Trivelle Eni, VIA libera dal ministero dell’Ambiente
Il nome dell’istanza è un codice incomprensibile: “d 67”. Il fine sembra però molto semplice: “Permesso di ricerca in mare”. Che a leggerla così, si potrebbe davvero essere indotti a pensare si tratti di qualcosa di positivo. La data di presentazione dell’istanza è abbastanza datata: 19 giugno 2009. La superficie dell’area (quella nella foto qui accanto e che si estende da Leporano sino oltre Maruggio, definita zona “F” ndr) è abbastanza estesa: 449,4 kmq. Il problema, anche se definirlo così è un semplice eufemismo, è il nome della società richiedente del permesso: Eni S.p.A. A quel punto, non ci sono più dubbi: si chiede ancora una volta di ricercare nel nostro mare idrocarburi. Ovvero petrolio.L’iter dell’istanza è stato abbastanza complesso. Dopo la presentazione della richiesta nel giugno 2009, il 31 luglio dello stesso anno c’è la pubblicazione sul BUIG (il Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse). Il 18 marzo 2010 arriva il parere favorevole del CIRM (la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie). Il 27 aprile il ministero dello Sviluppo Economico invia all’Eni la comunicazione del parere favorevole del CIRM invitando la stessa società a presentare la VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) al ministero dell’Ambiente ed alla Regione Puglia. Ma la relazione che l’Eni invia non convince i tecnici del ministero: tant’è che il 30 novembre del 2010 arriva alla società il “preavviso di rigetto” della VIA presentata.
A quel punto l’Eni prova a correre ai ripari presentando, siamo al 25 febbraio del 2011, un’istanza “interlocutoria” nella quale presenta una richiesta di superamento dei “motivi ostativi al conferimento” della VIA. Ma per non restare con un pugno di mosche in mano, la stessa società, appena tre giorni dopo, il 28 febbraio, presenta ricorso al TAR (modus operandi classico delle grandi industrie del nostro territorio). Passano i mesi e il 16 settembre del 2011 il ministero dell’Ambiente invia all’Eni una richiesta di “Riperimetrazione” dell’area riguardante l’istanza ai fini dell’applicazione del decreto legislativo n.121 del 7 luglio del 2011: “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”.
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Tre mesi dopo, il 2 dicembre, l’Eni presenta una nuova istanza con la riperimetrazione dell’area. Pochi giorno dopo, il 31 dicembre, arriva la pubblicazione sul BUIG della stessa. Il tempo passa. Un dopo un anno, il 3 dicembre del 2012, dall’Eni arriva al ministero dell’Ambiente una “richiesta chiarimenti circa attivazione per VIA”. Questa volta l’attesa è brevissima. E regala alla società qualcosa di unico ed inaspettato: il 12 dicembre il ministero risponde consentendo alla società “l’esclusione dalla VIA per la prima fase”.
Eppure, sul sito del MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) nella pagina dedicata all’istanza, la fase del procedimento è indicata con un pallino color arancione, che nella leggenda corrisponde a questa dicitura: “In corso valutazione ambientale dalla richiesta di presentazione della VIA all’emanazione del decreto VIA (Operatore/MATTM/Regione)”. Al momento, non sappiamo i motivi per cui il ministero ha concesso all’Eni questo privilegio, a differenza di quanto invece accaduto con le altre dieci istanze di ricerca di idrocarburi nel Golfo di Taranto presentate dalle società Appenine Energy Srl e Shell.
Come abbiamo evidenziato più volte, l’interesse per l’estrazione di petrolio nel mar Ionio, seppur di scarsa qualità, conviene perché in Italia le compagnie petrolifere possono pagare le famose royalties e compensazioni ambientali decisamente più basse rispetto a quelle che si pagano nel resto del mondo. Ma la gravità della decisione del ministero dell’Ambiente è anche un’altra e viene segnalata dall’associazione “No Triv”. “L’esclusione della VIA preclude ai comitati di cittadini di poter partecipare attivamente ad una fase amministrativa importantissima escludendo, di fatto, la possibilità di presentare osservazioni ed esprime parere negativo alla ricerca di idrocarburi in mare a causa del grave pericolo di danno ambientale che tale attività industriale comporta”. E’ per questo motivo che il “Comitato Mediterraneo No Triv” ha deciso di inviare al Ministero dell’Ambiente una richiesta di motivazione della esclusione VIA per l’istanza dell’Eni.
Eventualità questa concessa da una direttiva della Corte di Giustizia della Comunità Europea che nel 2009 ha indicato l’obbligo delle autorità amministrative competenti di comunicare ai cittadini che ne hanno fatto richiesta, dei motivi per i quali la decisione di esclusione della valutazione degli impatti ambientali è stata assunta. Ma al ministero arriverà anche la richiesta di valutare le istanze tutte insieme e non soltanto una per volta, perché se anche “una sola richiesta di ricerca e poi di estrazione di petrolio in mare può avere conseguenze anche gravi sull’ambiente e sulla salute dei cittadini, appare quanto meno necessario considerare tali effetti moltiplicati per ogni singola autorizzazione richiesta dalle società petrolifere”.
Bisogna anche ricordare che, ancora una volta, mentre la comunità Europea va da una parte, l’Italia prende la strada esattamente contraria. L’Ue ha infatti assunto un indirizzo di tutela ambientale molto forte durante il Consiglio del 17 dicembre 2012 con decisione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 9 gennaio scorso, quando ha aderito al protocollo relativo alla protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del sottosuolo dall’attività petrolifere offshore. Per tutta risposta, l’Italia e il ministero dell’Ambiente contraddicono tali principi autorizzando le richieste di ricerche petrolifera in mare. E’ per questi motivi che il “Comitato Mediterraneo No Triv” ha anche deciso di sottoporre la questione alla Comunità Europea con una formale denuncia “illustrando la necessità di agire con tempestività per fermare una politica di sfruttamento intensivo in un Golfo come quello di Taranto a forte vocazione turistica”.
Infine, alcune domande. Che da anni sono sempre le stesse. Come si è espressa la Regione sull’istanza dell’Eni? Comune e Provincia di Taranto ne sono a conoscenza? E i sindacati? E Confindustria? Tutti questi signori che da anni non fanno altro che sottolineare quanto siano importanti i progetti dell’Eni in riva allo Ionio, cosa hanno da dire nel merito della questione? E’ anche questa un’attività utile all’economia del territorio? Prevedono anche questo tipo di attività nei loro fantasmagorici progetti basati sull’eco-compatibilità e la “Smart Area”? E a quanto ammonterebbero le royalties e le compensazioni ambientali “offerte” dall’Eni per questo ennesimo scempio? Inutile sottolineare come sia una pura follia autorizzare un progetto del genere. In un’area che è tra le più belle del nostro mare. Magari con il primo caldo e il primo sole estivo potremmo andare tutti insieme con i nostri bei materassini ad occupare simbolicamente l’area in questione: voi dite che “perforerebbero” anche i nostri preziosissimi teli di plastica? Chissà.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 20.02.2013)
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