TRIBUTI. La tariffa è cresciuta del 17,8 per cento negli ultimi 5 anni. La Uil: 933 milioni da restituire ai cittadini.
La tassa sui rifiuti solidi urbani continua ad aumentare. Del resto, assieme a quello che è rimasto dell’Ici, è una delle poche entrate dei Comuni italiani. La Uil nel suo sesto Rapporto sui rifiuti solidi urbani ha preso in considerazione le tariffe applicate in 104 città capoluogo di provincia. Nel 2009 la tariffa sui rifiuti è aumentata in media del 4,9 per cento rispetto al 2008. Circa 205,62 euro, rispetto ai 195,95 dell’anno precedente. E ulteriori aumenti sono stati autorizzati nell’ultima Finanziaria. Nel 2009 sono 44 le città che hanno ritoccato le tariffe. In Campania sono più che raddoppiate: Benevento (65,2%); Napoli (60,3%). Come in Calabria e Sicilia: Reggio (56,5%) Ragusa (50%); Trapani (37,2%). Sono diminuite solo a Pordenone (-9%) e Livorno (-2,2%). Negli ultimi cinque anni l’aumento medio di questa tassa in Italia è stato del 17,8 per cento, con 82 città coinvolte.
Punte massime a Palermo (133%); Taranto (120,5%); Catania (109,3%) e Salerno (92,6%). Nella classifica stilata nel rapporto, tra le città più care ci sono Napoli con un prelievo di 362,50 euro l’anno; Salerno con 330 euro; Siracusa (325,68); Livorno (323,85); Benevento (323,80). Le più economiche sono invece Isernia (78,10 euro); Matera (100,30); Cremona (111,30); Campobasso (111,40) e Vibo Valentia (113,20). Per la Uil «i dati del rapporto dimostrano come, nonostante il blocco delle imposte locali, la pressione fiscale nel nostro Paese aumenti di anno in anno e, per questo tributo, a pagare sono tutte le famiglie, in quanto tale imposta grava sia sui proprietari che sugli affittuari degli immobili.
Aumenti - continua il rapporto - che non sempre si accompagnano ad una migliore qualità del servizio, come nel caso di Palermo». Sul piede di guerra le associazioni dei consumatori. Dall’estate scorsa hanno preparato i modelli per chiedere i rimborsi ai Comuni, per l’applicazione illegittima dell’Iva alla tassa sui rifiuti. La Uil ha quantificato la somma che gli enti locali dovranno restituire ai cittadini: 933 milioni di euro per 5,8 milioni di contribuenti. Più o meno 161 euro a testa. Si tratta di un rimborso per la tassa sui rifiuti solidi urbani (Tia e Tarsu) pagata dai cittadini dal 2000 fino ad oggi. La Corte Costituzionale nel luglio scorso ha stabilito che «non esiste una norma legislativa che espressamente assoggetti ad Iva le prestazioni del servizio smaltimento rifiuti».
In molti Comuni italiani la Tarsu, tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, è stata sostituita dalla Tia, la tariffa di igiene ambientale, istituita nel 1999 con il decreto Ronchi. In varie città italiane, con l’arrivo della Tia, sulle bollette è stata aggiunta anche l’Iva. La Corte Costituzionale ha però evidenziato che nonostante il nuovo nome (da tassa a tariffa), la Tia resta a tutti gli effetti un tributo. Prima di tutto perché la tassa sui rifiuti è obbligatoria. «I soggetti non possono sottrarsi (...) adducendo di non volersi avvalere del servizio». Ma anche in base «alla determinazione normativa, e non contrattuale, della fonte del prelievo». Quindi «canoni, diritti e tributi», essendo percepiti da enti pubblici, secondo la legge comunitaria «sono esclusi in via generale dall’assoggettamento all’Iva». I cittadini hanno già iniziato a chiedere i rimborsi. Possono farlo i residenti di 1.193 Comuni, quasi tutti del Centro-Nord. Quelli che avevano già trasformato la Tarsu in Tia, adottando il nuovo regime tariffario. Tra cui 47 città capoluogo come Roma, Venezia, Trento e Bolzano.
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