Mette a scaldare per l'ennesima volta una poltiglia di articolo che è più vuoto ed inutile dell'acqua sporca di Ponzio Pilato. Taranto è lontana scenografia sbiadita e noiosamente consueta per un sermone che trasuda equilibrismi in salsa PD da tutti i pori.
Senza posizione, senza passione, senza ragione.
Finchè sarà questa l'ottica sulla città di questa ex-sinistra che fa il paio con quella della ex-destra, possiamo, per loro, bipolarmente soffocare e schiattare!
Grazie per la testimonianza. Taranto e i tarantini faranno da soli!
Taranto, cuore a metà tra Boccia e Nichi
Il fumo. È il fumo che ti entra in corpo, la notte ti sveglia e lo vedi lontano sopra le torrette illuminate come un cappello che pesa sulla città. Taranto è l’Ilva, l’Ilva è Taranto. Quando arrivi dalla statale 100 è quel mastodontico e spaventoso skyline che ti accoglie con le ciminiere, i tralicci, i fuochi, il recinto invalicabile. Il mostro ha dato vita e lavoro ma anche morte e povertà. Nelle strade della città è lui, il Grande Stabilimento, l’argomento di ogni giorno. «Hai sentito stanotte che puzza?». «Guardi, guardi che nuvolone lassù». Ritorna una scena del bel film di De Robilant «Mare piccolo», girato proprio qui, quando il protagonista Tiziano dice alla sua ragazza: «Stella vieni con me, lo vedi che qui non si respira?».
Negli anni Settanta dentro quel Mostro ci lavoravano trentamila operai. Oggi sono poco più di un terzo, più sette-ottomila nell’indotto. Poi c’è il porto, l’Eni, le aziende meccaniche: un sistema industriale che fa di Taranto quella che un tempo si chiamava una città operaia. Dentro questo groviglio di ciminiere si guarda a Bari con un po’ di apprensione, soprattutto nel mondo politico. Questa città ha tre aspetti che la rendono interessante nei giorni del grande duello nel Pd. Il primo è che Francesco Boccia, economista incaricato, ha risolto con bravura il dissesto finanziario del Comune, quasi un milione di euro. Il secondo è che Nichi Vendola ha avuto un’attenzione particolare all’ambiente e ha approvato una legge severissima. Il terzo è che alla Provincia Gianni Florido già sperimenta la formula dell’allargamento all’Udc. Anzi lui è andato anche oltre, perché in maggioranza c’è anche “Io Sud” la lista della Poli Bortone. Da questo mix non si sa bene quale risultato uscirà stanotte dalle urne delle primarie. Ma quasi tutti considerano la partita abbastanza aperta.
Ippazio Stefàno, 65 anni, pediatra con passione, da due anni e mezzo è sindaco di Taranto. Dice che è arrivato alla politica guardando la sofferenza della gente negli ospedali. È stato senatore del Pci, oggi sta con Sinistra e Libertà. L’ha spuntata alle elezioni proprio contro Florido che, in un altro memorabile capitolo della divisione nel centrosinistra, era sostenuto dalla vecchia Unione. Appena messo piede in Comune ha toccato con mano il disastro. «Non c’era un euro, non si seppellivano nemmeno i morti», racconta. Poi è arrivato Boccia, incaricato insieme ad altri dal governo Prodi di risanare i conti. Sono stati stanziati 120 milioni di euro. «E oggi ne stiamo uscendo – dice Stefàno – Sì, Boccia è stato prezioso, è un esperto lucido e lungimirante, ho grande stima di lui». Però, sembra quasi un paradosso, il sindaco sta con Vendola. «Lo sostengo ma senza crociate. Nichi ha saputo ascoltare la nostra sofferenza. E comunque credo che il confronto sia arricchimento».
C’è un punto su cui sono tutti d’accordo: sull’ambiente quel che ha fatto la giunta regionale è inconstestabile. Solo per dirne una: qualche mese fa è stata approvata una legge che prevede che a fine 2010 non si possano emettere più di 0,4 nanogrammi di diossina mentre la legge nazionale fissa il limite a 8. L’Ilva si sta attrezzando perché su questo non si transige. «Stiamo istallando l’impianto di depolverizzazione più grande d’Italia», dice Stefàno. Questo sindaco ha un suo fascino: non prende un euro di stipendio, non usa l’auto di servizio, nei momenti difficili ha chiesto anche agli assessori di dimezzarsi la paga. È uno che riesce a parlare anche con le frange più dure dei disoccupati organizzati. «Ci riesco perché credo alla politica sobria e non ho privilegi, loro si fidano». Che effetto avrà un personaggio così, che stuzzica i sentimenti popolari, nella battaglia di Bari?
