva è
una cosa che risponde al falso e che non posso accettare». Così si sfoga
il direttore generale dell’agenzia regionale per la prevenzione e
protezione dell’ambiente (Arpa Puglia), Giorgio Assennato, chiamato in
causa sulla base di alcune intercettazioni telefoniche diffuse dopo il
deposito dell’avviso di conclusione delle indagini sul presunto disastro
ambientale provocato dalle emissioni inquinanti dell’Ilva di Taranto.
Assennato ribatte:
«La data degli atti, con tanto di protocollo, smentisce che il rapporto sulla qualità dell’aria di Taranto, commissionato il 7 giugno 2010, sia stato inviato a tutti tranne che ai magistrati». A dimostrazione, il direttore Arpa esibisce il documento, che risulta protocollato (numero 0033958) il 9 luglio 2010. Solo sei giorni dopo, il 15 luglio (Assennato allega le mail), il rapporto arriva a quelli che vengono definiti «i portatori di interessi», ovvero Girolamo Archinà per Ilva e, parallelamente, Biagio De Marzo e Alessandro Marescotti per le associazioni.
Per confutare l’accusa di «ammorbidimento» dei risultati delle analisi, poi, Assennato invita a leggere pagina 17 del rapporto stesso. «I dati sulla concentrazione di benzoapirene nell’aria, nei primi mesi del 2010, mostrano - è scritto - una tendenza ad un aumento dei valori, con unamedia che, per i primi 5mesi dell’anno in corso, si aggira intorno ai 3 nanogrammi per metro cubo. Ciò fa ritenere che gli interventi impiantistici di adeguamento dello stabilimento siderurgico e della cokeria alle migliori tecniche disponibili non siano stati sufficienti a produrre una diminuzione delle concentrazioni ambientali, verosimilmente per il contemporaneo reincremento pro duttivo».
Assennato aggiunge poi che Ilva non aveva digerito la posizione di Arpa: «L’ira dell’I l va scaturiva dal fatto che noi “osavamo” dare indicazioni anche sulla gestione del rischio sanitario, proponendo che, se si fosse ridotta del 10% la produzione nei giorni di vento, si sarebbero abbattuti i livelli di emissione». Una proposta, quella di Arpa, che Ilva aveva giudicato un’indebita invasione di campo e aveva reso l’azienda, secondo Assennato, ancora meno collaborativa. Assennato avverte che anche quando l’attuale Autorizzazione integrata ambientale (Aia) fosse attuata in tutte le sue parti, dalla produzione a pieno regime (8 milioni di tonnellate) dello stabilimento deriverebbe un rischio sanitario per i tarantini che, se pure dimezzato, resterebbe «inaccettabile».
L’Aia, insomma, da sola non basta. Occorre andare oltre e, dice il direttore Arpa, «migliorare ulteriormente gli impianti sul piano ambientale o ridurre la produzione». Né tantomeno sarà risolutivo, per Assennato, il nuovo decreto del governo che accelera le procedure di autorizzazione a favore di Ilva nell’ambito dei procedimenti di Valutazione d’impatto ambientale (Via). «Non è così - dice - che si risolvono i problemi». E la bonifica dei terreni contaminati? «Serve una quantità enorme di soldi. Dovremmo tutti augurarci che Ilva incrementi gli utili e non li porti nei paradisi fiscali. Se Ilva chiude, scenario tutt’altro che impossibile, la bonifica non sarà mai fatta». Dichiarazione, quest’ultima, che fa infuriare il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli.
«La data degli atti, con tanto di protocollo, smentisce che il rapporto sulla qualità dell’aria di Taranto, commissionato il 7 giugno 2010, sia stato inviato a tutti tranne che ai magistrati». A dimostrazione, il direttore Arpa esibisce il documento, che risulta protocollato (numero 0033958) il 9 luglio 2010. Solo sei giorni dopo, il 15 luglio (Assennato allega le mail), il rapporto arriva a quelli che vengono definiti «i portatori di interessi», ovvero Girolamo Archinà per Ilva e, parallelamente, Biagio De Marzo e Alessandro Marescotti per le associazioni.
