Ilva: a Taranto domani riparte lavoro in area a freddo
Riparte domani mattina il lavoro nell'area a freddo dello stabilimento Ilva di Taranto, dove gran parte degli impianti è ferma da fine novembre per la crisi di mercato e gli effetti del sequestro delle merci disposto dalla magistratura. Solo una parte dei 535 lavoratori rientrerà in fabbrica, e fra questi, annunciano i sindacati, ci sono i manutentori, coloro cioè che devono controllare e verificare gli impianti prima del loro riavvio. La situazione si dovrebbe stabilizzare nel giro di alcuni giorni. Gli impianti che tornano in attività sono il tubificio Erw, il laminatoio a freddo e due impianti minori. L'Ilva li rimette in marcia in quanto ci sono alcune commesse di lavoro da soddisfare. Il riavvio di parte dell'area a freddo e la garanzia, fornita dal presidente Bruno Ferrante, del pagamento l'11 febbraio degli stipendi, hanno tranquillizzato gli oltre 11mila dipendenti diretti del siderurgico. Tuttavia, la situazione complessiva dell'Ilva resta ancora critica. L'azienda continua a non avere le risorse necessarie per attuare le prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale i cui costi sono valutati in 3,5 miliardi di euro in tre anni; la legge 231 del 24 dicembre scorso che autorizza lo stabilimento a produrre e' in attesa del giudizio della Corte Costituzionale alla quale si sono appellati i magistrati di Taranto; restano infine sotto sequestro 1,7 milioni di tonnellate di merci, anche se l'Ilva ha ora chiesto un parziale dissequestro per 42mila tonnellate (valore 32 milioni di euro mentre l'intero quantitativo bloccato vale un miliardo) poichè ritiene che questa parte non debba essere sottoposta ai sigilli giudiziari. Proprio per trovare risorse, l'Ilva ha annunciato nei giorni scorsi la disponibilità a coinvolgere nell'assetto proprietario, nelle mani della famiglia Riva, nuovi partner.
I sindacati "a fronte degli esiti incerti di tale percorso", ritengono necessario l'intervento dello Stato per garantire la realizzazione dell'Aia, il risanamento ambientale e i posti di lavoro. A tutto questo, poi, si aggiunge la cassa integrazione in deroga che l'Ilva ha chiesto per 1393 lavoratori sia dell'area a freddo che dell'area a caldo, settore questo che per la prima volta viene toccato dagli ammortizzatori sociali. Una risposta del ministero del Lavoro in merito e' attesa nella prossima settimana. A dicembre l'Ilva aveva già avanzato la richiesta di cassa in deroga per 700 addetti dell'area a freddo, che però non le fu concessa in quanto la Regione Puglia contestò sia la mancanza di richiesta specifica, sia l'assenza di fondi. Questi lavoratori sono egualmente usciti dal ciclo produttivo e l'azienda ha assicurato ai sindacati che si sarebbe fatta carico della loro retribuzione. Adesso, invece, la cassa in deroga viene chiesta per un numero più ampio di addetti poichè da un lato l'azienda ha dovuto fermare i primi impianti dell'area a caldo (quattro batterie coke e l'altoforno 1) per rispettare le prime scadenze dell'Autorizzazione integrata ambientale, e dall'altro avverte gli effetti del sequestro delle merci. Questi ultimi, scrive la stessa azienda, determinano "l'impossibilità di esercire una parte degli impianti". La cassa in deroga sarà a zero ore e coprirà il periodo 1 gennaio scorso-2 marzo 2013. Saranno coinvolti nel dettaglio 1243 operai, 60 intermedi e 90 impiegati. L'azienda si è impegnata a far ruotare il personale in cassa "compatibilmente con le esigenze tecnico-produttive" e laddove le posizioni ricoperte dai lavoratori siano "fungibili per inquadramento e professionalità". (AGI) .
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