Ilva, Consulta: inammissibile il ricorso dei Pm di Taranto. Pende la questione di legittimità
Non hanno passato l'esame preliminare di «ammissibilità» i due conflitti di attribuzioni sollevati dalla Procura di Taranto contro il decreto "salva-Ilva", convertito nella legge 231/2012. La Corte costituzionale, rifacendosi a precedenti interpretazioni, ha ritenuto che lo strumento del conflitto non fosse corretto per denunciare un atto normativo, sia pure invasivo di altrui competenze, quando c'è anche la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale. Ma non tutto è da rifare perché i magistrati di Taranto (il Gip e il Tribunale del riesame) in effetti hanno già seguito anche questa strada, come peraltro rileva anche la Corte nel suo comunicato stampa, e, dunque, la Corte si occuperà del caso Ilva in ogni caso ad aprile.
La bocciatura dei due ricorsi è arrivata nel tardo pomeriggio con un comunicato stampa al termine della camera di consiglio in cui la Corte si è rifatta, in sostanza, a quella che considera una costante giurisprudenza, che peraltro era stata citata dalla stessa Procura di Taranto. La quale, però, aveva ritenuto che quell'interpretazione non sbarrasse la strada in modo radicale al conflitto di attribuzioni, come dimostrano altre sentenze della Corte. Del resto, per i pm pugliesi nel caso del decreto-Ilva «la Procura ricorrente non potrebbe valersi di un rimedio diverso dal conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato». la Corte, però, non l'ha pensata allo stesso modo.
C'è tuttavia una differenza rispetto ad altre decisioni della Corte che hanno dichiarato l'inammissibilità di un conflitto in casi analoghi, perché quelle sono state quasi tutte prese non nella fase della valutazione preliminare del ricorso ma in quella successiva, di merito, per dal modo alle parti di interloquire in contraddittorio. La pronuncia di inammissibilità è arrivata insomma in seconda battuta. Stavolta, invece, è stata anticipata.
Resta così in sospeso la questione giuridica di merito, e cioè se governo e Parlamento hanno forzato la mano con un provvedimento considerato dai pm una «revoca legislativa» del sequestro degli impianti e dei materiali. Secondo la Procura sono in gioco principi come l'obbligatorietà dell'azione penale e la separazione dei poteri: l'intervento legislativo, infatti, non solo blocca un provvedimento giurisdizionale in essere ma impedisce anche al pm di esercitare l'azione penale, sebbene si trovi di fronte a reati «di pericolo, di natura permanente o, al massimo, istantanea a effetti permanenti» come quelli ipotizzati a carico dei dirigenti dell'Ilva, riguardanti impianti industriali a ciclo continuo.
L'intervento legislativo, quindi, non solo annullerebbe l'efficacia del sequestro diretto a «evitare l'aggravamento delle conseguenze dei reati commessi e la consumazione di nuovi reati», ma «legittimerebbe» anche la realizzazione (con la prosecuzione dell'attività produttiva) di «ulterori reati dello stesso genere». Reati non più perseguibili in forza del decreto legge e della successiva legge di conversione: di qui la violazione dell'obbligatorietà dell'azione. (Sole24h)
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