Per confutare l’accusa di «ammorbidimento» dei risultati delle analisi, poi, Assennato invita a leggere pagina 17 del rapporto stesso. «I dati sulla concentrazione di benzoapirene nell’aria, nei primi mesi del 2010, mostrano - è scritto - una tendenza ad un aumento dei valori, con unamedia che, per i primi 5mesi dell’anno in corso, si aggira intorno ai 3 nanogrammi per metro cubo. Ciò fa ritenere che gli interventi impiantistici di adeguamento dello stabilimento siderurgico e della cokeria alle migliori tecniche disponibili non siano stati sufficienti a produrre una diminuzione delle concentrazioni ambientali, verosimilmente per il contemporaneo reincremento pro duttivo».
Assennato aggiunge poi che Ilva non aveva digerito la posizione di Arpa: «L’ira dell’I l va scaturiva dal fatto che noi “osavamo” dare indicazioni anche sulla gestione del rischio sanitario, proponendo che, se si fosse ridotta del 10% la produzione nei giorni di vento, si sarebbero abbattuti i livelli di emissione». Una proposta, quella di Arpa, che Ilva aveva giudicato un’indebita invasione di campo e aveva reso l’azienda, secondo Assennato, ancora meno collaborativa. Assennato avverte che anche quando l’attuale Autorizzazione integrata ambientale (Aia) fosse attuata in tutte le sue parti, dalla produzione a pieno regime (8 milioni di tonnellate) dello stabilimento deriverebbe un rischio sanitario per i tarantini che, se pure dimezzato, resterebbe «inaccettabile».
L’Aia, insomma, da sola non basta. Occorre andare oltre e, dice il direttore Arpa, «migliorare ulteriormente gli impianti sul piano ambientale o ridurre la produzione». Né tantomeno sarà risolutivo, per Assennato, il nuovo decreto del governo che accelera le procedure di autorizzazione a favore di Ilva nell’ambito dei procedimenti di Valutazione d’impatto ambientale (Via). «Non è così - dice - che si risolvono i problemi». E la bonifica dei terreni contaminati? «Serve una quantità enorme di soldi. Dovremmo tutti augurarci che Ilva incrementi gli utili e non li porti nei paradisi fiscali. Se Ilva chiude, scenario tutt’altro che impossibile, la bonifica non sarà mai fatta». Dichiarazione, quest’ultima, che fa infuriare il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli.
venerdì 22 novembre 2013
I rifiuti tossici? Sotto al tappeto!
Le discariche attive all’Ilva per smaltire risparmiando
Edo Ronchi non avrà perso l’occasione del vertice di governo di ieri per ribadire che «potrebbe dimettersi» dall’incarico di subcommissario affidatogli per risanare l’Ilva. Ronchi lamenta una serie di ritardi, per i quali non si prende le responsabilità in attesa del probabile avviso di garanzia che arriverà sul suo tavolo e quello del commissario Bondi per «le accertate, persistenti violazioni delle prescrizioni a tutela dell’ambiente e della salute» già rilevate dal gip di Taranto Patrizia Todisco nell’ordinanza del 5 novembre con cui motivava il diniego al dissequestro di 233.193 euro che i commissari avrebbero voluto in cassa.
Sul risanamento in mano ai due commissari continua a suscitare polemiche anche la questione delle discariche interne all’Ilva autorizzate a raccogliere rifiuti pericolosi. Il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha contestato sul Corriere (19 novembre) la frase apparsa in un articolo del giorno prima nel quale si affermava che aveva «autorizzato l’uso di quella cava che, per decreto, fa entrare i rifiuti tossici e nocivi in un buco mai bonificato».
Affermazione che il Ministro contesta forse dimenticando che anche lui ha firmato il decreto convertito in legge il 3 agosto di quest’anno con il quale è stata autorizzata la gestione delle discariche già esistenti escludendo, di fatto, gli obblighi derivanti dalle procedure istruttorie connesse al rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale. In molti ricorderanno Orlando mediaticamente attivo a dare legittimazione a quel decreto.