C’è qualcuno a Taranto che lavora perché l’ago della bilancia si sposti altrove. È Gianni Florido, 58 anni, presidente della Provincia. È uno sicuro di sé, si è fatto le ossa nella Fim, il sindacato dei metalmeccanici Cisl, fa le sue battaglie anche controcorrente. Lui è l’esempio vivente della teoria dell’allargamento della coalizione sostenuta da Massimo D’Alema. Nella sua maggioranza infatti c’è l’Udc. «Finora è andato tutto bene – dice – Ma sono passati pochi mesi». Da sindacalista snocciola i dati della crisi di Taranto: 30% il tasso di disoccupazione, il 75% del Pil che viene dall’Ilva. Mostra un grafico e dice: «Vede, abbiamo 110 mila persone tra disoccupati e inoccupati e 110 mila occupati. Un dato allarmante». Non dimentica l’ambiente anche perché è stato lui per primo e da solo a parlare di sistema ecosostenibile mentre altri facevano la guerra contro l’Ilva chiedendo addirittura la chiusura. «Ma che scherziamo», commenta. Con questo bel fardello di problemi sulle spalle Florido guarda alla competizione Vendola-Boccia con un po’ di fastidio. «Mi pare uno scontro folle, una battaglia tutta barese, ho visto troppi solisti in campo. Però le dico la verità: io ci credo all’allargamento della coalizione. D’Alema ha ragione, è un grande problema nazionale».
Annuisce Luciano Santoro, quarantenne segretario provinciale del Pd: «D’Alema è generoso, fa le battaglie in cui crede, poi gli danno tutti addosso». Racconta che è arrivato alla politica con la Fgci quando c’era anche Vendola («un vero poeta»). Ma non gli piace quella «vena populista di Nichi». «L’altro giorno D’Alema ci ha raccontato che quando Prodi gli disse che voleva fare Bertinotti presidente della Camera lui, che pure era attirato da quell’incarico, fece non uno ma quindici passi indietro. E invece guardi come si è comportato Vendola». Come finirà? Uno che è interessato politicamente alla disfida di Bari si lascia scappare una previsione. Dice infatti Luigi Albissini, assessore Udc della provincia: «Nichi vince ottanta a venti. Esagero? Beh, diciamo settanta a trenta». Sarà.
Il fumo delle ciminiere non si ferma mai: all’orizzonte il cielo è sempre macchiato e sulla terra tanti poveri cristi fanno i conti con la crisi. Lo sa bene Gino D’Isabella, capo della Camera del Lavoro, che ci riporta con i piedi per terra: mille prepensionamenti, aumento della cassa integrazione, licenziamenti. «Abbiamo perso tanti posti di lavoro e su questo abbiamo aperto una vertenza con il governo. Ma non è che in Comune ci diano tanto retta». Ricorda che Taranto ha il primato delle malattie professionali. Ogni anno ci sono 30 morti riconosciuti dall’Inail mentre le domande sono il triplo, quasi cento. «La crisi c’è, però non siamo all’anno zero. L’Ilva è il punto forte di un settore strategico, ci sono progetti per lo sviluppo del Porto. Insomma l’industria non è una palla al piede. E anche sull’ambiente abbiamo fatto un bel po’ di passi avanti, evitiamo di esagerare sempre…». Certo, la Cgil non si espone sul duello Vendola-Boccia. Ma insomma ci capisce che a loro questa situazione di scontro non va tanto giù.
La parrocchia di San Francesco De Geronimo è nel quartiere Tamburi, uno di quelli più difficili di Taranto. Qui la criminalità si respira nell’aria. In questi giorni gli autisti dei bus sono sul piede di guerra: hanno paura perché qui e in altri quartieri aumentano le aggressioni. Don Nino Borsci è un prete dallo sguardo sereno. È il capo della Caritas e conosce la città come le sue tasche. «Come sta Taranto? La situazione è peggiorata. Troppi disoccupati, troppi licenziamenti: è il problema principale». Lui si rimbocca le maniche e paga le bollette a chi non ce la fa, distribuisce le bombole del gas a chi non sa come scaldarsi. «Nel nostro centro di accoglienza – dice – sono tanti quelli che hanno perso il lavoro, gente diplomata che magari si è anche separata dalla moglie». Gli occhi della Caritas vedono un’umanità dolente che non sa come sistemare la giornata, immigrati che dormono nei vagoni abbandonati, ragazzi strappati alla droga con la fatica di notti insonni. Taranto è così, sospesa tra un presente ingombrante e un futuro ancora incerto. È la sensazione che ha anche Tommaso Anzoino, un’autorità culturale della città. È stato per tanti anni preside del liceo “Archita”, quello dove ha studiato anche Aldo Moro e che ha sfornato gran parte della classe dirigente della città. «C’è stato un periodo in cui c’era il mito della classe operaia e della grande fabbrica. Oggi non c’è più nulla e non si vede la prospettiva». Si guarda attorno, nelle scuole e nelle strade, e vede uno spaventoso impoverimento. «I nostri studenti se ne vanno via, fuori, lontano da qui. E non tornano più».
Così Taranto non trova più il respiro giusto, quello di chi ha gambe forti e testa libera. Con il fumo in cielo e due mari davanti, insomma, non è facile dipanare la matassa delle primarie. Boccia perché ha risanato i conti del Comune o Vendola perché ha messo la mascherina all’Ilva? Dentro l’urna Taranto ci metterà sicuramente le sue dannazioni.
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