Lui stesso ammette che «l’unico obiettivo di questo provvedimento è quello di consentire il rapido adeguamento ambientale dello stabilimento di Taranto considerato che gli interventi comportano la produzione di quantità rilevanti di rifiuti, pericolosi e non pericolosi». Però non spiega perché trasportare rifiuti pericolosi nelle discariche attrezzate e a norma rallenterebbero il risanamento.
Inoltre non risulta che i servizi tecnici del ministero dell’Ambiente abbiano effettuato una quantificazione e qualificazione dei materiali potenzialmente derivanti dalle attività di adeguamento ambientale che avrebbe costituito il necessario presupposto per autorizzare l’esercizio delle discariche. Il presupposto della legge, secondo il Ministro, sarebbe una «Valutazione di impatto ambientale positiva», del 1995, per i rifiuti pericolosi.
Omette di ricordare che quella «Via» (di vent’anni fa!) ha autorizzato la costruzione delle discariche ma non la loro gestione e il controllo che comunque devono far riferimento alle procedure Aia. Senza imbarazzo Orlando ammette che «l’obiettivo del decreto è il risparmio» e che smaltire altrove «avrebbe comportato un’ingentissima spesa». Certamente, smaltire ha i suoi costi, infatti la conseguenza non può che essere un favore economico ai Riva che, nonostante il commissariamento (che nulla ha a che vedere con l’esproprio), rientreranno in possesso dello stabilimento. Magari risanato con qualche milione in più in cassa: i soldi risparmiati per lo smaltimento. (CdS)
Guarda l'inchiesta "Patto d'acciaio" andata in onda a Report il 18 novembre 2013
NON C'E' DUE SENZA TRE!!! Ci voleva il sub-Ronchi!
Ilva, verso un decreto sblocca cantieri. Il no dell'Arpa: "Così i problemi restano"
L'incontro è stato convocato infatti mentre al ministero dell'Ambiente riprende il confronto tecnico tra i rappresentanti dei ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico e la gestione commissariale dell'Ilva (il commissario Enrico Bondi e il sub commissario Edo Ronchi) per mettere a punto i testi del nuovo provvedimento legislativo che dovrebbe intervenire sulle procedure di autorizzazione degli enti locali per gli interventi di ambientalizzazione nello stabilimento siderurgico. Obiettivo è quello di evitare ritardi e lungaggini nella concessione dei permessi edilizi a partire dai progetti relativi alla copertura dei parchi minerali.
Un nuovo intervento del governo sul caso Ilva, dunque. L'ipotesi di un ennesimo decreto per la grande fabbrica dell'acciaio torna a fare capolino. Ci sono cantieri da avviare per dare concretezza alla ristrutturazione delle acciaierie, travolte dalla burrasca giudiziaria. Di certo il caso Ilva tornerà all'attenzione dell'esecutivo nella riunione del Consiglio dei ministri prevista per martedì.
Il subcommissario Ronchi punta proprio su quei cantieri per migliorare l'attuale impatto ambientale della fabbrica, ma deve fare i conti con lo standby negli interventi, innescato dai ritardi nelle procedure autorizzative. In particolare sul piatto della bilancia ci sono le coperture dei parchi secondari e l'opera imponente della copertura dei parchi minerali primari. Si è fatta concreta la possibilità del ricorso a un terzo decreto. "Si cerca un equilibrio. Il punto da salvaguardare - ha detto l'ex ministro Ronchi è quello che le emissioni siano a un livello tale da non essere nocive per la salute".
Proprio Ronchi ha rappresentato da tempo il disagio nel seguire il proprio mandato e la possibilità di gettare la spugna. Una difficoltà esasperata dal recente provvedimento con il quale il gip Todisco ha negato lo sblocco di una parte delle risorse sequestrate a Riva Fire. Denaro che i commissari intendevano impiegare nel risanamento. E quello finanziario è uno dei nodi da sciogliere. Con il ricorso al credito ma anche alle somme sequestrate durante l'inchiesta. "Denaro - come ha già ribadito in passato il subcommissario Ronchi - del quale si sente tanto parlare, ma di cui non si vede un euro". (RepBa)
giovedì 21 novembre 2013
Le date del mare non finiscono. Presentato il libro di Salvatore De Rosa
Corriere del Giorno 21 novembre 2013
Venerdi 15 Novembre si è tenuto presso il Circolo Velico di Taranto la
presentazione del volume "Le date del mare non finiscono" di Salvatore De Rosa,
edito da Scorpione Editrice Taranto, autore scomparso prematuramente l'anno
scorso. Psicologo, fine intellettuale, presente in tutti i movimenti capaci di
guardare al cambiamento vitale della città di Taranto, Salvatore De Rosa ci ha
lasciato un grande dono. La scoperta delle sue parole, raccolte in questo
diario lungo una vita, ha unito la sorella Rosanna, l'editore Piero Massafra,
Giancarlo Girardi amico di Salvatore e profondo conoscitore del tessuto sociale
tarantino e Silvana Pasanisi, scrittrice nel progetto ambizioso di dare luce
alle parole di Salvatore che , col suo sguardo profondo e di grande
intelligenza critica, ci offre una grande dimostrazione d'amore nei confronti
della città, ragionando sull'importanza della sua storia, sui problemi
ambientali già presenti trent'anni fa, sul miracolo della sua bellezza e sulla
necessità di difendere la Città vecchia da una politica povera e priva di
progettualità. Venerdi questo gruppo di lavoro ha presentato, insieme a
tantissimi amici di Salvatore che si sono alternati in interventi ad alto
impatto emozionale, il libro che vorremmo ci rappresentasse in tutta la nazione
e anche oltre. Perchè fin quando avremo intellettuali e cittadini come
Salvatore, Taranto sarà salva.
di Giancarlo Girardi
A TARANTO DELITTI DI STATO
di Maria Lasaponara sul sito viv@voce
E’
il potere dello Stato che tutela gli untori, li tutela e gli permette
di uccidere ulteriormente per altri decenni, cittadini inermi, ingenui o
intorpiditi dallo splendido sole meridionale e dalle campagne con gli
ulivi dalle mille divinità
Esiste la
cronaca rosa e poi il gossip politico con le raccomandazioni, le
tangenti per gli appalti, i salotti di lancio per carriere immeritate;
esiste poi la storia amara di una popolazione come quella tarantina
tradita dallo Stato, dalla parte oscura dello Stato. Ci sono volti dei
suoi rappresentanti che se illuminati artificialmente, appaiono sereni e
sorridenti o accorati e rammaricati per i drammi della popolazione.
Questi stessi volti, però, sotto la luce del mattino diventano
diabolici, lividi, hanno occhi di colore bianco nebbioso che diventano
scuri un attimo, ma poi sfuggono di nuovo.
E’ il
potere dello Stato che tutela gli untori, li tutela e gli permette di
uccidere ulteriormente per altri decenni, cittadini inermi, ingenui o
intorpiditi dallo splendido sole meridionale e dalle campagne con gli
ulivi dalle mille divinità. Un giorno, un mostro chiassoso ed
ingombrante venne donato ai Riva, così come il governo fu donato a Monti
affinchè portasse a termine il lavoro sporco, senza dover coinvolgere i
puri di spirito come lo Stato e come i partiti.
D’altra parte Al Capone non fu incastrato per omicidio. La storia è piena di mandanti.
D’altra parte Al Capone non fu incastrato per omicidio. La storia è piena di mandanti.
Sono gli
anni di Dini e sono gli anni della destra e della sinistra. Ma nella
sporca faccenda Ilva valgono le differenze? Evidentemente no, se
consideriamo che, nel primo periodo Riva, furono effettuate “le Purghe
Sindacali”; molti lavoratori furono costretti a cancellare la propria
iscrizione al sindacato, in cambio di assunzioni ai propri figli e molte
riduzioni di personale, nei vari reparti, misero a dura prova le
condizioni dei lavoratori e della loro sicurezza. Tutto con tanto di
firma dei tre sindacati principali.
Molti diranno che i lavoratori erano d’accordo. Sì, perché per tanta gente, di qualunque appartenenza sociale, il lavoro occupa nella scala dei valori, la parte più alta, anche più della salute. Tutto ciò deriva da un insegnamento ben congegnato dalla società dei profitti: si opera in modo che produrre venga prima della vita stessa, dei figli e dell’amore. Anche i manager vivono questa stessa convinzione e danno l’anima per la carriera, perdendo ore di vita a fare gli zerbini di qualcuno più su di loro.
Molti diranno che i lavoratori erano d’accordo. Sì, perché per tanta gente, di qualunque appartenenza sociale, il lavoro occupa nella scala dei valori, la parte più alta, anche più della salute. Tutto ciò deriva da un insegnamento ben congegnato dalla società dei profitti: si opera in modo che produrre venga prima della vita stessa, dei figli e dell’amore. Anche i manager vivono questa stessa convinzione e danno l’anima per la carriera, perdendo ore di vita a fare gli zerbini di qualcuno più su di loro.
Il
sindacato aveva il dovere di tutelare i lavoratori dai carichi
produttivi in eccesso o dalle limitazioni di sicurezza. Esistono
lavoratori con contratti a termine là dove la formazione e la
professionalità di lunga durata sarebbe d’obbligo. Esistono lavoratori
morti tra i carrelli, perché la parola lavoratore era al singolare: una
sola persona al posto di due se non tre.
Ma le
tutele sindacali, le leggi anche costituzionali, la politica vera
abdicano al proprio compito, perché come dice Archinà, come pensano i
Riva e lo Stato Italiano: “tutto ha un prezzo” e per continuare ad
avvelenare i tarantini, Bersani ed altri scagnozzi vengono strapagati.
Il governo Berlusconi tramite la Prestigiacomo firma gli inganni ed
elimina i controllori.
I Riva
infatti sono principalmente amici dello Stato, lo aiutano con Alitalia,
alimentano illecitamente varie casse oltre le proprie, così come capita
con i Ligresti. Ma sono amici casuali? No nulla è per caso; il fatto è
che i governi ed i ministri sono eletti tali, solo se supportati dai
capitali, dalla rapace finanza. Nessuno può governare in Italia se non è
accettato da certi compari.
I nostri
politici locali hanno sempre seguito le direttive nazionali sul
siderurgico: posti di lavoro, benessere a senso unico con un’economia da
monocultura e ricatto elettorale. Tutti gli appalti in Arsenale e al
Porto negli anni si sono volatilizzati; addirittura Trenitalia si è
permessa di svanire rendendo la stazione di Taranto un dormitorio, un
deposito di morti.
I nostri
politici hanno sempre lottato, certo, ma solo per arricchire la propria
squallida vita da mediocri. Hanno finto di essere politici, hanno finto
di essere sindacalisti; ma hanno operato sempre da servi.
La
faccenda Vendola Archinà ha scioccato? Eppure non avrebbe dovuto. Se si
riesce talvolta ad indurre un potente a concedere un diritto negato, si
entra nel tunnel del dovergli essere grato e quasi quasi farsi
perdonare il fatto di aver costretto costui a rispettare la legge o a
far finta di rispettarla. E come dire “lo devo accordare che se si adira
non mi concede più nulla”. Nel frattempo ti contamini anche
emotivamente.
Non si può
persuadere lo sciacallo, il rapace, il cannibale di una città intera a
non predare. Non si può trattare con chi, in altre città, ha fornito
strutture ambientalizzate, pensando invece che i tarantini fossero così
stupidi da non rivendicarle mai. Gli ambientalisti duri o morbidi ora
sono tanti e con strategie diverse, ma tese ad unico obiettivo: liberare
la città dai poteri esterni, dai capitali prodotti a Taranto col sangue
e portati altrove, liberare la città dal senso d’ impotenza. Forse
tutti insieme riusciremo ad impedire che lo Stato continui a legittimare
ciò che la magistratura requisisce.
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